Ricucci, il finto ingenuo del quartierino
da Repubblica.it:
Ricucci, il finto ingenuo del quartierino
di GIUSEPPE TURANI
L'attrice Anna Falchi, che lo ha sposato, con un certo coraggio, in comunione dei beni, sostiene che Stefano è un bravo ragazzo, molto onesto, e soltanto un po' ingenuo. Questa della Rcs, aggiunge poi la signora è stata la sua prima operazione nel mondo dell'alta finanza, e qualcosa è andato storto. Adesso, conclude, lui vorrebbe vendere le azioni Rcs, ma perché nessuno gliele compra? Insomma, ingenuo lui, e ingenua anche lei.
In verità Stefano Ricucci è tutto meno che un ingenuo. Nel giro di pochissimi anni, partendo da un pezzo di terreno che gli avevano lasciato i genitori in un paesino fuori Roma, ha messo insieme un patrimonio di varie centinaia di milioni di euro.
O, forse, un patrimonio di alcuni miliardi di euro (a sentire lui, quando era sulla cresta dell'onda). Come questi soldi sono stati fatti non è mai stato chiarito fino in fondo.
Si sa che il grosso viene fuori da operazioni immobiliari, cioè dalla compravendita di immobili. Operazioni che, si sa, sono per la loro stessa natura sempre un po' misteriose e un po' discrezionali. E infatti abbiamo appena visto che una di queste operazioni ha creato un terremoto dentro la Confcommercio di proporzioni quasi bibliche, con un presidente, il Sergio Billè, indagato e perquisito come un malfattore qualsiasi, e con tutta l'organizzazione confusa e incerta.
Attenti studiosi dei conti di Ricucci (per quel che si è riusciti a fare sino a oggi) hanno notato grandi movimenti di immobili all'interno della ragnatela di società dell'ex odontoiatra romano. Ingenuo, forse, ma certamente svelto, già agli inizi della carriera.
Ma Ricucci, affari immobiliari a parte, tanto ingenuo non era. I suoi affari con il duo Fiorani-Gnutti risalgono a molto tempo fa e hanno i contorni, se non della truffa, certamente dell'ingegnosità. Con azioni e immobili che girano fra i tre come una trottola, e con i soldi che alla fine saltano fuori dall'unico posto possibile: e cioè dalla casse dell'allora Banca Popolare di Lodi, cioè dalle tasche dei correntisti della Lodi.
Poi c'è quel suo abilissimo infilarsi dentro la scalata alla Bnl, un'operazione dalla quale esce con vari milioni di euro di plusvalenza. E' vero che in quella stessa occasione Francesco Caltagirone (costruttore e padrone del Messaggero) non vuole avere niente da fare con lui e contesta persino che abbia diritto al titolo di immobiliarista.
Insomma, il Ricucci mostra già nei suoi esordi due abilità:
1) Si muove con grande disinvoltura nel mondo degli immobiliaristi, un mondo di furbi e molto scivoloso. Per lungo tempo in questo mondo, dove tanti sono crollati dopo due operazioni, lui sta a galla e fa moltissimi milioni (tanti da ordinare un jet privato, poi restituito perché gli affari sono andati male, dopo la prima rata).
2) Ha un talento particolare nell'individuare quelli che poi lui stesso chiamerà "i furbetti del quartierino", cioè Fiorani e Gnutti. E da loro si fa subito accettare. Si fa accettare talmente bene da Fiorani che, alla fine, salterà fuori che a finanziare l'insensata scalata alla Rcs è stato proprio il banchiere di Lodi, con diverse centinaia di milioni di euro.
Ma sarà proprio per eccesso di furbizia che Ricucci troverà la sua fine. Sarà la scalata alla Rcs. Nessuno ha ancora capito bene che cosa contava di fare. Probabilmente qualcuno gli aveva detto (Gnutti? Fiorani?) che il patto di sindacato della Rcs era vicino alla fine, che l'establishment era diviso e pronto a gettare la spugna. E lui aveva voluto prenotarsi un posto in prima fila per il day-after del "Corriere", con l'idea magari di rivendersene un po' dopo, con qualche lauto guadagno. Oppure, si era convinto che tutto il vecchio capitalismo italiano stava franando e che il futuro sarebbe stato appunto dei furbetti. Quando avessero avuto in mano la Bnl, la Popolare di Lodi (già loro) e l'Antonveneta, con in più la protezione totale del Governatore Fazio (e l'amicizia della potente Unipol), chi avrebbe osato negare loro le chiavi di via Solferino?
Ma niente è andato come pensava Ricucci. La scalata alla Rcs si è rivelata quasi subito come una stupidaggine (che alla fine costerà all'ex odontoiatra almeno 200 milioni di euro). Il patto di sindacato Rcs ha tenuto. I furbetti hanno fatto una seri di passi falsi e sono arrivati i magistrati e le guardie di finanza, con le loro micidiali microspie e le loro intercettazioni.
Da quel momento il mondo dei furbetti e di Ricucci ha cominciato a rotolare verso l'abisso. Opa su Antoveneta saltata, Fiorani fuori dalla Lodi e in galera, plusvalenze congelate e sequestrate, conti bloccati. Con in più Fiorani e gli altri della Lodi (a San Vittore) che parlano, parlano e sembra che siano solo ansiosi di dire tutto, ma proprio tutto. Insomma, ormai non si tiene più niente, non esistono più trincee difensive, bugie astute e vie di fuga. E' la fine, in una parola.
Ricucci, per la verità, lo aveva capito già da qualche settimana, quando, una mattina, si era presentato nello studio dell'avvocato Vittorio Ripa di Meana, dicendogli: "Faccia lei quello che può". Il più sorpreso, quella mattina, era proprio l'avvocato. Ripa di Meana non è una persona qualsiasi, non è un avvocato pronto a nascondere, a omettere, a fare confusione per il suo cliente. In più è anche un personaggio con buoni agganci con tutto l'establishment italiano. Spiega a Ricucci che non ci saranno sconti. E Ricucci accetta. Perché? Perché al punto in cui sono arrivate le cose, l'unica strada è quella di presentarsi davanti ai magistrati e all'opinione pubblica con una faccia presentabile (quella di Meana) e con un'aria assolutamente dimessa, senza più nessuna arroganza.
E infatti Meana manda tutti a casa, Ricucci e i suoi tirapiedi. E mette gente nuova al comando dell'impero un po' confuso di Ricucci. Chiama i revisori dei conti.
Insomma, mette il suo assistito sulla strada della verità o, almeno, della trasparenza dei conti e delle operazioni. E lascia anche capire che il patto di sindacato, per ora, ha assai poca intenzione di tirarlo fuori dai guai comprandogli le famose azioni Rcs rastrellate con i soldi di Fiorani in vista di chissà quale cataclisma capitalistico.
Ricucci accetta tutto e accetta, soprattutto, di sparire dalla circolazione. Non rilascia più interviste, non dice più che arriverà al 30 per cento di Rcs, non dice più che lancerà un'Opa sul Corriere. La carriera di Ricucci, a essere sinceri, finisce proprio quella mattina, nello studio di Vittorio Ripa di Meana. Quella è la resa del più furbo dei furbetti.
Poi, due giorni fa, l'ex odontoiatra comincia a sentire un tintinnio di manette. Lo sente lui perché lo sentono tutti. Dopo Fiorani e soci, a chi può toccare se non a lui? Il ragazzo, benché ingenuo (come sostiene la moglie) ne ha combinate tante e per tanto tempo.
Ecco, allora, una replica della scena già fatta nello studio dell'avvocato Meana. Solo che quella l'ha già fatta. Adesso ci vuole una scena madre: e quindi si precipita dai magistrati. E dice: voglio parlare. E anche lui comincia a parlare, a parlare, a parlare. Probabilmente cercherà di mettere nei guai qualche altro furbetto, per allontanare qualche responsabilità da se stesso.
Niente più scalate, niente più assalto alle roccaforti del capitalismo, niente più jet privati e alberghi di lusso. Ma un solo obiettivo: evitare la galera. A tutti i costi.
(22 dicembre 2005)