L’esordio di Christine Lagarde alla guida della Bce non fa presagire nulla di buono per l’Eurozona

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L’esordio di Christine Lagarde alla guida della Bce non fa presagire nulla di buono per l’Eurozona
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Christine Lagarde iStock
Il timing, occorre ammetterlo, era abbastanza disgraziato. Perché presentarsi alla prima vera conferenza stampa da numero uno della Bce dopo quella in cui Jerome Powell ha assicurato tassi fermi negli Usa per tutto il 2020 e in contemporanea con il tweet nel quale Donald Trump confermava la cancellazione di nuove tariffe contro i beni importati dalla Cina previste per il 15 dicembre, appariva missione improba anche per il più consumato istrione. Oltretutto, partendo da un presupposto irrinunciabile: senza nulla voler togliere alla statura della ex governatrice dell’Fmi, i fuochi artificiali dell’ultimo Mario Draghi di stagione avevano instradato non poco il percorso monetario dell’Eurotower, di fatto garantendo una rotta da pilota automatico quantomeno fino alla prossima primavera.



Christine Lagarde, però, ha voluto ribadire i concetti chiave: primo, i tassi resteranno fermi a lungo al livello attuale o anche inferiore. Secondo, il Qe da 20 miliardi di acquisti mensili proseguirà fino a quando necessario. E dove necessario viene declinato davvero in concetto open-ended, visto che si è parlato a chiare lettere dell’istante “immediatamente precedente al primo rialzo dei tassi”. E se la logica del sincrono con la Fed deve rappresentare un punto di riferimento, la questione non finirà sul tavolo di discussione del board prima del 2021. Ma siccome la bontà non è di questo mondo, ecco che nelle sale trading qualcuno ha voluto far notare i tre punti in cui, nonostante l’assenza di grandi aspettative da parte degli operatori, Christine Lagarde ha palesemente posto in essere il comandamento di Jean-Claude Trichet. Ovvero, quando le cose si fanno davvero serie, un banchiere centrale ha l’obbligo di mentire.



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Per la numero uno di Francoforte, infatti, “l’area euro non sta affatto sperimentando un processo di giapponesizzazione” dovuto alla costante discesa dei tassi, fino all’area negativa di quello di deposito. Questo grafico di Bank of America

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sembra platealmente smentire l’ex numero uno dell’Fmi, visto che la discesa sottozero operata dalla Bank of Japan è occorsa dopo 16 anni di continua contrazione del costo del denaro, mentre la Bce ha decisamente tagliato i tempi, intervendo in tal senso molto prima. Ovviamente, la differenza sta nell’arco temporale, visto che quello dell’Eurotower in quanto “sovrintendente” dell’eurozona parte dal dicembre 2001 e nell’unicum creato dalla crisi finanziaria del 2008, un qualcosa che ha costretto tutte le Banche centrali a operare con strumenti straordinari. Difficile, però, negare una deriva nipponica, pur con tutte le debite differenze.

Seconda bugia, quando – pur ammettendo che il board sia molto attento agli eventuali effetti collaterali – la Lagarde ha dichiarato che “i tassi negativi, ad oggi, paiono funzionare“. La domanda, al netto di questo grafico

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pare però essere una sola e sorgere spontanea: per chi? Non certo per lo stesso comparto bancario che proprio alla Bce fa riferimento. E se l’amministratore delegato di Deutsche Bank, Christian Sewing, pare avere gioco facile – stante il momento tutt’altro che positivo che sta attraversando il suo istituto – nel condannare sia i tassi negativi che la riattivazione degli acquisti obbligazionari diretti, l’attacco più duro è giunto da Oswald Grueber, ex CeO di Credit Suisse prima e Ubs poi, a detta del quale “i tassi negativi sono semplicemente una follia. Significa, sostanzialmente, che il denaro non vale più niente. Un presupposto dal quale si può desumere che finché durerà questo regime, l’industria finanziaria continuerà a contrarsi”. E ancora, l’attuale CeO di Ubs, Sergio Ermotti, a detta del quale “l’imposizione da parte della Bce dei tassi di interessi negativi ha portato all’assurdo ontologico di banche che non vogliono più detenere depositi, un qualcosa che incide negativamente sul sistema sociale e sulle dinamiche del risparmio in generale“.

Infine, la terza considerazione in negativo. Questa volta rispetto a un’omissione e non a un’affermazione. Questo grafico

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sempre contenuto in un report di Bank of America, mostra come l’anno che sta per chiudersi sia da considerarsi d’oro per l’obbligazionario investment grade, quantomeno a livello di inflows. C’è però un problema: ad oggi, la Bce sta allocando il 25% dei 20 miliardi al mese di acquisti diretti sul mercato attraverso il nuovo Qe proprio verso il comparto corporate, arrivando nella prima settimana di intervento ad acquistare direttamente sul mercato primario (ovvero, in asta) obbligazioni di Daimler e Shell e detenendo quattro bond di Lvmh, di fatto diventando “sponsor occulto” della scalata a Tiffany. Il problema, a detta di molti analisti, è duplice.

Primo, quante cosiddette zombie firms resteranno in vita a dispetto dei santi (e dei bilanci) grazie a questo programma di esplicito sostegno del comparto?

Secondo, ce lo mostrano questi due grafici finali

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Se da un lato l’ultimo gradino del livello di investimento obbligazionario appare quello che ha accumulato il maggiore carico di leverage, dall’altro alcune politiche di sostegno – come quelle della Bce, appunto – hanno anche dato vita a un’inversione nella percezione di rischio, tale che oggi il grado BBB appare più a buon mercato del maggiormente rischioso (e non investment grade, quindi non detenibile a bilancio da tutti) universo del BB, di suo costretto per status e sopravvivenza a pagare un premio di rischio maggiore. Se qualcosa dovesse cambiare e, a fronte di un vero e proprio muro di maturities obbligazionarie fra la primavera del 2020 e l’estate del 2021, l’incapacità di questi soggetti – tanto amati per la loro capacità di garantire ancora un rendimento accettabile – di onorare il carico di debito che hanno accumulato, portasse giocoforza a una riprezzatura di mercato e a una serie di downgrade/defaults? Cosa farebbe la Bce, a parte la questione di lana caprina del poter statutariamente continuare a detenere quella carta a bilancio? L’effetto fallen angels, ben chiaro alla Fed e quasi maniacale per la Bank of Japan, è quantomeno entrato nei fogli di studio dell’Eurotower? Tutte criticità cui, prima o poi, Christine Lagarde dovrà fornire delle risposte. Sperando che sia più poi, che prima.
 

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