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E' bello, virile e fa innamorare le donne. Le tribù irochesi non potrebbero desiderare un testimonial migliore. Il capo pellerossa Cervo Bianco è in Europa per rivendicare – davanti alla Società delle Nazioni – i diritti degli Indiani d’America.
Forte di un certo fascino esotico, l’uomo calamita l’interesse delle folle e attrae una platea di seguaci sempre crescente. Il suo tour italiano è ovunque accolto con entusiasmo. Con il suo carisma conquista un pubblico eterogeneo, composto da autorità e alti prelati, nobili e popolani, giornalisti e generali.
Sembra disporre di ricchezze illimitate. Dispensa mance a reduci di guerra, vedove e orfani, ma le donazioni più cospicue sono a favore della Federazione Provinciale Fascista. (1) A Fiume viene proclamato “fascista ad honorem”. Ad Ancona lo accoglie un drappello ufficiale che intona l’inno Giovinezza! A Bari riceve una seconda tessera fascista. (2)
Nell’estate del 1924 Cervo Bianco vuole incontrare Benito Mussolini. Per il Duce è un’occasione da non perdere: nei giorni del delitto Matteotti, Cervo Bianco è la “distrazione di massa” perfetta. L’incontro salta all’ultimo momento, ma verrà sceneggiato lo stesso in un romanzo del 1980. Nella ricostruzione di Ernesto Ferrero, il principe pellerossa si fa annunciare come Chief White Elk Tewanna Ray. Un po’ capo politico e un po’ sciamano, Cervo Bianco mostra doti di chiaroveggenza, invitando il Duce a fare attenzione all’ulcera allo stomaco: «Io che ho pratica di medicina, riconosco questi mali. Me ne accorgo dal respiro, dagli occhi, da come tengono le mani, da come si muovono.» (3) Ma c’è anche finezza psicologica dietro la “visione endoscopica”: «È abbastanza frequente che un Capo di Stato abbia l’ulcera…» (4)