Quali sono gli effetti?
L’importanza della riforma risiede nelle sue implicazioni di lungo termine e nel suo
potenziale contributo alla stabilità macroeconomica e finanziaria globale. La
reazione di breve termine (calo delle quotazioni obbligazionarie negli Stati Uniti,
apprezzamento dello yen) è basata su assunti discutibili che potrebbero facilmente
rivelarsi fallaci.
Non è necessariamente vero che cala la necessità per i cinesi di accumulare titoli
obbligazionari esteri. Un punto che molti dimenticano, ma che mi pare le simulazioni
precedenti dimostrano esistere, è che il nuovo regime non previene pressioni
speculative al rialzo o al ribasso, che potranno perciò ancora scaricarsi sulle riserve valutarie (cioè in acquisti, nel primo caso, o vendite, nel secondo, di titoli di stato
esteri). Aggiungerei che la modestia della rivalutazione iniziale potrebbe stimolare
nuovi flussi speculativi in ingresso e, quindi, portare a maggiori, non minori, acquisti.
Né va dato per scontato che il concetto di “equilibrio” di bilancia dei pagamenti sia
equivalente a un concetto di parità tra importazioni ed esportazioni, vista
l’importanza che per il regime cinese ha il mantenimento di un elevato ritmo di
crescita economica. Per altro, il ruolo delle transazioni ufficiali quest’anno è già stato
nettamente ridimensionato rispetto al biennio 2003-04 grazie alla ripresa dei flussi
privati verso l’area del dollaro, senza che ciò abbia fatto salire i tassi a lungo
termine. Quindi, il calo delle quotazioni dei titoli di stato americani ed europei, per
quanto atteso (cfr. Economia e mercati finanziari – maggio 2005), dovrebbe
rappresentare un fenomeno circoscritto; su questo fronte, non vediamo un
cambiamento strutturale a sfavore dei bonds, nonostante la tendenza allo
steepening emersa giovedì sull’onda dell’evento: semmai, sono i fondamentali
macroeconomici domestici a suggerire come probabile un rialzo dei tassi a lungo
termine.
Un’altra teoria tutta da verificare è che con il nuovo regime si accentuerà la
diversificazione delle riserve valutarie cinesi, con implicazioni negative per gli US
treasuries e positive per il Bund. Tuttavia, le riserve valutarie cinesi, a causa della
dimensione imbarazzante, potevano e dovevano essere diversificate ben prima
della riforma; non è quindi scontato che il nuovo regime comporti una discontinuità
su questo fronte.
Sul fronte valutario, lo yen ha recuperato l’1,8% sul dollaro, mentre l’euro è rimasto
quasi fermo. Anche questi effetti erano stati sostanzialmente anticipati nella nostra
analisi di maggio. La maggiore flessibilità dello yuan dovrebbe allentare la pressione
sull’euro e (riducendone le ricadute economiche negative) agevolare la ripresa dello
yen.
In termini di impatto competitivo, si riduce l’impatto negativo sull’Europa di grossi
deprezzamenti del dollaro, ma si smorzano anche i benefici di ampi apprezzamenti
(come quello recente). Nel lungo periodo, l’orizzonte sul quale la riforma assume il
maggiore significato, potrebbe aiutare a ridurre il gap competitivo tra la Cina e il
resto del mondo, con benefici potenzialmente più rilevanti per gli altri paesi
emergenti. Inoltre, potrebbe stimolare lo sviluppo delle importazioni cinesi. Tuttavia,
ciò potrebbe richiedere nuovi interventi sul regime di cambio, con rivalutazioni più
ampie di quelle implicite nell’applicazione meccanica della regola del paniere. Nel
breve termine, vista la modestissima entità della rivalutazione, le conseguenze sono
trascurabili.