la recessione (innescata dalle manovre dell'estate 2011dal gov.Berlusconi

ricordiamo che il gov.Berluschino ha alzato troppo le tasse dissangiando gli italiani

ma non ha mai pagato i debito che lo Stato aveva contratto con le imprese portandole al fallimento e al suicidio degli imprenditori

Cgia: «Debiti Pa a quota 120 miliardi
Un'impresa su tre chiude
per colpa dello Stato che non paga»


Più che raddoppiati i fallimenti delle aziende vittime dei ritardi





Cgia: «Debiti Pa a quota 120 miliardi Un'impresa su tre chiude per colpa dello Stato che non paga» - Il Messaggero

ROMA - Tra il 2008 ed il 2012 sono più che raddoppiati (+114%) i fallimenti delle imprese vittime dei ritardi o dei mancati pagamenti da parte dei committenti pubblici e privati. Per la Cgia di Mestre il debito della Pa nei confronti delle imprese è di circa 120 miliardi. A darne conto è il segretario Cgia, Giuseppe Bortolussi, che ha stimato questo importo in base ai risultati di un'indagine campionaria presentata nel marzo scorso dalla Banca d'Italia in un'audizione parlamentare. Secondo i ricercatori di via Nazionale, il debito della pubblica amministrazione è pari a 91 miliardi di euro. Una cifra che, ormai, viene presa come riferimento da tutti gli osservatori ogni qualvolta si dimensiona l'ammontare complessivo dei crediti che le aziende vantano nei confronti del settore pubblico.

«Si tratta di una foto scattata il 31-12-2011, quando Berlusconi abdicò, ovvero più di un anno e mezzo fa - dice Bortolussi - nella quale non sono comprese le aziende con meno di 20 addetti, che sono il 98% del totale delle imprese italiane. Nella ricerca, inoltre, non sono state coinvolte le imprese che operano nella sanità e nei servizi sociali dove, storicamente, si annidano i ritardi di pagamento più eclatanti. Alla luce di questi elementi riteniamo che l'ammontare dei debiti scaduti stimato dalla Banca d'Italia sia sottodimensionato di circa 30 miliardi».

Sia chiaro, rileva la Cgia, non è in discussione il rigore scientifico dell'indagine realizzata dalla Banca d' Italia: nelle note metodologiche i ricercatori di via Nazionale hanno messo in evidenza tutti i limiti della ricerca. Chi dovrebbe preoccuparsi a dimensionare il debito dovrebbe essere lo Stato che, invece, si è dato tempo fino a settembre per calcolarlo.

Per Bortolussi «sarebbe ingeneroso prendersela con chi ci governa. Il mancato pagamento dei debiti è un problema che parte da lontano. Anzi, dobbiamo ringraziare il governo Monti e quello di Letta per aver messo al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica questa anomalia tutta italiana. Tuttavia, bisogna accelerare i tempi di pagamento, altrimenti con soli 20 miliardi di euro a disposizione annui, questi 120 miliardi di debito saranno onorati non prima del 2018».

Se si analizzano gli effetti economici dei mancati pagamenti, si scopre che dall'inizio della crisi alla fine del 2012 sono fallite per mancati pagamenti oltre 15.000 imprese. I risultati a cui è giunta la Cgia nascono da alcune osservazioni realizzate da "Intrum Justitia", secondo la quale il 25% delle imprese fallite in Europa chiude a causa dei ritardi dei pagamenti. Tenendo presente che l'Italia è maglia nera in Europa per quanto concerne la mancata regolarità dei pagamenti tra la Pa e le imprese nonchè nelle transazioni commerciali tra le imprese, la Cgia stima che tra il 2008 ed il 2010 questa incidenza abbia raggiunto la soglia del 30%, per salire al 31% nel biennio 2011-2012. Pertanto, a fronte di oltre 52.500 fallimenti nel lustro preso in esame, la Cgia stima che 15.100 chiusure aziendali siano addebitabili ai ritardi nei pagamenti.

Per Bortolussi «oltre ai ritardi nei pagamenti, hanno concorso sicuramente alla chiusura di queste attività anche gli effetti nefasti della crisi, come il calo del fatturato dovuto alla contrazione degli ordinativi e il deciso aumento registrato in questi ultimi anni dalle imposte e dai contributi, oltre alla forte contrazione nell'erogazione del credito che ha caratterizzato l'azione degli istituti di credito nei confronti soprattutto delle piccole imprese».

Pur continuando ad essere il peggior pagatore d'Europa, in questi primi mesi del 2013 lo Stato italiano e le sue Autonomie locali hanno ridotto di 10 giorni i tempi di pagamento verso i propri fornitori. Se nel 2012 le fatture venivano saldate mediamente dopo 180 giorni, quest'anno, stando all'elaborazione Cgia su dati di Intrum Justitia, i fornitori devono attendere 10 giorni in meno, cioè 170. Solo la Grecia, che nella graduatoria generale è al penultimo posto, ha fatto meglio di noi: per l' anno in corso ha accorciato i tempi di pagamento di 15 giorni.

«Vuoi per gli effetti della nuova legge nazionale entrata in vigore dal primo gennaio di quest'anno che ha recepito la Direttiva europea contro i ritardi dei pagamenti, vuoi perchè nel Paese si è diffusa una certa sensibilità nei confronti di questo problema - conclude Bortolussi - sta di fatto che la Pa italiana paga i propri fornitori con maggiore celerità. Questa è un'inversione di tendenza importante, ma non ancora sufficiente, visto che rimaniamo fanalino di coda a livello europeo. Se in questo ambito le Pa di Grecia e di Cipro continuano ad essere più efficienti della nostra, vuol dire che il lavoro da fare è ancora molto».
 
ripresa per la fine 2013 inizio 2014

dopo DUE anni di forte recessione anticipata da quasi 10 anni di stagnazione
finalmentre qualcuno vede un po' di luce...
sperem


Prometeia nel Rapporto di previsione sull’economia italiana vede segnali positivi dal 4 trimestre

Prometeia ha presentato il Rapporto di Previsione (Luglio 2013) sulle prospettive di breve-medio termine dell’economia internazionale e italiana.


Le esportazioni aiuteranno l’economia italiana ad uscire dalla recessione nel 2014
Riprendono gli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto
Gli incentivi fiscali frenano il ridimensionamento degli investimenti in costruzioni
Disoccupazione al 12,7% a metà del 2014
Quando alla fine di giugno il governatore della Fed ha chiarito le modalità operative di un fatto già ben noto — il rientro dalle politiche monetarie estremamente espansive una volta che le condizioni economiche lo consentano — il rialzo dei rendimenti a lungo termine che ne e seguito ha portato con se anche un ampliamento dello spread sui titoli sovrani italiani, a segnalare quanto la nostra economia sia ancora fragile e suscettibile alle vicende internazionali anche non direttamente legate ad essa. Sotto questa luce, quindi, è evidente come il cammino che la nostra economia ha davanti rimane sul filo del rasoio, nonostante gli ultimi mesi abbiano confermato che il grande sforzo compiuto per riportare sotto il 3% l’indebitamento/Pil sta rappresentando una sorta di “pilota automatico” per la conduzione dell’economia italiana, quantomeno nella considerazione degli investitori esteri. Consolidare questo risultato ritornando a crescere e la sfida degli anni a venire.
Il 2013 è iniziato con un’altra, pesante, caduta di attività economica (-0.6% il Pil, – 0.5% la produzione industriale) e le informazioni disponibili fanno ritenere che tale caduta proseguirà fino a tutta l’estate, anche se con intensità via via minore. Complessivamente la caduta del Pil nel corso di quest’anno dovrebbe essere pari all’1.9% (con una prima variazione positiva nell’ultimo trimestre) contro il -2.4 del 2012 e in vista dell’aumento dello 0.7% nel 2014. La crescita del Pil potrebbe superare l’1% nel 2015 e attestarsi all’1.5% nel 2016 riflettendo un contributo della domanda interna nell’ordine di 1 punto percentuale.
Mentre nel secondo trimestre dovrebbe essersi ridotto il contributo negativo degli investimenti in costruzione (in concomitanza con quella che si riteneva sarebbe stata la scadenza degli incentivi), nel terzo sarà l’avvio di una ripresa delle esportazioni e una attenuazione del ritmo di contrazione dei consumi a guidare, molto lentamente, l’economia italiana fuori dalla recessione. Fondamentale sarà l’allentamento dei vincoli alla liquidità di famiglie e imprese sia col contributo del sistema bancario sia con l’avvio del pagamento degli arretrati da parte delle amministrazioni pubbliche. Uscita dalla recessione che potrà materializzarsi nel quarto trimestre dell’anno, quando gli investimenti si uniranno alle esportazioni tornando a salire. Nel frattempo la ricostituzione dei magazzini avrà ripreso a fornire un contributo positivo alla crescita.
Quanto alla domanda interna, la politica fiscale non potrà mutare la sua intonazione restrittiva ma l’uscita dalla procedura per disavanzi eccessivi consentirà di raggiungere l’obiettivo di equilibrio nel saldo strutturale, vincolo oramai inserito in Costituzione, con più lentezza di quanto prefiguravano i passati Programmi di Stabilità. Sia quest’anno che nel 2014 l’indebitamento netto delle Ap rimarrà nell’intorno del 3% e solo nel 2016, a ripresa avviata, potrà scendere sotto al 2%.
La crescita dell’economia italiana ritornerà, dopo il 2014, a superare l’1%, trainata dalla domanda internazionale, da un ciclo degli investimenti che si manterrà comunque modesto, sia per il livello molto basso raggiunto dal grado di utilizzo degli impianti industriali sia per l’elevato stock di costruzioni inutilizzate, dal ritorno alla crescita della spesa delle famiglie. Per queste ultime, si imporra la necessita di destinare gli incrementi di reddito anche a ricostituire parte del risparmio e della ricchezza erosi durante gli anni di crisi: tornerà quindi a scendere la propensione al consumo dai livelli massimi raggiunti nel 2012. L’occupazione smetterà di cadere nel 2014, gradualmente rientreranno al lavoro parte dei cassintegrati, si tornerà ad assumere ma, come accaduto nelle recessioni passate, saranno necessari molti anni perché la disoccupazione torni al livello pre-crisi. Non sarà sufficiente l’orizzonte di previsione, al termine del quale vi saranno ancora 500 mila occupati in meno rispetto al 2007 e il tasso di disoccupazione sarà ancora oltre l’11%.
Esportazioni

L’andamento delle esportazioni presenta una caduta dell’1.9% nel primo trimestre di quest’anno, anche per la forte flessione della componente dei servizi. Per le merci, la flessione è risultata più contenuta (-1%); essa è riconducibile al protrarsi della debolezza delle vendite nei paesi europei e alla minore espansione nell’aree extra europee. Nei mesi più recenti tale caduta sembra arrestarsi sia nei dati di origine doganale, sia nei giudizi delle imprese sull’andamento degli ordini dall’estero. In ogni caso, l’aspetto principale dell’evoluzione macroeconomica nel corso del 2013 è costituito dal quasi azzeramento del contributo alla crescita del Pil da parte delle esportazioni, la cui crescita dovrebbe passare dal 2.2% del 2012 allo 0.1% del 2013, per ritornare su valori nell’intorno del 4% negli anni successivi. In tal modo le esportazioni svolgeranno ancora una volta la funzione di traino per l’uscita da una fase recessiva.
Investimenti

E’ probabile che la fase di aggiustamento degli investimenti prosegua fino al terzo trimestre, pur con intensità decrescente, prevalendo gli effetti di un modesto clima di fiducia, di ancora incerte prospettive per la domanda e di sfavorevoli condizioni di finanziamento. Il previsto rafforzamento della domanda estera dovrebbe però favorire la ripresa dell’attività di accumulazione nel quarto trimestre dell’anno in corso. Essa si consoliderebbe nel periodo successivo con il miglioramento della domanda interna, traendo beneficio oltre che dal pagamento dei debiti delle Amministrazioni pubbliche anche dal miglioramento delle condizioni di finanziamento interno. Dopo il calo del 7.3% che Prometeia stima per la media dell’anno in corso e che porta a una diminuzione quasi del 17% rispetto ai livelli del 2010, gli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto risulterebbero la componente più dinamica della domanda interna, con un incremento che potrebbe superare, in media, il 3% annuo.
Prometeia ritiene probabile che la proroga e il temporaneo potenziamento degli incentivi fiscali agli interventi riguardanti la ristrutturazione edilizia e la riqualificazione energetica degli edifici possano frenare il ridimensionamento degli investimenti in costruzioni residenziali soprattutto nella seconda metà del 2013. Ciò consentirebbe di contenere nel 5.3% la caduta di questa componente degli investimenti (-6.3% nel 2012). La fase di aggiustamento potrebbe concludersi nel corso del 2014, portando a un livello degli investimenti in edilizia residenziale inferiore del 25% circa ai massimi pre-crisi.
Occupazione

Le misure appena varate dal governo, pur se limitate nella dimensione e nell’impegno finanziario, vadano nella giusta direzione di favorire l’occupazione di giovani e di persone che giovani non sono ma che hanno perso il lavoro. Ma il problema del mercato del lavoro è in questo momento soprattutto un problema di carenza di domanda, di fronte alla quale l’incentivo monetario o la flessibilizzazione rischiano di avere una efficacia limitata. Con un orizzonte più lungo, è opportuno che si prosegua sulla strada intrapresa, riducendo ulteriormente la segmentazione del mercato del lavoro tra lavoratori protetti e non, e potenziando gli strumenti per la formazione dei giovani e dei disoccupati.
Nel frattempo, l’evoluzione dell’occupazione continuerà a essere dominata dalla debolezza del ciclo economico. L’attenuazione nel corso dell’estate del ritmo di contrazione del Pil e l’inversione di segno che Prometeia prevede per il finire dell’anno allenteranno la morsa sul mercato del lavoro ma non impediranno ulteriori perdite di occupazione. Il mercato del lavoro reagisce con ritardo alla domanda, gli incentivi potrebbero aumentarne l’elasticità ciclica e permettere un arresto della caduta delle unità di lavoro standard in corrispondenza alla ripresa del Pil, nel quarto trimestre dell’anno. In questa seconda fase recessiva, iniziata a metà del 2011, sarebbero dunque andate perse 780 mila unità di lavoro. La caduta delle posizioni lavorative proseguirà ancora per qualche trimestre poiché, in un primo stadio, il recupero avverrà reimpiegando lavoratori posti precedentemente in Cig. Processo che si interromperà nella seconda metà del prossimo anno, portando a -500 mila il bilancio della recessione in termini di addetti.
Pure nell’ipotesi che non si ripeta il fenomeno del 2012 e che dunque l’offerta di lavoro rimanga sostanzialmente invariata rispetto ai livelli attuali, il tasso di disoccupazione continuerà a salire e potrebbe raggiungere il 12.7 % a metà del prossimo anno.
By GPG Imperatrice
Mail: gpg.sp@email.it
 
Un paese sfranto.

Un paese sfranto.Penso che questo sia l’aggettivo più adeguato per indicare lo stato reale del sentimento nazionale in questo momento. E’ come essere testimoni di uno sfilacciamento del tessuto connettivo del paese, vedere e toccare con mano la disgregazione di una classe politica dirigente, ormai incapace di riuscire a coniugare delle bugie e falsità convincenti e convenienti, se non altro, per i propri intimi, elettori, seguaci, tifosi, aderenti che dir si voglia.
Pensavo che il governo Monti fosse imbattibile, nel senso che non era possibile riuscire a mettere su un governo peggiore del suo; un governo che in un tempo così breve (16 mesi) fosse capace di attuare soltanto gravi danni strutturali alla nazione, produrre un immobilismo assoluto, abbattere il credito alle imprese, produrre disoccupazione, aumentare la povertà del 18% in un anno, e riuscire a portare l’intero sistema bancario italiano da un già preoccupanterating di A—a quello ben più tragico di BBB. Il tutto, va da sé, senza fare la riforma elettorale, senza varare il reddito di cittadinanza, senza tagliare i costi della politica, senza abbassare il debito, senza pagare 1 euro (nel senso di euro uno) alle aziende che vantano crediti da almeno tre anni.[crediti bloccati dal gov.Berlusconi]

E invece, era possibile metter su un governo peggiore.



A naso –ma sarebbe un grave errore pensare così- ci sarebbe da dire, all’italiana, “siamo nelle mani di un branco di incompetenti”, e in tal modo creare avvilimento, depressione sociale, passività, perché davanti agli incompetenti (se e quando hanno potere) non esiste opposizione né antagonismo ma soltanto resa incondizionata, da cui discende una naturale e necessaria assuefazione a un sistema composto da personaggi immeritevoli di cui si può tranquillamente affermare “non sanno che cosa stanno facendo”: non è così.
Lo sanno benissimo, invece.
Non devono guidare l’aereo per farci atterrare. Devono farlo guidare a dei bagnini travestiti da piloti ai quali hanno detto “voi non vi preoccupate, oggi è tutto elettronico e guidato a distanza: indossate la divisa, state lì seduti a far finta di pigiare su dei pulsanti (tanto sono finti) mentre le hostess dotate di tette strategiche distribuiscono i drinks e fanno vedere ai passeggeri i video dei loro programmi preferiti. Intanto le manovre le facciamo noi dalla torre di controllo via satellite e l’atterraggio lo guidiamo noi. Non c’è problema. Voi non dovete fare nulla. Anzi, meno fate meglio è”.
A questo punto esistono quattro interpretazioni che corrispondono alle seguenti categorie di persone:
A) Catastrofisti. Pensano che dieci minuti prima dell’atterraggio, i piloti bagnini capiscono che non c’ è collegamento con la torre di controllo e si buttano giù con il paracadute, e noi andremo a sfracellarci. E’ composto da individui di spessore diverso, si va dai faciloni complottisti da bar a solide menti come Krugman, Bagnai, la Napoleoni, e tanti altri. Poi ci sono quelli
B). Realisti. Pensano, invece, che atterreremo indenni senza problemi. Solo che invece di sbarcare all’aereoporto di Montevideo per andare tutti in vacanza in uno splendido resort a Punta del Este, finiamo nella giungla del Congo e ce la dovremo vedere con zanzare, scorpioni, serpenti, selvaggi, e abituarci alla sopravvivenza nella foresta perché la vita è diventata, all’improvviso, primitiva. Ci sono poi (maggioranza assoluta) i
C). Illusi Mitomani. Pensano che i piloti siano tali, oppure pensano che, anche se bagnini, chi li guida è amorevolmente interessato a farci atterrare morbidamente perché “siamo troppo grandi per fallire” e quindi non possono correre il rischio di far andare in bancarotta la compagnia di aeronavigazione e quindi c’è un àncora di salvataggio. Infine i
D). Visionari. Hanno una chiara visione della situazione complessiva e pensano che, essendo la situazione estrema, non si potrà verificare un esito diverso da quello estremo: i pessimisti pensano che o l’aereo esplode o va a sbattere da qualche parte; gli ottimisti immaginano una rivolta dei passeggeri, i quali sequestrano i bagnini piloti e tra l’amena pattuglia dei turisti si trova qualcuno che sa guidarlo in modo tale da consentire un atterraggio di emergenza in un luogo, diciamo così, “normale”.
Io pencolo (a seconda delle ore della giornata) tra i Visionari e i Realisti, penso che questo sia chiaro ai miei lettori.
Purtroppo, l’italianità –nella sua stragrande maggioranza- ha optato per la soluzione C. Lo dicono anche. Sia Berlusconi che Letta hanno impostato la loro educazione al paese basandosi su questo assunto che oggi –è bene che ve lo stampiate bene in mente- è quello che viene veicolato a gran voce ma è FALSO. Clamorosamente FALSO.
Noi, eravamo “too big to fail”.
Ma non lo siamo più grazie al berlusconismo e al piddismo.

Avete visto che cosa è accaduto in Brasile venti giorni fa? Manifestazioni popolari contro il governo diramate su tutti gli schermi per giorni e giorni.
Come è andata a finire?
Li hanno sedati? No.
Li hanno uccisi? No.
Li hanno incarcerati? No.
Seguitano a manifestare ma noi non lo sappiamo perchè censurano la comunicazione della protesta? No.
Il governo li ha calmati mettendoci una pezza? No.
Il governo li ha calmati promettendo che farà e ha rimandato ad altra data i problemi da affrontare? No.

Ma allora, che cosa è accaduto?
Semplice: il Brasile, ormai, è troppo grande per fallire. Quindi il sistema mondiale non può permettersi una rivolta popolare. Se il Brasile salta, la Fiat finisce nei guai fino al collo.
Se salta l’Italia, a Marchionne, forse, dispiace, io questo non lo so. Ma so per certo che le azioni Fiat rimangono indenni. E accade lo stesso anche alla Mercedes, alla BMW, al gruppo Allianz, alla Deutsche Bank, alla BASF. Se il Brasile salta la Germania perde 14 punti di pil. Esportano molto più in Brasile che non in Italia, divenuto un paese di straccioni perché le zie e le nonne non spendono più avendo la responsabilità di dover sostenere caterve di persone. Idem per la Francia, per la Renault, per Yves Saint Laurent, per i produttori di vini locali e di formaggi che hanno invaso il mercato brasiliano consentendo un succoso surplus alla bilancia dei pagamenti dei cugini Galli. Se l’Italia salta sono dolori, ma non è un dramma. Basta comprarsela, per evitare guai. Ed è ciò che sta accadendo serenamente.


Dunque, che cosa è accaduto in Brasile?

Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale si sono precipitati lì e si sono riuniti con il governo. La presidenta Dilma ha preso quindi il toro per le corna, ha incontrato i rivoltosi, si è fatta dare i dieci punti del loro programma, li ha letti, e ha risposto. Ne ha accettati 8 di quei punti. Ma alla brasiliana, non all’italiana. Da noi i governanti avrebbero detto “fateci fare i mondiali nel 2014, le olimpiadi nel 2016 e poi ci sono pezzi di torta per tutti, ne riparliamo”. I brasiliani sono una etnia pragmatica. Se affrontano un problema è perché lo vogliono risolvere, altrimenti parte subito il machete. E così hanno immediatamente dato seguito agli accordi venendo incontro alle richieste della popolazione.
Nel 2003 il Brasile era ancora una nazione di pezzenti, se paragonata all’Italia.
Il loro pil viaggiava intorno ai 1250 miliardi mentre quello italiano si attestava intorno ai 1600, con una differenza di almeno un +30%. L’Italia era la sesta potenza al mondo. Il Brasile la 13esima. La povertà in Brasile raggiungeva la cifra di 60 milioni di persone, pari al 31% della popolazione. In Italia arrivava a un triste 2,8 milioni pari al 5% della popolazione e già l’Unesco era in allarme. Dei cento manufatti più richiesti nel mondo globale, il Brasile non ne produceva neppure uno; l’Italia era leader in almeno 25 segmenti. Dal punto di vista militare, l’Italia non contava nulla se non come colonia della Nato, ma il Brasile ancora meno non avendo neppure dei fucilotti da tiro a segno.
Nel 2013 (dati ufficiali di giugno) la situazione è molto diversa. L’Italia è stata retrocessa al nono posto, il Brasile è la sesta potenza industriale del pianeta. L’Italia rimane una colonia militare della Nato che non conta nulla, il Brasile è diventato una potenza militare. Il pil italiano viaggia intorno ai 1500 miliardi di euro, avendo perso soltanto negli ultimi 4 anni (dati Confindustria resi pubblici ieri mattina da Giorgio Squinzi) almeno 9 punti in percentuale. Il pil del Brasile viaggia intorno ai 2.100 miliardi. L’Italia viaggia al ritmo di un -2/3% l’anno e decresce da 29 mesi a questa parte, mentre il Brasile cresce al ritmo di un +6/8% l’anno e cresce in tutti i settori merceologici. Dei primi 100 manufatti, l’Italia è ormai presente soltanto in 4 comparti, il Brasile è entrato occupando 17 posti. L’indice di povertà in Brasile è oggi situato intorno a 18 milioni di persone corrispondente all’ 8,8% della popolazione. In Italia viaggia ormai (dati ufficiali Istat) intorno gli 8,4 milioni per una percentuale del 14% e una tendenza all’aumento che annuncia il raggiungimento del 18/20% entro il 2014. Per motivi militari (questa è l’unica ragione vera) l’Italia non viene espulsa dalle riunioni del G8 (non avendone più alcun diritto) sostituita dal Brasile. Ma a gennaio del 2014 il governo brasiliano porterà formalmente la richiesta e quello sarà il primo shock per gli italiani, così si accorgeranno davvero che cosa sta accadendo. La borsa valori di Milano è considerata di serie B con tendenza alla serie C, è la 18esima del mondo. Se domani tutte le aziende falliscono a MIlano, nel resto del mondo finanziario non accade nulla. Se fallisce la Borsa di Rio de Janeiro crolla il pianeta: è il più importante mercato finanziario del continente americano dopo Wall Street. Marchionne ha più soldi investiti a Rio che non a Milano. Anche Pirelli e la Marcegaglia.
Poiché siamo un paese della Nato (e quindi utili agli anglo-americani) e siamo un paese dell’euro (e quindi utili ai tedeschi e ai francesi) hanno deciso che non potevamo fallire. La verità non è perché “siamo troppo grandi per fallire”, bensì “ci conviene farvi fallire a modo nostro”.
E’ ciò che stanno facendo.

E’ come accompagnare un malato terminale verso una fine soft, nel nome della compassione umana.

Dopo 25 anni di globalizzazione, ormai, si è tutti un po’ parenti. Le etnie e le nazioni hanno imparato a riconoscersi l’un l’altra nelle proprie peculiarità. Tant’è vero che il bambino coreano si sveglia un mattino e sostiene che butterà una bomba atomica su Hollywood ma non accade nulla, se non una scocciata telefonata di Obama al presidente cinese nella quale chiede educatamente di servire una camomilla al suo protetto: si sa che quello è fatto così. E la cosa finisce lì. Hanno imparato a conoscerci fino in fondo e hanno capito che da noi non è possibile lavorare, fare mercato, innovare, produrre, investire e quindi ci hanno abbandonato al nostro destino. E’ una buona notizia per i sovranisti: una occasione storica da non perdere. E così hanno creato le condizioni ottimali per realizzare ciò che si sta già verificando sotto i vostri occhi: la finanza tedesca e il loro mondo bancario assumerà il totale controllo del sistema finanziario e bancario italiano (pena l’affondamento inglorioso e il collasso ufficiale) mentre il mondo industriale francese –sponsorizzato e finanziato dai tedeschi- coronerà la sua mai celata ambizione che cova dai tempi di Napoleone: impossessarsi dell’intero settore italiano del tessile, lusso, biscottificio, vini, formaggi, moda, e così eliminare dalla scena il più agguerrito, importante, potente concorrente che da sempre li aveva battuti su quei terreni: il Made in Italy.
La gente ignora che le Assicurazioni Generali Venezia e il gruppo SAI e quello Nord appartengono ormai al gruppo Allianz. Quando venne varato il governo Monti, sei giorni dopo l’assunzione del potere, l’allora ministro Corrado Passera fu costretto a rinunciare al suo incarico di presidente di Intesa S.Paolo. Indicò il suo erede, l’uomo della Merkel; aveva lavorato per 24 anni al gruppo Allianz in Germania dimostrando competenza, bravura, intelligenza, ma soprattutto una totale fedeltà e dedizione agli interessi corporativi della finanza tedesca. Fu un atto di deferenza addirittura inaspettato per i tedeschi (neppure loro pensavano che gli italiani se la sarebbero bevuta, ma a questo serviva il PD: a farla bere a tutti) e spinse la Merkel a dichiarare quasi subito “sono davvero impressionanti i progressi dell’Italia”. Aveva ragione. Il nostro banchiere ha fatto un ottimo lavoro, creando una solida struttura che consentirà a brevissimo –parliamo qui di tre mesi al massimo- al secondo colosso finanziario italiano di essere accorpato ai tedeschi, grazie all’incrocio azionario di funzionari e fondazioni bancarie che avvieranno la procedura (e agli italiani, va da sé, non verrà detto nulla, di questo potete star tranquilli; non troverete nessun giornalista che farà mai neppure una domanda).
Una volta che la finanza tedesca e l’imprenditoria d’assalto francese avranno completato il lavoro grazie a Letta/Alfano/Monti, ci accompagneranno con bonomia verso la porta d’uscita. Senza neppure farci fallire, in modo tale da non provocare scossoni ai loro interessi. A quel punto diventiamo la comoda pattumiera del pianeta: ci becchiamo aerei militari inutili che non funzionano, mangiamo yogurt e biscotti francesi pensando che siano italiani, apriamo conti correnti in banche dal nome italiano pensando che siano italiane, e così via dicendo. Il pil seguiterà a scendere, il bilancio pubblico seguiterà a lievitare. Quando, a un certo punto, eventualmente, dovesse corrispondere ai loro interessi farci uscire dall’euro, lo faranno. Altrimenti seguiteranno a foraggiarci, come i parenti poveri, un po’ maleducati e volgari, che si sopportano a Natale nel nome della compiacenza familiare e della compassione umana.
Tutto ciò per tranquillizzarvi: non accadrà nulla.
Come ha detto Mario Draghi (e ha detto la verità) “abbiamo inserito il pilota automatico” quindi i bagnini travestiti da piloti possono anche mettervi paura o darvi allegria, imbonirvi o informarvi, non ha importanza. Per loro si tratta di guadagnare tempo per chiudere “la partita Italia”. Sono impiegati assunti con questa specifica mansione e niente altro.
E sapete che vi dico?
Purtroppo –lo dico con il cuore stretto dal pudore patriottico- ce lo siamo davvero meritato. Berlusconi, Bersani, D’Alema, La Russa, Fini, Cicchitto, Casini, Veltroni, Alfano e compagnia cantante, non sono stati scelti dalla Merkel o dalla CIA o da Putin o dal Papa o dai cinesi.
Sono stati un’invenzione tutta italiana, partorita dall’italianità.
Quindi, la responsabilità al 100% è nostra e soltanto nostra.
Fintantochè questo principio non verrà incorporato, compreso, digerito, non sarà possibile realizzare l’unica possibilità vincente, quella che io auspico, sogno, e allucino, con ottimismo, nelle mie solitarie notti patriottiche di italiano smarrito quanto innamorato, quella della categoria D) Visionari nella sezione “passeggeri che si rivoltano, sequestrano i bagnini e trovano il pilota capace di eseguire un atterraggio d’emergenza in modo tale che nessuno si faccia del male”.
E’ il mio sogno nascosto, la mia utopia. Ci penso sempre.
Comincio davvero a essere stanco di ascoltare le improvvide uscite dei bagnini attualmente al comando delle operazioni nella cabina di pilotaggio.
La chiamano “cabina di regia”.
Ma il film non è quello che vi raccontano.
Il fatto è che hanno alterato i codici della comunicazione. Hanno preso una tragedia e ve la stanno presentando come se fosse una farsa o si trattasse di una commedia degli errori. Non lo è. Non sono incompetenti, non sono dei cialtroni, non sono degli inetti.
Sono impiegati ben istruiti e molto ben addestrati.
Devono semplicemente “chiudere” la pratica Italia nella maniera migliore.

Colpa nostra che ci siamo fidati di gente così anche per un solo secondo, per un minuto, per un voto, per una elezione.


Lì li abbiamo messi noi, e loro lì stanno.




LINK ALL'ARTICOLO DI SERGIO DI CORI MODIGLIANI
 
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Debiti PA a 120 miliardi. Stato fallito: tassa e non paga

Debiti PA a 120 miliardi. Stato fallito: tassa e non paga
SE SI RIMANE NELL’EURO, questo e solo questo ci attende; PER DECENNI.
Cioè il ciclo oscillerà sempre e solo tra stagnazione e recessione: e con una frequenza allarmante e distruttiva.
DEFICIT, PAREGGIO DI BILANCIO E PSEUDO-RIPRESA


Scritto il 16 luglio 2013 alle 09:30 da Paolo Cardenà
Per chi se le fosse perse, e ad ogni buon conto, faccio il montaggio delle risposte date alle pertinenti osservazioni fatte da Lorenzo Carnimeo:
“Una cosa va detta: tecnicamente, se accettano di lasciare nel breve periodo il deficit al 3%, può in effetti verificarsi un periodo di assestamento con crescita poco sopra lo 0,…
Ma questa è un’ipotesi che non tiene conto della bilancia dei pagamenti: questa ha avuto un miglioramento “ante mortem”, dovuto alla restrizione fiscale della domanda interna (aumenti dell’IVA e delle accise sui carburanti, con generale e drastica caduta dei consumi).
Tuttavia, la recessione (innescata dalle manovre dell’estate 2011 e seguenti) ha inciso in modo strutturale sull’offerta nazionale: la caduta simultanea e drammatica di investimenti e consumi, porterà alla incapacità di produrre quanto una “eventuale”domanda, non dico in crescita, ma anche solo “stabilizzata”, potrà comportare.
Ecco allora che, dopo una fase di stagnazione (crescite 0,3…) che verrà salutata come ripresa, la bilancia dei pagamenti (in tutte le sue voci, non solo per la partita “merci”, beninteso), ritrascinerà l’Italia in recessione e si procederà a nuova deflazione salariale (unico metodo di correzione conosciuto in UEM), nuova caduta della domanda, nuova deindustrializzazione da caduta della domanda; e perciò calo del PIL, del gettito fiscale, acuito da furiosi tagli della spesa pubblica (in risposta) e quindi fallimento successivo dell’obiettivo di deficit.
SE SI RIMANE NELL’EURO, questo e solo questo ci attende; PER DECENNI.
Cioè il ciclo oscillerà sempre e solo tra stagnazione e recessione: e con una frequenza allarmante e distruttiva.
Esattamente come prefigura ciò che è accaduto dal 2002 ad oggi.
Quindi non avremmo una “ripresina”; in realtà sarebbe una “non recessione”. Cioè crescita prossima allo zero, ma non negativa (sostanziale stagnazione).
Cerco di farla sintetica:
il margine di spesa pubblica è in realtà estraneo a ciò; come dice pure Munchau si tratta di programmi risibili. Quelli attuali e pure i futuri; gli sbandierati cofinanziamenti esigono pur sempre un concorso di spesa nazionale, contabilmente ridotto a essere simbolico;
- la “non recessione”, nella visione paradossale e ormai fuori dalla realtà dei responsabili della nostra economia, è in realtà dovuta:
a) al fatto stesso di consentire il mantenimento di un deficit e di non perseguire con immediatezza il pareggio tecnico (-0,50, in assenza di congiuntura);
b) il che significa di non dover calibrare, con la stessa frequenza e dimensione degli ultimi 2 anni, manovre di austerity su questo obiettivo, lasciando, più o meno i conti come stanno e attendendo, secondo le “loro” previsioni, che la deflazione salariale aumenti la competitività e l’export;
- questa stessa aspettativa conferma che la recessione è dovuta tutta alle politiche fiscali!;
- poichè invece la crisi è di domanda, anche lasciando le cose come stanno (più o meno, e comunque per il 2014, perchè il 2013 è già di recessione), la domanda interna calerà lo stesso e non potrà essere sostituita da quella estera “aggiuntiva”, perchè mancati investimenti e deindustrializzazione nazionali sono stati portati troppo in là,mentre i nostri vicini UEM soffrono di problemi analoghi e il livello del cambio non ci consente una vera espansione extra-UEM;
- differenziali di interessi, credit crunch, crollo del valore patrimoniale di assets finanziari e immobiliari, porteranno poi ad una ulteriore forte fuga di capitali, i cui rendimenti permarranno all’estero e non verranno reimportati (fenomeno simile alla fuga delle expertise migliori, cervelli e relativi redditi in fuga);
- siccome non sanno PERCHE’ E DOVE SBAGLIANO, di fronte alla caduta della domanda (interna e estera), e quindi di gettito fiscale (e persino con innalzamento di spesa per disoccupazione), non sapranno far altro che tassare ancora e tagliare la spesa comprimibile (che si allargherà a dismisura, con acclamazione mediatico-livorosa). Nel tentativo di arrivare prima o poi al “pareggio di bilancio”.
Risultato: brevi stagnazioni preluderanno a fasi recessive da ripresa della austerity.
Vorrebbero andare avanti così all’infinito gli ITALIAN-PUD€, non avendo capito il moltiplicatore e cosa non funzioni nel vincolo di cambio.
Perchè l’euro, per loro, è irrinunciabile e la deflazione salariale come prospettiva illimitata nel tempo li esalta troppo.
Ora, fresca di giornata, arriva la notizia ANSA che conferma al 100% questo quadro.
“La Commissione Ue ”consentira’ deviazioni temporanee dal raggiungimento dell’obiettivo di medio termine” che consentiranno ”investimenti pubblici produttivi”, cofinanziati dalla Ue. Lo ha annunciato il presidente Jose’ Barroso e oggi il commissario Olli Rehn scrivera’ ai ministri per spiegare il nuovo approccio.
La Commissione, ha spiegato Barroso, “ha esplorato ulteriori modi all’interno del braccio preventivo del Patto di Stabilità (cioé per chi è sotto il 3% di deficit e quindi fuori da procedura, ndr) per realizzare investimenti pubblici non ricorrenti con un impatto provato sulle finanze pubbliche”. E oggi quindi Barroso ha annunciato che “quando la Commissione valuterà i bilanci nazionali per il 2014 e i risultati di bilancio del 2013, considererà di consentire deviazioni temporanee del deficit strutturale dal suo percorso verso l’obiettivo di medio termine (per l’Italia è il pareggio strutturale nel 2014-2015, ndr) fissato delle raccomandazioni specifiche per Paese”. Tale deviazione”deve essere collegata a spesa pubblica su progetti co-finanziati dalla Ue nell’ambito della politica strutturale e di coesione, delle reti trans-europee e della ‘Connecting Europe Facility’ con un effetto nel lungo termine positivo, diretto e verificabile sul bilancio”.
Puddo-piddini di tutte le “etnie” festanti. Un trionfo!
Ma la prospettive sono puntualmente quelle sopra enunciate. Il discorso è questo: “per il 2014 vi consentiamo di mantenere il deficit al 3%, ma solo se ci “piace” quello che fate in termini di spesa, chiamandolo “investimenti” (cioè supply side per produrre ma non si sa, per le ragioni dette, per vendere a chi).
Per il 2015, l’obiettivo deve essere il “prossimo al pareggio di bilancio”, cioèl’obiettivo “strutturale” da cui non si può deviare. E lo ribadiscono.
Nella migliore delle ipotesi, per chi ha capito il moltiplicatore e il funzionamento del saldi settoriali: se non verrà impostata una riduzione del deficit “a consuntivo” del 2013,pseudo-ripresina nel 2014 e, alla fine di tale anno, massiccia manovra riduttiva del deficit per il 2015 (sul deficit che risulterà a fine 2014: e ci sarà da divertirsi, per così dire, dato che sarà molto difficile persino mantenere il deficit al 3%).
Quindi nuova inevitabile recessione…e manovre correttive per “promuovere la crescita” attraverso la “virtuosità” fiscale.
 
secondo me la crisi in italia era gia' partita nel 2005

fino al 2007 sono arrivati per inerzia di tasse (mica di produzione)

fino al 2011 il sistema bancario italiano ha tenuto perche' e' il piu' costoso e furtivo del mondo

fino al 2013 ha tenuto il debito pubblico italiano grazie alla manovra Monti sava ricchi opps Italia!

adesso hanno messo un governo di quel tipo che si mette ad una azienda che sta per fallire ;)

ma davvero pensate che una multinazionale andrebbe a scegliere gli elementi che ora sono al governo come management :D
 

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