lo Stato giudaico comanda-noi obbediamo-3 guerra mondiale

tontolina

Forumer storico
La terza guerra mondiale è già iniziata»
Maurizio Blondet
01/06/2006
Dan Gillerman ambasciatore di Israele all’ONULo ha detto Dan Gillerman, ambasciatore di Israele all’ONU, durante una riunione di routine di valutazione dei lavori del Consiglio di Sicurezza: «La terza guerra mondiale è già cominciata», ed ha invitato «le forze che furono alleate nella seconda guerra mondiale ad agire ‘contro l’asse del terrore’, che ha identificato in ‘Iran, Siria, Hamas e Hizbullah’» (1).
Il messaggio non può essere sottovalutato.
Perché sembra indicare l’imminenza della «nuova Pearl Harbor» attesa dal regime israelo-americano per attaccare l’Iran, l’attentato «islamico» che tanti dei nostri informatori temono sia stato programmato a Berlino durante i mondiali di calcio.
Diversi altri segnali concorrono a questo esito (2).
Per esempio, l’improvvisa acquiescenza di Condoleezza Rice ad accedere a trattative dirette tra USA ed Iran.
Salutato dai media come un positivo cambiamento di linea e una grande apertura, esso è probabilmente il segno che gli USA si stanno vestendo della pelle dell’agnello in attesa che l’evento tragico e spettacolare di Berlino possa dimostrare che con gli iraniani «è impossibile trattare» in quanto «terroristi», secondo la linea programmatica dettata una volta per tutte da Sharon, e dare il via all’aggressione.



Va ricordato che due portaerei USA sono state spostate nel Golfo, insieme ad una corazzata francese.
Un altro segnale inquietante è l’esercitazione navale della NATO che sta per aver luogo nel Mar Nero: dove, per la prima volta dalla fondazione dell’Alleanza Atlantica nel ‘49, «le forze navali di Israele sono pienamente integrate» nell’apparato militare atlantico.
Fino ad oggi, gli israeliani hanno potuto solo fare la parte degli osservatori in questo tipo di manovre.
Ora appare che la NATO ha inglobato un nuovo alleato alla chetichella e senza alcuna trattativa se non segreta: gravissima circostanza per cui Israele riceve l’appoggio dell'Alleanza Atlantica senza alcuna condizione di reciprocità da parte dello Stato ebraico.
Un’alleanza a senso unico.
Dove gli europei si trovano, senza saperlo, con un «alleato» che è in guerra virtuale con tutti i vicini, e che ci trascinerà nella sua guerra.
La «terza guerra mondiale» annunciata da Gillerman.
Alon Ben David, analista militare ebreo della rivista Jane’s Defence Weekly, ha dichiarato alla Reuter che questa ampia cooperazione delle «armate straniere con Israele» avviene «in preparazione di un possibile conflitto con l’Iran».
Già otto navi da guerra del Comando Sud della NATO (certamente anche italiane) sono all’àncora nel porto di Haifa, dove resteranno fino al 4 giugno, per poi spostarsi nel Mar Nero davanti alle coste romene.



Qui simuleranno «combattimenti contro flottiglie di motoscafi veloci lanciamissili» (una delle armi, tipo MAS, su cui punta l’Iran per contrastare l’aggressione) e «operazioni di ricerca e recupero» di piloti caduti in mare.
Ciò proprio nei giorni in cui a Berlino tutte le TV del mondo seguiranno i mondiali, pronte ovviamente a riprendere il super-attentato in programma.
A bordo di una delle navi NATO, di nazionalità spagnola, il generale ebreo Yochai Ben Yosef ha esaltato questo «nuovo passo avanti nelle relazioni tra NATO e Israeli Defense Force».
Il generale iberico Lopez Calderon ha confermato i «rafforzati legami» con lo stato sionista - di cui non pare che il governo di Zapatero abbia detto nulla al suo parlamento - aggiungendo che le forze navali NATO mantengono un alto grado di «preparedness» (prontezza) allo scopo di «dispiegare le forze in ogni momento e in ogni regione entro il raggio di 3 mila miglia marine»: raggio che comprende ampiamente il Golfo Persico.
Del resto, da mesi la NATO ha spostato i suoi aerei radar AWACS in Israele per la necessaria copertura della zona di conflitto.
Sui media israeliani (non su quelli europei) si è fatta l’ipotesi che Israele stia per chiedere formalmente di entrare nell’Alleanza.
Ma altissimi gradi dell’armata israeliana lo hanno negato, con questa strepitosa motivazione: «L’appartenenza formale all’alleanza limiterebbe la capacità di Israele di applicare la forza in modo indipendente. Una maggiore cooperazione con la NATO serve agli interessi israeliani, e rafforza strategicamente Israele nel caso decida di agire in modo unilaterale contro le installazioni nucleari dell’Iran» (3).



Come volevasi dimostrare: siamo alleati con un alleato che si mantiene libero di provocare una guerra, mentre noi siamo obbligati a seguirlo nelle sue guerre.
Noi c’impegniamo, ma Israele non s’impegna a nessuna fedeltà né concertazione preliminare.
In altre parole: lo Stato giudaico comanda, noi obbediamo.
E i nostri politici «di sinistra», il neoministro della Difesa Parisi, il superministro degli Esteri D'Alema?
Zitti e mosca.
Saranno almeno al corrente?
Capiscono la gravità della situazione?
Per ora, il solo Stato che ha dato segno di capire l’anomalia etica, giuridica e militare dell’inglobamento surrettizio di Israele nell’alleanza è stata la Svezia, Paese neutrale che partecipa solo alle manovre NATO della «partnership for peace».
Nei primi giorni di maggio, la Svezia ha rifiutato di mandare i suoi caccia alle manovre congiunte «Volcanex» tenutesi in Sardegna a Perdasdefogu, proprio perchè vi era stata imbarcata, a sorpresa e in segreto, Israele.
Jan Eliasson, il segretario di Stato svedese per gli Esteri, è stato esplicito e chiarissimo: «Lo scopo delle nostre attività ed esercitazioni è di preparare la cooperazione con altre nazioni per missioni di promozione della pace, che sono generalmente basate su un mandato ONU. Lo scopo delle manovre primaverili ‘Volcanex’ è sempre stato quello di cooperare in futuri dispiegamenti per il mantenimento della pace. Questo scopo non è più servito se uno degli Stati (partecipanti all’esercitazione) non partecipa ad operazioni di mantenimento della pace né vi parteciperà nel prossimo futuro».



Questa è dignità nazionale.
Parisi e D’Alema ne hanno mai sentito parlare?

Maurizio Blondet




--------------------------------------------------------------------------------
Note
1) «Gillerman: world war III already begun», Associated Press, 31 maggio 2006. L’asserzione dell’ambasciatore sionista ha dato la stura ad un vero litigio con il diplomatico siriano Ahmed Alhariri, che ha detto: «Israele deve cessare questo ricatto verso le Nazioni Unite. Noi tutti sappiamo che la fonte del terrorismo nella regione è la continuata occupazione di territorio arabo, e l’espulsione dei palestinesi dalle loro terre, come anche la continua aggressione contro gli arabi e la negazione dei loro diritti fondamentali».
2) Tra questi indizi vanno probabilmente inserite le improvvise trasmissioni di Matrix (Mentana, Canale 5) volte a screditare la tesi che l’11 settembre sia stato un auto-attentato. In vista dell’11 settembre berlinese, la necessità di parare in anticipo le obiezioni dei «complottasti» diventa urgente.
3) «Israeli naval forces will join NATO exercise for first time», Arutz Sheva, 30 maggio 2006.




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Re: lo Stato giudaico comanda-noi obbediamo-3 guerra mondial

tontolina ha scritto:
La terza guerra mondiale è già iniziata»
Maurizio Blondet
01/06/2006
Dan Gillerman ambasciatore di Israele all’ONULo ha detto Dan Gillerman, ambasciatore di Israele all’ONU, durante una riunione di routine di valutazione dei lavori del Consiglio di Sicurezza: «La terza guerra mondiale è già cominciata», ed ha invitato «le forze che furono alleate nella seconda guerra mondiale ad agire ‘contro l’asse del terrore’, che ha identificato in ‘Iran, Siria, Hamas e Hizbullah’» (1).
Il messaggio non può essere sottovalutato.
Perché sembra indicare l’imminenza della «nuova Pearl Harbor» attesa dal regime israelo-americano per attaccare l’Iran, l’attentato «islamico» che tanti dei nostri informatori temono sia stato programmato a Berlino durante i mondiali di calcio.
Diversi altri segnali concorrono a questo esito (2).
Per esempio, l’improvvisa acquiescenza di Condoleezza Rice ad accedere a trattative dirette tra USA ed Iran.
Salutato dai media come un positivo cambiamento di linea e una grande apertura, esso è probabilmente il segno che gli USA si stanno vestendo della pelle dell’agnello in attesa che l’evento tragico e spettacolare di Berlino possa dimostrare che con gli iraniani «è impossibile trattare» in quanto «terroristi», secondo la linea programmatica dettata una volta per tutte da Sharon, e dare il via all’aggressione.



Va ricordato che due portaerei USA sono state spostate nel Golfo, insieme ad una corazzata francese.
Un altro segnale inquietante è l’esercitazione navale della NATO che sta per aver luogo nel Mar Nero: dove, per la prima volta dalla fondazione dell’Alleanza Atlantica nel ‘49, «le forze navali di Israele sono pienamente integrate» nell’apparato militare atlantico.
Fino ad oggi, gli israeliani hanno potuto solo fare la parte degli osservatori in questo tipo di manovre.
Ora appare che la NATO ha inglobato un nuovo alleato alla chetichella e senza alcuna trattativa se non segreta: gravissima circostanza per cui Israele riceve l’appoggio dell'Alleanza Atlantica senza alcuna condizione di reciprocità da parte dello Stato ebraico.
Un’alleanza a senso unico.
Dove gli europei si trovano, senza saperlo, con un «alleato» che è in guerra virtuale con tutti i vicini, e che ci trascinerà nella sua guerra.
La «terza guerra mondiale» annunciata da Gillerman.
Alon Ben David, analista militare ebreo della rivista Jane’s Defence Weekly, ha dichiarato alla Reuter che questa ampia cooperazione delle «armate straniere con Israele» avviene «in preparazione di un possibile conflitto con l’Iran».
Già otto navi da guerra del Comando Sud della NATO (certamente anche italiane) sono all’àncora nel porto di Haifa, dove resteranno fino al 4 giugno, per poi spostarsi nel Mar Nero davanti alle coste romene.



Qui simuleranno «combattimenti contro flottiglie di motoscafi veloci lanciamissili» (una delle armi, tipo MAS, su cui punta l’Iran per contrastare l’aggressione) e «operazioni di ricerca e recupero» di piloti caduti in mare.
Ciò proprio nei giorni in cui a Berlino tutte le TV del mondo seguiranno i mondiali, pronte ovviamente a riprendere il super-attentato in programma.
A bordo di una delle navi NATO, di nazionalità spagnola, il generale ebreo Yochai Ben Yosef ha esaltato questo «nuovo passo avanti nelle relazioni tra NATO e Israeli Defense Force».
Il generale iberico Lopez Calderon ha confermato i «rafforzati legami» con lo stato sionista - di cui non pare che il governo di Zapatero abbia detto nulla al suo parlamento - aggiungendo che le forze navali NATO mantengono un alto grado di «preparedness» (prontezza) allo scopo di «dispiegare le forze in ogni momento e in ogni regione entro il raggio di 3 mila miglia marine»: raggio che comprende ampiamente il Golfo Persico.
Del resto, da mesi la NATO ha spostato i suoi aerei radar AWACS in Israele per la necessaria copertura della zona di conflitto.
Sui media israeliani (non su quelli europei) si è fatta l’ipotesi che Israele stia per chiedere formalmente di entrare nell’Alleanza.
Ma altissimi gradi dell’armata israeliana lo hanno negato, con questa strepitosa motivazione: «L’appartenenza formale all’alleanza limiterebbe la capacità di Israele di applicare la forza in modo indipendente. Una maggiore cooperazione con la NATO serve agli interessi israeliani, e rafforza strategicamente Israele nel caso decida di agire in modo unilaterale contro le installazioni nucleari dell’Iran» (3).



Come volevasi dimostrare: siamo alleati con un alleato che si mantiene libero di provocare una guerra, mentre noi siamo obbligati a seguirlo nelle sue guerre.
Noi c’impegniamo, ma Israele non s’impegna a nessuna fedeltà né concertazione preliminare.
In altre parole: lo Stato giudaico comanda, noi obbediamo.
E i nostri politici «di sinistra», il neoministro della Difesa Parisi, il superministro degli Esteri D'Alema?
Zitti e mosca.
Saranno almeno al corrente?
Capiscono la gravità della situazione?
Per ora, il solo Stato che ha dato segno di capire l’anomalia etica, giuridica e militare dell’inglobamento surrettizio di Israele nell’alleanza è stata la Svezia, Paese neutrale che partecipa solo alle manovre NATO della «partnership for peace».
Nei primi giorni di maggio, la Svezia ha rifiutato di mandare i suoi caccia alle manovre congiunte «Volcanex» tenutesi in Sardegna a Perdasdefogu, proprio perchè vi era stata imbarcata, a sorpresa e in segreto, Israele.
Jan Eliasson, il segretario di Stato svedese per gli Esteri, è stato esplicito e chiarissimo: «Lo scopo delle nostre attività ed esercitazioni è di preparare la cooperazione con altre nazioni per missioni di promozione della pace, che sono generalmente basate su un mandato ONU. Lo scopo delle manovre primaverili ‘Volcanex’ è sempre stato quello di cooperare in futuri dispiegamenti per il mantenimento della pace. Questo scopo non è più servito se uno degli Stati (partecipanti all’esercitazione) non partecipa ad operazioni di mantenimento della pace né vi parteciperà nel prossimo futuro».



Questa è dignità nazionale.
Parisi e D’Alema ne hanno mai sentito parlare?

Maurizio Blondet




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Note
1) «Gillerman: world war III already begun», Associated Press, 31 maggio 2006. L’asserzione dell’ambasciatore sionista ha dato la stura ad un vero litigio con il diplomatico siriano Ahmed Alhariri, che ha detto: «Israele deve cessare questo ricatto verso le Nazioni Unite. Noi tutti sappiamo che la fonte del terrorismo nella regione è la continuata occupazione di territorio arabo, e l’espulsione dei palestinesi dalle loro terre, come anche la continua aggressione contro gli arabi e la negazione dei loro diritti fondamentali».
2) Tra questi indizi vanno probabilmente inserite le improvvise trasmissioni di Matrix (Mentana, Canale 5) volte a screditare la tesi che l’11 settembre sia stato un auto-attentato. In vista dell’11 settembre berlinese, la necessità di parare in anticipo le obiezioni dei «complottasti» diventa urgente.
3) «Israeli naval forces will join NATO exercise for first time», Arutz Sheva, 30 maggio 2006.




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http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1204&parametro=
ho seguito in parte l'ultima trasmissione del beduino

è un appellativo che si merita soprattutto perchè ha fatto un'analogia tra un romanzo (codice da vinci) e le immagini filamte del crollo delle torri gemelle
anzi direi del crollo delle 3 torri

ha lasciato intendere che la teoria del complotto si basa su preupposti opinabili


cioè
il crollo delle torri in quel modo (come se fossero state minate ad arte) afflosciandosi su loro stesse e fondendo l'acciaio per altre settimane
lui lo assimila ad un bel romanzo di fantasia


di fronte ad un'ipotesi di quel tipo
giocando sull'impreparazione del pubblico ed in mancanza di contradittorio serio

HO GIRATO


già guardo poco le reti di mediaset perchè noiose
ma questo è davvero troppo
 
C’è un complotto per negare complotti
Maurizio Blondet 02/06/2006
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1205&parametro=


Jimmy Walter durante il suo tour europeo sull'11 settembreNon c’è nessun complotto nella storia.
Mai.
L’11 settembre 2001, l’immenso tragico attentato, è opera di Al Qaeda.
E’ normale, dopo aver frequentato una scuola di volo e non aver imparato, a detta degli istruttori, nemmeno a pilotare bene un apparecchietto da turismo, mettersi alla cloche di un colossale Boeing e colpire tre su quattro bersagli determinati.

E’ normale che due grattacieli d’acciaio alti mezzo chilometro, colpiti «lateralmente» da aerei, cadano in modo perfettamente «verticale»; e che ne cada un terzo, l’edificio 7, mai colpito da alcun aereo, nella stessa perfetta verticalità.
E’ normale che qualcuno, sei o sette giorni prima dell’11 settembre, abbia speculato al ribasso sulle azioni delle due linee aeree che sarebbero state colpite dal disastro - di fatto scommettendo che sarebbero crollate in Borsa - con un volume di scambi superiore del 700% rispetto al consueto.

E’ normale che un Boeing lungo 50 metri e largo 44 non lasci traccia di sé sul prato del Pentagono, non strini nemmeno la verde erbetta, nulla.
E’ normale.
Chi si pone quelle domande è un complottista, un mattoide, un ossessionato.


Ve l’hanno detto da cinque anni.
Ed ora, tutti i grandi media ve lo stanno ripetendo sempre più spesso, sempre più nervosamente: l’11 settembre non è stato un complotto.
Certe TV [alla MENTINA], che per cinque anni non hanno mai dato segno di sapere che sulla faccenda esistevano dei dubbi, ora organizzano perfino dei cosiddetti dibattiti, per discutere i fatti inspiegati dell’11 settembre, e per «spiegarli» con l’aiuto di «esperti».
Il fatto è che a Chicago si apre un convegno internazionale dal titolo «11 settembre, rivelare la verità, reclamare il nostro futuro», e quell’evento minaccia di rompere il muro di silenzio così ben conservato per cinque anni.
Si deve dunque mettere in guardia l’opinione pubblica: non credete ad una parola di quello che si dirà là, sono tutti pazzerelli, sognatori, ossessivi, persino antisemiti…tutti i complottisti sono antisemiti, assicurava anche ieri Sergio Romano sul Corriere, tutte le teorie del complotto nascono dai «Protocolli dei savi di Sion».

Ma perché tutta questa foga a screditare?
Il convegno di Chicago non merita una normale copertura giornalistica?
La merita almeno perché è una rivolta di notevole significato politico contro l’attuale governo americano; e viene dal basso, da centinaia di movimenti spontanei, da famiglie di morti nelle Twin Tower, da professori universitari, da attori come Charlie Sheen (premio Oscar per Platoon) e Susan Sarandon, da deputati come Cynthia McKinney.

Un simile movimento politico di protesta dal basso è raro negli Stati Uniti, dove la politica è ingessata dai due soli partiti «ufficiali» che non si distinguono in nulla, e dove fare politica è materia riservata a chi può spendere miliardi di dollari, che ricevono con donazioni solo i candidati politicamente corretti, ossia rassicuranti per i miliardari.
Nel convegno di Chicago ha messo dei soldi un miliardario coraggioso, Jimmy Walter, che abita (prudentemente) ad Amsterdam; ma tutto il resto viene dalle fatiche e dai risparmi di migliaia di persone comuni, che si sono messe in contatto per anni via internet; che fanno vivere sulla rete, con contribuzioni volontarie, siti che si chiamano «Cosa è veramente successo» (What Really Happened), «Domande senza risposta» (Unanswered Questions) e simili, e che hanno - tenetevi forte - oltre 4 milioni di lettori al giorno in tutto il mondo.
Assai più del Washington Post e del New York Times, i cosiddetti «grandi giornali autorevoli».
Insomma: ciò che si manifesta per la prima volta nel convegno di Chicago è un movimento di massa paragonabile a quello per i diritti civili di Martin Luther King, o a quello contro la guerra del Vietnam che dilagò nelle università americane e cambiò la vita americana e occidentale.
Per anni, i «grandi» media non hanno dato spazio ai dubbi sulla versione ufficiale (ciò che essi chiamano «teorie complottiste») con la motivazione che venivano da «frange marginali» della società, e quindi trascurabili, da mettere all'indice come folli.



Ma oggi, un sondaggio condotto dall’autorevole agenzia Zogby di New York ha appurato che 42 americani su cento sono convinti che sull’11 settembre ci sia un cover-up, un «insabbiamento» da parte di Bush, insomma che l’Amministrazione non dica tutto, che abbia qualcosa da nascondere, e che la stia nascondendo.
E 45 su cento vogliono una nuova inchiesta indipendente sul grande attentato, perché quella ufficiale fatta dal Congresso due anni fa (quasi tutta a porte chiuse, senza pubblico, e con fasci di documenti segretati) non è stata indipendente.
Certo, fra questo 45% sono in relativa minoranza quelli che sostengono che l’attentato è stato un auto-attentato del governo americano per giustificare le sue guerre in Afghanistan e Iran, notoriamente programmate prima dell’11 settembre.
Certo, la crescita dei dubbi sulla versione ufficiale fra la popolazione USA ha a che fare con l’orrendo impaludamento dell’occupazione dell’Iraq, una guerra che Bush scatenò sulla base di menzogne (le armi di distruzione di massa di Saddam) e che ha dichiarato «mission accomplished» tre anni fa.
Ma anche la protesta popolare contro la guerra in Vietnam avvenne solo quando gli americani morti sul Mekong superarono il numero di 55 mila, e 5 milioni di americani avevano partecipato alla guerra.



Il popolo americano è paziente, ma ammaestrato dall’esperienza.
Oggi, i soldati morti in Iraq sono solo 2500 circa.
Ma anche in Vietnam, nei primi tre anni di conflitto, morirono solo 2500 americani; poi ci fu l’impennata, e quelli che oggi reclamano «la verità» vogliono che la nazione prenda coscienza prima di un’altra impennata di sangue.
E’ un po’ tardi per ridicolizzare come pazzarielli, isolati e marginali, 45 americani su cento.
Per bollare come «complottiamo» quello che stanno dicendo a Chicago, ma da anni su internet: non già che l’11 settembre è un complotto (su questo, la gente comune non può avere se non indizi), ma che il governo Bush, che ha già mentito per fare entrare l’America in guerra, può aver mentito sull’attentato.
Vuol dire che il sistema di potere USA sta perdendo la sua legittimità agli occhi del suo popolo, come ai tempi del Vietnam.
E’ un fatto politico da prendere molto, ma molto sul serio.
I nostri media italiani non lo fanno.
Questo risveglio democratico di base sembra loro meritevole solo di articoli «di colore», ridanciani e leggerotti.
Perché, dopo cinque anni di silenzio sulle tesi alternative alla verità ufficiale, tanto zelo improvviso a parlarne per screditarle, su Il Corriere e su Matrix?



Nel 1968 Edward Luttwak, il noto analista del Pentagono, pubblicò con la Harvard University Press un libro di grande interesse, dal titolo significativo: «Il colpo di stato - manuale pratico». In esso, si immaginava come condurre con successo un colpo di Stato nella più grande democrazia del mondo, gli Stati Uniti.
E v’era un capitolo dedicato alla manipolazione dei media da parte degli immaginari golpisti.
In cui si legge: «Le trasmissioni radio-televisive avranno lo scopo non già di dare informazioni sulla situazione, bensì di controllarne lo sviluppo grazie al nostro monopolio sui media… le notizie di ogni piccola resistenza contro di noi agiscono come un potente stimolante ad ulteriori resistenze, perché riducono quel senso di isolamento. Quindi […] dobbiamo sottolineare con forza che essa viene da individui ‘isolati’, mal informati e disonesti, che non sono affiliati a nessun partito importante… ciò farà apparire la resistenza inutile e pericolosa».
E’ una lezione che i direttori dei nostri «grandi» media sembrano aver imparato benissimo.
Sono straordinari, nel loro partito preso di non vedere nulla di strano in quel che è successo l’11 settembre 2001; se hanno ragione loro, è inutile mandare i piloti Alitalia che passano dal Boeing all’Airbus a fare sei mesi di difficile corso, con costosi simulatori di volo; basta spedirli un paio di settimane nelle scuole di volo della Florida.



Ed è inutile spendere tanti soldi, tonnellate di esplosivo e impegno di ingegneri per fare demolizioni controllate: basta dare un bel colpo in qualunque modo, e i grattacieli vengono giù da soli in perfetta verticale.
Il mondo che ci descrivono i «grandi media» è un mondo fantastico, dove non esistono le leggi della fisica, dove le cose «accadono» senza bisogno di progettazione, dove si possono dirottare aerei armati di taglierini, dove si può telefonare coi cellulari in volo…
Dopotutto, caro ambasciatore Sergio Romano, un complotto nella storia c'è stato, ricorda? L’incendio del parlamento tedesco, il Reichstag.
Hitler proclamò che era un attentato comunista, e per salvare la patria messa in pericolo dai terroristi, assunse i poteri dittatoriali.
Oggi sappiamo che l’incendio fu opera delle SA nazionalsocialiste.
E se l’11 settembre fosse un altro Reichstag?
Perché negarlo per principio?
Si può finire per credere che la stampa ufficiosa partecipi ad un complotto per negare i complotti.
A nome di poteri che hanno tanto, troppo da nascondere.

Maurizio Blondet



Da «La Padania»




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La Fine dell'Egemonia del Dollaro

Onorevole Ron Paul di fronte alla "House of Representatives"

discorso del 15 febbraio 2006

traduzione a cura di Jacopo Perego



Cent'anni addietro la si chiamava “diplomazia del dollaro”. Dopo la II Guerra Mondiale, e soprattutto dopo la caduta dell'Unione Sovietica nel 1989, questa diplomazia lasciò il posto a una vera e propria “egemonia del dollaro”. Adesso, dopo anni di grandi successi il dominio del dollaro sta giungendo a conclusione.

Si diceva, giustamente, che colui che possiede l'oro detta le regole. In passato infatti, un commercio onesto e corretto richiedeva lo scambio tra beni che avessero un valore reale.

In principio esisteva semplicemente il baratto. In seguito si scoprì che l'oro, accettato universalmente, si poneva come un conveniente intermediario al posto delle ingombranti e difficoltose transazioni dirette. Non solo l'oro facilitava lo scambio di beni e servizi, fungeva anche da riserva di valore per coloro che volevano risparmiare per i tempi più difficili.

Benché la moneta abbia trovato una naturale evoluzione nel mercato, con l'accrescere dei loro poteri politici ed economici i governi si appropriarono presto di un controllo monopolistico sopra la stessa. Talvolta re e imperatori riuscirono a farsi garanti della qualità e purezza dell'oro. Nella maggior parte dei casi però, e nella speranza che i sudditi non scoprissero la frode, essi inflazionarono la moneta riducendone l'ammontare di metallo così da poter spendere più di quanto incassavano. Nuove imposizioni fiscali, così come l'inasprimento di quelle già esistenti, suscitavano infatti la disapprovazione dei contribuenti.

Di fronte a questa situazione molti capi di governo andarono a cercare nuovo oro fuori dai propri confini, tramite la conquista di altre nazioni. Finanziare progetti bizzarri e dispendiosi conquistando terre straniere pareva una logica alternativa al lavoro e alla produzione di beni reali. Queste conquiste non solo portavano a casa carichi d'oro, ma anche carichi di schiavi. La tassazione delle popolazioni dominate costituiva un ulteriore incentivo all'impero. La cose funzionavano per un periodo di tempo durante il quale ci si abituava a vivere aldilà dei propri mezzi, godendo panem et circenses. Il declino morale della popolazione conduceva quindi a una progressiva inerzia della stessa fin quando il limite numerico alle nazioni che potevano essere saccheggiate e derubate portava inevitabilmente al crollo dell'impero. In mancanza di nuovo oro, le potenze militari si sgretolavano. A quel punto, coloro che possedevano l'oro potevano veramente dettare le regole e vivere dignitosamente.

Questa regola generale funzionò per diverse epoche. L'utilizzo dell'oro come moneta e la salvaguardia di un commercio onesto portava le nazioni più virtuose a prosperare. Tuttavia, quando un paese dotato di un esercito potente e grandi riserve d'oro cominciava a dedicarsi alla costruzione di imperi e facili fortune con cui alimentare il proprio benessere domestico, esso segnava inevitabilmente l'inizio del proprio declino.

Oggi i principi sono gli stessi, sono i processi ad essere diversi. L'oro non è più la valuta corrente del “regno”; al suo posto, la carta. Oggi la regola è: “Colui che stampa la moneta detta le leggi”, almeno per il momento. Benché non si usi più l'oro, il meccanismo è lo stesso: indurre o obbligare Paesi stranieri, mediante la propria superiorità militare e il controllo sulla stampa di moneta, a produrre e quindi a finanziare il proprio Paese.

Poiché la stampa di cartamoneta altro non è che una contraffazione vera e propria, colui che emette la valuta internazionale può farlo solo in virtù della propria potenza militare, tramite la quale garantisce il controllo sul sistema. Questo magnifico disegno sembra rappresentare il sistema perfetto per garantire una ricchezza perpetua a quel Paese che de facto emette la valuta mondiale. L'unico problema è che un sistema del genere corrompe il carattere del popolo di quella nazione, proprio come quando l'oro era moneta di scambio e lo si otteneva tramite la conquista di altre nazioni. Ciò a sua volta mina ogni incentivo al risparmio e alla produzione, mentre allo stesso tempo incoraggia il debito e un crescente ricorso a politiche di Welfare.

All'interno dei propri confini, gli incentivi e le pressioni ad inflazionare la valuta provengono sia da coloro che beneficiano di vantaggi diretti, sia da quelli che chiedono sovvenzioni, anche a titolo di compensazione per le presunte ingiustizie inflitte da altri. In entrambi i casi il risultato è che si finisce col perdere la responsabilità personale delle proprie azioni.

Quando la carta moneta viene rifiutata, o quando l'oro finisce, la ricchezza e la stabilità politica sono perse. Il Paese dominante passa da una situazione nella quale viveva al di sopra dei propri mezzi a una nella quale è costretto a vivere al di sotto degli stessi, questo sino a quando il sistema economico e politico si adatta alle nuove regole, regole scritte da altri e non più da coloro che prima controllavano la defunta stampa della moneta.

............



Il Congresso creò nel 1913 il sistema della Federal Reserve. Da allora sino al 1971 il principio di un sistema monetario sano fu continuamente minato ed indebolito. Dal 1913 al 1971, la Federal Reserve trovò molto più semplice espandere l'offerta di moneta per finanziare guerre e manipolare l'economia, con lievi opposizioni da parte del Congresso.

Dopo la fine della II Guerra Mondiale, il dominio del dollaro aumentò considerevolmente. Fummo risparmiati dalla distruzione che colpì tante Nazioni, e le nostre casse si riempirono dell'oro proveniente da tutto il mondo. Ma il mondo non scelse di ritornare al regime del Gold Standard, e i politici ne furono compiaciuti. Stampare moneta per pagare i debiti era sicuramente più popolare che tassare le persone o limitare le spese pubbliche non necessarie. In cambio di benefici di breve termine, gli squilibri furono istituzionalizzati per i decenni a venire.

Nel 1944 gli accordi di Bretton Wood solidificarono la posizione del dollaro come la più importante riserva di valuta, rimpiazzando la sterlina inglese. Vista la nostra potenza politica e militare, e viste le immense riserve d'oro fisico, il pianeta non ci mise tanto ad accettare il dollaro (pareggiato ad 1/35 di oncia d'oro) come valuta mondiale. Si diceva che il dollaro fosse “as good as gold”, sicuro quanto l'oro, e convertibile in ogni banca centrale del mondo a quel tasso. Per i cittadini americani, comunque, l'oro rimaneva per legge illegale da detenere. Questo era il gold-exchange standard, che sin dall'inizio era destinato a breve durata.

Gli Stati Uniti, in seguito, fecero ciò che molti avevano a loro tempo predetto. Stamparono dollari per i quali non esisteva nessuna copertura reale di oro fisico. Il mondo fu contento di accettarli per oltre vent'anni senza problemi, sino alla fine degli anni '60, quando, la Francia e altri Stati chiesero agli USA di onorare la promessa fatta pagando una oncia di oro per ogni 35$. Questo portò a un rapido prosciugamento delle riserve e al conseguente crollo di un mal progettato pseudo-gold-standard.

Tutto finì il 15 Agosto del 1971, quando Nixon chiuse i rubinetti dell'oro e si rifiutò di pagare le rimanenti 280 milioni d'once d'oro. In sostanza, dichiarammo al mondo la nostra insolvenza . Divenne necessario progettare un qualche nuovo sistema monetario allo scopo di riportare la stabilità nei mercati.

Assurdamente si ideò un nuovo sistema che permetteva agli Stati Uniti di stampare cartamoneta, riconosciuta ancora come riserva valutaria mondiale, senza nessun limite o restrizione, nemmeno la pretesa di una qualche convertibilità con l'oro, niente di niente! Benché la nuova situazione fosse ancora più profondamente difettosa della precedente, si aprirono definitivamente le porte a una ulteriore crescita dell'egemonia del dollaro.

Sapendo che il mondo si stava avviando verso un qualcosa di completamente nuovo e rivoluzionario, le elites del mondo monetario, appoggiate fortemente dalle autorità americane, perfezionarono un accordo con l'OPEC in modo da fissare il prezzo del petrolio esclusivamente in dollari per tutte le transazioni mondiali. Questo conferì al dollaro una posizione privilegiata e, in essenza, agganciò il dollaro al petrolio. In cambio, gli Stati Uniti promisero di proteggere gli stati ricchi di petrolio sparsi intorno al Golfo Persico da invasioni o da rivolte interne.
Questo accordo contribuì fortemente ad infiammare il movimento islamico radicale che, in quelle regioni, si opponeva all'autorità americana. L'accordo diede inoltre un forza artificiale al dollaro, con incredibili benefici economici e finanziari per gli Stati Uniti. Ci permise di esportare la nostra inflazione monetaria comprando petrolio e altri beni all'estero, con vantaggi crescenti all'aumentare dell'influenza mondiale del dollaro.

Questa situazione post-Bretton Wood era di gran lunga più fragile di quella preesistente tra il 1945 ed il 1971. Benché l'accordo petrolio/dollaro fosse utile, non era certo stabile come il pseudo-Gold Standard; sicuramente lo era molto meno del Gold Standard, in essere alla fine del XIX secolo.

Negli anni '70 il dollaro rischiò di collassare quando il prezzo del petrolio aumentò e l'oro schizzò a 800$ all'oncia. Per salvare il sistema si dovettero portare i tassi al 21%. Le pressioni sul dollaro durante gli anni '70, nonostante i benefici accumulati, fecero venire a galla deficit di bilancio irresponsabili e generarono una grande inflazione monetaria. I mercati non si fecero ingannare dalla idea che potessimo permetterci sia la botte piena che la moglie ubriaca.

Ancora una volta però il dollaro fu salvato, e agli albori degli ani '80 iniziò una ascesa verso quel domino assoluto che dura ancora oggi. Con l'incredibile cooperazione di banche centrali e banche di commercio internazionali, si iniziò ad accettare nuovamente il dollaro come fosse oro.

Il governatore della Fed Alan Greenspan, in diverse occasioni davanti la "House Banking Commitee", rispose alle mie domande circa la sua precedente posizione riguardo l'oro, e in particolare le sue visioni favorevoli al gold standard, affermado che a lui e ad altri banchieri centrali era stata affidata della moneta di carta – i.e. il sistema del dollaro cartaceo – con il compito di trattarla come fosse oro.
Ogni volta io sottolineai che il tentativo di raggiungere quell'obbiettivo avrebbe significato andare contro a secoli di storia economica dove la moneta sentiva il bisogno e la necessità di essere un qualcosa di valore reale. Lui, pur in maniera compiaciuta e presuntuosa, mi ha sempre dato ragione.

Negli ultimi anni le banche centrali e parecchie istituzioni finanziarie, entrambe con ampi interessi nel continuare a far funzionare bene il regime del fiat-dollar-standard, non hanno fatto segreto di vendere e prestare grandi quantità di oro, ponendo seri dubbi sulla saggezza di tali operazioni. Non hanno mai ammesso di voler pilotare il prezzo dell'oro, ma è palese come speravano in una diminuzione del prezzo poiché questo avrebbe comportato una maggiore fiducia nel mercato: apparentemente erano riusciti a trasformare la carta in oro.

Un prezzo crescente dell'oro ha sempre voluto significare una diminuzione della fiducia nella moneta cartacea. Lo sforzo di abbattere il prezzo dell'oro, simile a quello compiuto per tutti gli anni '60, mirava a convincere il mondo che il dollaro fosse forte e sicuro quanto l'oro. Durante la Grande Depressione, una delle prime mosse di Roosevelt fu quella di sopprimere il libero mercato del prezzo dell'oro, importante indicatore di un sistema monetario che non funziona come dovrebbe, rendendo illegale il possesso d'oro per i cittadini americani. Alla fine la legge economica rese inutile lo sforzo, come accadde negli anni '70 quando il Tesoro e il Fmi cercarono di fissare il prezzo dell'oro vendendone tonnellate a prezzi stracciati per smorzare l'entusiasmo di quelli che cercavano un paradiso sicuro dal crollo del dollaro dopo che il possesso dell'oro fu nuovamente legalizzato.

Ancora una volta lo sforzo di ingannare i mercati sul vero valore del dollaro per tutto il ventennio tra il 1980 ed il 2000 risultò vano. Negli ultimi 5 anni il dollaro si è svalutato rispetto all'oro di più del 50%. È impossibile ingannare tutte le persone nello stesso tempo, anche con tutto il potere che possiede la Federal Reserve.

Nonostante le inadeguatezze del sistema fiat money, il dollaro continuò a prosperare. I risultati sembravano positivi, ma i grandi squilibri macroeconomici interni continuarono a crescere. E come al solito, a Washington i politici americani cercano di risolvere i problemi dandosi da fare su un lavoro di facciata piuttosto che cercando di capire e affrontare il problema reale: una politica monetaria difettosa. Protezionismo, tassi di cambio fissi, sanzioni motivate politicamente, sussidi alle imprese, gestione del commercio internazionale, controllo dei prezzi, controllo dei tassi di interesse e dei salari, sentimenti ipernazionalisti, uso della forza, addirittura guerra, tutte facili soluzioni per nascondere il problema reale, per nascondere i problemi creati da un sistema monetario ed economico pericolante e difettoso.

Nel breve termine, chi emette moneta non coperta da beni reali può ottenere grandi benefici economici. Nel lungo termine può mettere in pericolo l'intero Paese. Nel nostro caso, gli Stati Uniti.
Fino a quando i Paesi stranieri accetteranno i nostri dollari in cambio di beni e merci reali, noi ne trarremmo grande vantaggio. Questa è una fortuna che molti in Parlamento non riescono a comprendere, continuando a sanzionare la Cina per il suo forte segno positivo nella bilancia commerciale verso gli USA. Al contempo la perdita di capacità produttiva tende a spostarsi oltre oceano e ci rende più dipendenti e meno autosufficienti. I Paesi stranieri, grazie agli alti tassi di risparmio, accumulano riserve di dollari, e non mancano di restituirceli gentilmente a bassi tassi di interesse per finanziare in nostri eccessivi consumi.

Sembra un gran bel affare per tutti quanti, ma verrà il giorno in cui il dollaro – a causa del suo deprezzamento – verrà accettato un po' meno felicemente dagli Stati stranieri, o verrà addirittura rifiutato. Questo creerebbe una nuova situazione, e la danze rinizierebbero nuovamente, ma con un forte scotto da pagare per aver vissuto così a lungo aldilà dei nostri mezzi e della nostra capacità produttiva. E l'inizio di questo processo è già iniziato, il dollaro sta iniziando a vacillare, ed il peggio deve ancora venire.

L'accordo negli anni '70 con l'OPEC, riguardante la determinazione del prezzo del petrolio esclusivamente in dollari, diede una incredibile forza, benché artificiale, al dollaro stesso, che divenne la più importante valuta mondiale. Questa situazione ha creato una forte domanda per la valuta statunitense, domanda che ha assorbito gli enormi quantitativi di moneta immessi dalla Fed ogni anno. Nell'ultimo anno la Massa Monetaria definita come M3 è aumentata di oltre 700 miliardi di dollari.

Questa artificiale domanda di moneta, insieme alla nostra strapotenza militare, ci permette di occupare una posizione di controllo sul pianeta intero, nonostante i bassi tassi di produttività del lavoro e di risparmio, e senza limiti sui consumi e sull'indebitamento. Il problema è che questa situazione non può durare per sempre.

L'inflazione dei prezzi sta alzando la sua brutta faccia; la bolla speculativa – generata dal credito (troppo) facile è scoppiata. La bolla immobiliare creata allo stesso modo si sta sgonfiando. Il prezzo dell'oro è raddoppiato e la spesa federale è fuori controllo con nessuna volontà politica di controllarla. Il deficit commerciale dello scorso anno si aggirava oltre i 728 bilioni di dollari. Una guerra da 2 trilioni di $ continua il suo corso, e sono stati discussi piani per espandere la guerra anche all'Iran e alla Siria. L'unica forza in grado di porre un limite a tutto questo potrebbe arrivare da un rifiuto globale del dollaro In tal caso potrebbero ripresentarsi le condizioni del biennio '79-'80. Si farà di tutto per permettere che non succeda e per proteggere il dollaro. Ci sono forti interessi condivisi tra chi emette e chi possiede dollari, forti abbastanza da mantenere ancora lo status quo.

Greenspan, nel suo pirmo discorso dopo avere lasciato la Fed, ha dichiarato che gli alti prezzi dell'oro derivano dalla situazione politica internazionale, dal terrorismo, e non da cause monetarie o dalla montagna di dollari creati durante il suo mandato. L'oro deve essere screditato, mentre la reputazione del dollaro deve essere sostenuta. Anche quando il dollaro arriverà ad essere messo sotto serio attacco dalle forze del mercato, le banche centrali e il FMI faranno di tutto per far assorbire i dollari dal sistema così da garantire la stabilità. Alla fine i loro tentativi falliranno.


L'agganciamento del dollaro al petrolio sarà difeso per permettere al dollaro di perpetuarsi come valuta principale. Ogni attacco a questa relazione sarà in futuro come in passato combattuta con la forza.

Nel novembre del 2000 Saddam Hussein chiese in cambio del suo petrolio Euro invece che Dollari. La sua arroganza venne percepita come una grande minaccia per il dollaro; militarmente l'Iraq non ha mai impensierito gli Stati Uniti. Alla prima riunione con la neoeletta amministrazione nel 2001, secondo quanto dice il ministro del tesoro Paul O'Neill, l'argomento principale fu come sbarazzarsi di Saddam Hussein, benché non fosse chiaro che tipo di minaccia rappresentasse. La gran preoccupazione sul caso Saddam sorprese e scioccò O'Neill.

Tutti ormai sanno che l'immediata reazione dell'amministrazione agli attacchi del 9/11 si estrinsecò nel come collegare Saddam Hussein a questi attacchi, per giustificare un'invasione o per ribaltare il suo governo. Nonostante non ci fosse nessun esplicito collegamento al 9/11, o evidenza di armi di distruzione di massa, il supporto della Nazione per giustificare la deposizione di Saddam, così come quello del parlamento, fu ottenuto attraverso distorsioni o false rappresentazioni dei fatti.

Non ci fu alcuna denuncia pubblica della correlazione tra la rimozione di Saddam e l'attacco all'integrità del dollaro come valuta mondiale. Alcuni credono che questa sia la vera ragione a capo della nostra ossessione sull'Iraq. Io dubito che fosse la sola ragione, ma credo che abbia avuto un'importanza significativa sulla decisione finale. Poco dopo la vittoria militare, tutte le esportazioni petrolifere irachene tornarono ad essere scambiate in dollari. L'Euro fu abbandonato.

Nel 2001, l'ambasciatore venezuelano in Russia fece trapelare che il suo Paese era intenzionato a richiedere Euro per le esportazioni di petrolio. Dopo un anno ci fu un tentativo di golpe ai danni di Chavez, con l'assistenza dell'CIA.

Il dollaro arrestò la propria caduta proprio grazie a questi tentativi di salvataggio.

Questi eventi sono stati fondamentali per il mantenimento del dollaro come valuta mondiale.

Oggi, un nuovo evento minaccia l'integrità del sistema del petrodollaro. L'Iran, uno dei paesi membri dell'“Asse del male” ha annunciato di voler creare nel marzo di quest'anno una Borsa dove negoziare il petrolio. E indovinate un po', il petrolio verrà scambiato in Euro e non in Dollari.

Molti cittadini americani hanno dimenticato come le nostre politiche abbiano sempre sistematicamente e gratuitamente irritato il popolo Iraniano. Nel 1953 la CIA contribuì a rovesciare un presidente eletto democraticamente, Mohammed Mossadeqh, per fare posto ad uno più legato agli US, l'autoritario Shah. Gli iraniani erano ancora irritati da questo fatto quando si verificarono gli eposidi del 1979. La nostra alleanza con Saddam non migliorò la questione, come non migliorò le nostre relazioni con Saddam Hussein. L'inserimento dell'Iran nella lista dei Paesi dell'Asse del Male non contribuì certamente ai rapporti diplomatici tra i due Paesi. I recenti scontri sul nucleare, nonostante in tutta la zona ci siano Paesi con armamenti nucleari, non sembra fermare i provocatori dell'Iran. Tutto ciò viene visto da molti Musulmani come una guerra contro l'Islam. Non può sorprendere quindi che l'Iran decida di danneggiare l'America attraverso il dollaro. L'Iran, così come l'Iraq, non è assolutamente in grado di attaccarci fisicamente. Nonostante questo fatto sia abbastanza ovvio, non ha fermato l'amministrazione nel dipingere Saddam Hussein come una sorta di Hitler moderno pronto a conquistare il mondo intero. E adesso, l'Iran, specialmente da quando ha iniziato a progettare la vendita di petrolio in euro, è entrato nella lista nera, non diversamente da quanto successe prima dell'invasione irachena.

Tutto ciò non significa che il mantenimento della supremazia del dollaro fosse l'unico fattore che influenzò e determinò la seconda guerra del golfo, né sta influenzando e determinando da sola gli agitati rapporti tra US e Iran, oggi. Nonostante le ragioni per fare una guerra siano sempre molto complesse, sappiamo per certo che le ragioni date prima dell'inizio della guerra irachena, circa la presenza di armi di distruzione di massa, e le connessioni con i fatti dell'undici settembre, erano false. La rilevanza della questione-dollaro è ovvia, ma ciò non deve sminuire il ruolo del progetto che, qualche anno fa, è stato fatto dai neo-conservatori per ricostruire la geopolitica del medioriente. L'influenza Israeliana, così come quella dei Sionisti, ha giocato un ruolo determinante in questa guerra. La protezione delle “nostre” forniture di petrolio ha influenzato per decenni la politica estera americana, almeno per quanto riguarda il medioriente.

Ma la verità è che non è più possibile pagare i costi dell'interventismo aggressivo come si faceva un tempo, con più tasse, più risparmio, e più lavoro da parte dei cittadini americani. Buona parte delle spese della prima guerra del golfo furono sopportate da alcuni dei nostri alleati. Oggi non è più così. Oggi, più che mai, è al dollaro stesso, alla sua egemonia come moneta mondiale, che si richiede di finanziare l'enorme debito pubblico. Questa guerra da 2 trilioni di dollari deve essere in un modo o nell'altro pagata. E sarà proprio l'egemonia del dollaro a fornire i mezzi per saldare questo debito.

Gran parte della gente non è consapevole di essere vittima di questo fardello. La licenza di creare montagne di moneta permette alle autorità di coprire il costo della guerra con l'inflazione dei prezzi. I cittadini americani, così come una parte di quelli cinesi, giapponesi e di altri Stati, subiscono l'inflazione dei prezzi, che rappresenta proprio la “tassa” che ripaga il costo delle nostre avventure militari. Questo accadrà sino a quando la frode verrà scoperta, e i produttori esteri esiteranno ad accettare dollari e detenerli a lungo come pagamento dei beni scambiati. È stato fatto tutto il possibile per nascondere accuratamente questo furto, per fare in modo che non sia visibile alle masse che ne vengono danneggiate. Se i mercati petroliferi sostituiscono l'euro al dollaro, non sarà più possibile stampare moneta senza limiti.

importare beni reali esportando dollari deprezzati rappresenta un vantaggio incredibile. I paesi esportatori sono diventati dipendenti dai nostri acquisti, indispensabili per la loro crescita. Questa dipendenza li fa entrare a far parte del gioco, li rende nostri alleati nella prosecuzione della frode. Se questo sistema funzionasse nel lungo periodo, gli americani potrebbero pure smettere di lavorare. Anche noi potremo quindi goderci “panem et circenses” proprio come facevano i romani prima che il loro oro finì e l'impossibilità di conquistare e derubare altre nazioni portò alla caduta dell'impero.

Salvo cambiamenti, la stessa cosa accadrà anche all'America. Benché non occupiamo direttamente terre straniere per spillare oro, abbiamo sparso truppe in giro per 130 stati del mondo. Il grande sforzo di aumentare il nostro potere nelle zone petrolifere mediorientali non è una coincidenza. A differenza del passato, però, non dichiariamo il possesso diretto delle risorse naturali, semplicemente continuiamo a convincerci che possiamo comprare quello che vogliamo pagando con la nostra cartamoneta e i paesi che si oppongono a questo processo lo fanno a loro rischio e pericolo.

Come già detto il Parlamento ha inserito nella sua lista nera anche l'Iran, proprio come fece con l'Iraq. Si parla di attaccare l'Iran economicamente e militarmente, se sarà necessario. Le ragioni sono tutte costruite falsamente, proprio come quelle date per la sfortunata e costosa guerra irachena.

Tutto il nostro sistema economico vive in funzione dell'attuale accordo monetario; ciò significa che è cruciale continuare a riciclare dollari. Al momento, prendiamo a prestito più di 700 bilioni di dollari all'anno dai nostri cari benefattori, che lavorano sodo e ci danno beni in cambio di carta. Prendiamo a prestito tutti i soldi che ci servono per rendere più solido il nostro impero. La nostra strapotenza militare è diventata la unica contropartita reale alla carta dei nostri dollari. Non ci sono Paesi al mondo in grado di sfidare la nostra superiorità militare, non possono fare altro che accettare la banconota che noi dichiariamo di essere l'“oro”del XXI secolo. Ecco perché quei paesi che provano a sfidare questo sistema – come l'Iraq, l'Iran e il Venezuela – diventano nostri obbiettivi per un cambio di regime.

Ironicamente, la superiorità del dollaro dipende dalla forza militare, e la forza militare deriva dall'egemonia del dollaro. Sino a quando le economie estere prosciugheranno tutti i nostri dollari in cambio di beni reali e saranno contente di finanziare i nostri pazzi consumi e le nostre avventure militariste, lo status quo continuerà, senza riguardo a quanto grande si farà il debito estero e il deficit di bilancio.

Sia il popolo Americano sia il parlamento sono stati facilmente convinti sulle istanze di guerra preventiva mosse dai falchi americani. Il numero di persone che ha iniziato ad obbiettare l'intervento è cresciuto solo dopo che il costo umano ed economico della guerra si è fatto impressionante.

La cosa strana è che ora che il fallimento in Iraq è apparente alla maggior parte dell'opinione pubblica, il parlamento e i cittadini americani iniziano a vedere di buon grado la chiamata ad un'inutile e pericoloso confronto con l'Iran.

Ma ancora, il nostro fallimento nel trovare Osama Bin Laden e distruggere la sua rete terroristica non ci ha dissuaso dall'invadere l'Iraq con una guerra totalmente irrelata agli eventi del 9/11.

Il nostro comportamento e la nostra volontà di impartire una lezione a Saddam Hussein, derivano dalla necessità di assicurare l'utilizzo del dollaro come valuta per gli scambi petroliferi.

E puntualmente si ripresenta il bisogno urgente di sanzioni e minacce verso l'Iran proprio nel momento in cui quel Paese ha scelto di effettuare tutte gli scambi di petrolio in euro.

L'uso della forza per indurre le persone ad accettare una moneta che non ha nessuna contropartita reale può funzionare solo nel breve termine. Ma ciò conduce a una dislocazione produttiva dell'economia, sia nazionale che internazionale, e ha sempre conseguenze economiche sgradevoli.

Abbiamo appurato che un commercio onesto e corretto necessita dello scambio tra beni che abbiano un valore reale; e questa legge economica non può essere disattesa. Il caos che seguiterà dagli esperimenti monetari condotti per 35 anni in un regime di “fiat money” su scala globale, comporterà inevitabilmente la ricomparsa di una moneta dal valore reale. Noi sappiamo che quel giorno si sta avvicinando, il giorno in cui i produttori di petrolio pretenderanno oro invece che dollari. Prima arriverà quel giorno, meno dolenti saranno le sue conseguenze.







http://www.usemlab.com/html/special/RonPaul_DollarHegemony.htm
 
Re: lo Stato giudaico comanda-noi obbediamo-3 guerra mondial

tontolina ha scritto:
La terza guerra mondiale è già iniziata»
Maurizio Blondet
01/06/2006

(...)

Perché sembra indicare l’imminenza della «nuova Pearl Harbor» attesa dal regime israelo-americano per attaccare l’Iran, l’attentato «islamico» che tanti dei nostri informatori temono sia stato programmato a Berlino durante i mondiali di calcio.
Diversi altri segnali concorrono a questo esito (2).

(...)

è probabilmente il segno che gli USA si stanno vestendo della pelle dell’agnello in attesa che l’evento tragico e spettacolare di Berlino possa dimostrare che con gli iraniani «è impossibile trattare» in quanto «terroristi», secondo la linea programmatica dettata una volta per tutte da Sharon, e dare il via all’aggressione.

http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1204&parametro=

Io direi che Blondet, coi sui segnali che concorrono, può anche andare a nascondersi.

Il terrorista vero chi è?
 
rilancio
articolo preso da http://www.beppegrillo.it/


1 Agosto 2006
Adolf Gibson

Gibson.jpg

Mel Gibson è stato fermato venerdì scorso dalla polizia a Malibu in stato di ubriachezza alla guida della sua auto. All’agente ha detto: “Gli ebrei sono responsabili per tutte le guerre nel mondo” e gli ha domandato se era ebreo. Due giorni dopo ha chiesto scusa per le sue dichiarazioni. La rete ABC ha cancellato una serie con Mel Gibson sull’Olocausto. Hollywood lo vuole mettere al bando. Alcuni opinionisti americani dicono che le scuse non bastano. Mel Gibson ha sbagliato e deve pagare. E i produttori di origine ebraica, e anche gli altri se ci sono, di Hollywood non devono dargli una seconda opportunità. Se avesse detto: “Israele è responsabile della guerra in Libano”, oppure: “Israele con il suo comportamento può fare scoppiare la terza guerra mondiale” forse avrebbero riaperto Alcatraz solo per lui e buttato via le chiavi.
Israele fa paura. Il suo comportamento è irresponsabile. Ecco, l’ho detto. E non sono neppure ubriaco. Sono solo spaventato per i miei figli. Come forse siamo un po’ tutti. Lo so, Veltroni mi metterà al bando da Cinecittà.
Dietro Israele ci sono gli Stati Uniti o dietro gli Stati Uniti c’è Israele, chi è la causa e chi l’effetto?
I giornali di tutti i Paesi musulmani hanno in prima pagina le foto di bambini libanesi bruciati. Il Mediterraneo è un mare di odio. In Italia siamo pieni di ordigni nucleari statunitensi. Per proteggerci meglio dicono. Ma io non voglio più essere protetto da questa gente. E se la scusa è la Nato, fuori dalla Nato e i cow boy a casa loro.
 
tontolina ha scritto:
Mel Gibson è stato fermato venerdì scorso dalla polizia a Malibu in stato di ubriachezza alla guida della sua auto. All’agente ha detto: “Gli ebrei sono responsabili per tutte le guerre nel mondo” e gli ha domandato se era ebreo........

E.C.S.N.F.

:( :( :( :( :( :( :(

Mi sento solidale con Felixeco................ :)
 
Re: lo Stato giudaico comanda-noi obbediamo-3 guerra mondial

Run the Park ha scritto:
Io direi che Blondet, coi sui segnali che concorrono, può anche andare a nascondersi.

Il terrorista vero chi è?

Blondet...............sempre+un mito :lol:

Comunque forse la guerra è finita.Se veramente si riesce a mettere una forza onu ,con le pa@@e allora israele aveva ragione e nn voleva conquistare nulla che nn la propria incolumità.
Non so quanto è giusto combattere, ma la storia in certi casi ci ha insegnato che a volte si deve.
L'altro giorno ero a roma e son andato a visitare anche il cimitero degli inglesi caduti nella riconquista dell'italia.
Vedere quasi 500 lapidi bianche, di varie confessioni ,di ragazzi morti a 20 anni per consentire a noi di essere liberi mi ha fatto pensare quanto sia difficile giudicare cosa è giusto o no.

"grazie ragazzi" è stata la mia preghiera.
 
Libano, tracce uranio dopo bombe
Stampa Gb: accuse ad Israele

Tracce di uranio sono state rinvenute in due crateri provocati da bombe lanciate da Israele in Libano. Lo riferisce il sito dell'Independent.La versione on line del giornale britannico cita come fonte il segretario scientifico della Commissione Ue sui rischi della radioattività, Chris Busby. Da due crateri nei villaggi di Khiam e Al-Tiri e' stato prelevato terriccio che rivela "elevati segni di radioattivita''.

Il materiale è stato inviato in un laboratorio inglese per ulteriori esami. Se gli indizi dovessero prendere forma Israele dovrà rispondere del suo comportamento quantomeno all'Unione Europea, in prima linea nel mantenimento della pace nell'area mediorientale. Il caso dell'uranio rischia di fare ripiombare la situazione nel caos e intesire i rapporti già difficili tra le parti.
 

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