Benedetto lascia L'Espresso
Benedetto lascia L'Espresso
«Epocale, un cambiamento epocale». Così lo definisce, magari con incomprensibile enfasi per chi guarda al mondo dei giornali non con occhi interessati, un noto editore nonché suo amico. In effetti l'addio di Marco Benedetto all'Espresso è di quelli che fanno rumore.
Per rendere l'idea, si può dire che "il mastino di Genova", come affettivamente ma non tanto lo chiamano i suoi collaboratori, sta all'editoria almeno come Mike Bongiorno alla storia della televisione. Classe 1945, storico amministratore delegato del gruppo, era arrivato in via Po nel lontano 1984 costruendosi fin da subito la fama di manager duro e carismatico. «Un uomo con un grande senso della leadership, cui il mondo appare sempre privo di mezze tinte: o è nero o è bianco», commenta uno che ha lavorato a lungo con lui. «Uno che non parla, ma urla sempre, anche quando deve farti un complimento» dice un altro del suo carattere sanguigno.
Sta di fatto che dopo 24 anni di onorata militanza e tante soddisfazioni, l'uomo che urla sempre, il burbero capace però in privato di qualche tenerezza, chiude il suo lungo sodalizio con Carlo De Benedetti. Non è un mistero che tra i due, complice anche la cattiva congiuntura che sta attanagliando l'editoria, quel rapporto solido, anche nella dialettica spesso accesa che lo ha caratterizzato, si fosse di parecchio incrinato. Una spia che qualcosa non andava si era accesa la scorsa primavera in occasione delle vicende che avevano preceduto la successione ai vertici della Fieg, materia dove solitamente Benedetto la faceva da padrone. Stavolta invece è stato l'Ingegnere a impegnarsi in prima persona trovando un alleato in Francesco Gaetano Caltagirone, l'editore del Messaggero guarda caso molto critico sul modo in cui l'a.d. dell'Espresso stava gestendo la partita.
Una scelta quella di Benedetto, almeno a sentire le voci di corridoio, presa di comune accordo con l'Ingegnere, a cui ha già presentato la lettera di dimissioni. Dimissioni accettate perché De Benedetti, dopo la separazione dell'Espresso dalle altre attività del gruppo che verrà formalizzata a ottobre con la scissione che sdoppierà la Cir, ha intenzione di seguire con più assiduità la sua casa editrice. I tempi sono grami, la Borsa bastona tutto ciò che odora di carta, la pubblicità e i collaterali smagriscono, dunque gli toccherà, almeno stando alle sue ultime esternazioni, dar corso a un forte processo di ristrutturazione.
Per quanto riguarda il successore, la ricerca si è focalizzata su un manager bravo nel risanare bilanci e attento al mondo editoriale. La scelta è caduta su Monica Mondardini, Cfo di Generali in Spagna, ex manager della Fabbri, di Hachette e di Europe Assistance. Prima di lei il posto era stato offerto a Gianmario Tondato, ad di Autogrill e con un passato in Mondadori, che però ha rifiutato. Benedetto, ma l'interessato non ha ancora deciso cosa intende fare, potrebbe rimanere come consulente per seguire alcune delle attività collaterali del gruppo.
Per l'Espresso l'uscita del suo storico timoniere è il secondo cambiamento che si realizza nello spazio di poche settimane: prima la scissione dalla casa madre, un tema che per mesi era stato oggetto di uno schietto e a volte duro confronto tra l'Ingegnere e suo figlio Rodolfo, fautore di quella divisione che il mese prossimo le assemblee delle aziende coinvolte sono chiamate a ratificare.
Ora la fine di un lunghissimo interregno, iniziato nel 1984 quando Benedetto, allora amministratore delegato della Stampa dopo che Luca di Montezemolo gli aveva affidato, lui giovane corrispondente estero dell'Ansa, l'ufficio stampa della Fiat. Dal giornale di casa Agnelli Benedetto se ne andò inopinatamente chiamato da Carlo Caracciolo all'Espresso.
Una mossa che contrariò non poco l'Avvocato, non si sa se più perché suo cognato gli aveva soffiato il manager, o perché il manager aveva snobbato la Stampa per andare a lavorare in una gruppo che lui considerava "minore". Più tardi, quando gli amici gli chiesero il perché di quella strana decisione, Benedetto disse di averlo fatto per anticipare le mosse di chi voleva cacciarlo. E l'identikit del chi in questione aveva molti tratti che somigliano a quelli di Cesare Romiti, allora potentissimo amministratore delegato della Fiat.
di Paolo Madron
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