Moneta sociale

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http://www.laleva.cc/economia/storiamonetaria.html






LEZIONI DI STORIA MONETARIA
di Silvano Borruso

Se la storia dev'esser maestra di vita, la discussione in corso sul fenomeno dilagante delle valute sociali di scambio, non può portar molto lontano se basata su dati di fatto vaghi o addirittura falsi. Volgiamo quindi lo sguardo indietro di 70 anni, per mettere a fuoco eventi reali che possano aiutare a evitare gli errori del passato.

Protagonista della nostra storia è il tirolese Michael Unterguggenberger (1884-1936), borgomastro della cittadina austriaca di Wörgl, nodo ferroviario nella provincia del Vorarlberg.

Era il luglio del 1932. In seguito a una politica globale deflazionista mai dovutamente spiegata e falsamente attribuita al collasso della borsa di New York di tre anni prima, la moneta scarseggiava, le intraprese chiudevano i battenti e infuriava la disoccupazione. La cittadina di poco più di 4000 abitanti e dintorni già contava 1500 disoccupati, che inutilmente si rivolgevano al borgomastro per aiuti che non potevano venire da nessuna parte.

Però il nostro, ex-meccanico e ferroviere, aveva letto, oltre che Marx e compagnia, anche il loro antidoto: Die Natürliche Wirtschaftsordnung (Nuovo Ordine Economico) di Silvio Gesell (1862-1930). Costui, beffandosi tanto di Marx quanto di Adam Smith, puntava il dito su un disordine strutturale incredibilmente non individuato durante 26 secoli.

Esiste infatti una contraddizione inerente tra le due funzioni monetarie di intermediarietà negli scambi e porta valori nello spazio e nel tempo, ma sopratutto nello spazio. E' evidente che denaro negli anfratti di un portafoglio o incettato in un conto di risparmio a lungo termine non viene scambiato e viceversa. Che nessuno prima di lui se ne fosse accorto è un mistero che non tenterò neanche di cominciare a chiarire. Il fatto è che Gesell se ne accorse, come si accorse che questa contraddizione fosse causa storica primaria di crisi economiche e politiche, guerre, rivoluzioni, lotte di classe, povertà nel bel mezzo dell'abbondanza, in breve della questione sociale. Alla fine della Grande Guerra, nel 1918, in una lettera al giornale berlinese Zeitung am Mittag scriveva:

Nonostante le sacre promesse di tutte le nazioni di bandire la guerra una volta per tutte, nonostante l'urlo delle masse "Mai più guerra", nonostante le speranze di un futuro migliore, consti quello che dico: se il sistema monetario attuale, basato sull'interesse semplice e composto, rimane operativo, oso predire oggi che non passeranno 25 anni prima che venga un'altra, molto più terribile guerra. Ne vedo lo sviluppo chiaramente. Il grado dell'attuale progresso tecnologico porterà rapidamente a risultati industriali da record. La capitalizzazione sarà rapida nonostante le enormi perdite belliche, e la sovraproduzione abbasserà il tasso di interesse. Il denaro comincerà ad essere accaparrato. L'attività economica diminuirà e un numero crescente di disoccupati vagabonderà per le strade. Come prima, si cercherà di occupare territorio e fabbricare armi per lo scopo, giustificando l'operazione col dovere dare lavoro ai disoccupati. Si formeranno movimenti rivoluzionari selvaggi tra le masse scontente e fiorirà la pianta velenosa dell'estremo nazionalismo. Le nazioni non si capiranno a vicenda e alla fine non potrà che scoppiare un'altra guerra.

Il borgomastro dal lungo cognome aveva vissuto in semipovertà le crisi del 1907-08 e del 1912-14, durante le quali aveva contratto la tubercolosi che lo avrebbe portato alla tomba a 52 anni. Però conosceva il rimedio, e si mise all'opera.

Dopo un paziente lavoro di avvicinamento e di convinzione presso piccoli impresari, negozianti e professionisti di Wörgl, il 5 luglio lesse ad alta voce il suo programma di soccorso per ristrettezze economiche:

La causa principale del barcollo dell'economia è la bassa velocità di circolazione della moneta. Come intermediaria di scambi, la moneta progressivamente sparisce dalle mani dei lavoratori. Filtra invece negli alvei dove scorre l'interesse, finendo con l'accumularsi nelle mani di pochi, che non la riversano sul mercato per acquistarvi beni e servizi. La trattengono invece per specularvi su.

Il municipio emise quindi la sua moneta. La chiamò Bestätigter Arbeitswerte o Certificati di Lavoro con un valore alla pari con lo scellino ufficiale, ma con una differenza capitale: ogni certificato per 1, 5 e 10 scellini, pur mantenendo un potere d'acquisto stabile, scadeva dopo un mese dalla data di emissione, a meno di non rinnovarne la validità applicandogli su un francobollo del valore dell'1% sul nominale, acquistabile in municipio. Questo, da parte sua, avrebbe accettato i certificati in pagamento di imposte.

Chi non voleva spendere, poteva mantenere il valore dei suoi certificati depositandoli in banca, a 0% interesse. Al contrario, la banca non vedeva l'ora di sbarazzarsene per non dover pagare la tassa di magazzinaggio. E se ne sbarazzava o prestando a chi voleva investire o pagando salari e servizi.

Chi poi voleva cambiare certificati in scellini ufficiali poteva farlo in qualsiasi momento, con uno sconto del 5% sul valore nominale. Così non si trattava di moneta "alternativa", ma "complementare". Nessuno era obbligato ad accettarla, neanche lo scassinatore che nottetempo trafugò moneta ufficiale lasciando intatti i certificati trovati nell'abitazione dove era penetrato.

In tutto, il municipio fece stampare biglietti per un valore di 32 000 scellini, ma in pratica ne usò meno di un quarto. La circolazione raggiunse una media di 5300 scellini, cioè un irrisorio due scellini o meno a persona, che però procurarono lavoro, redditi e profitti ai cittadini di Wörgl più di quanto facessero i 150 scellini a persona emessi dalla Banca Nazionale. Come aveva predetto Gesell, la velocità di circolazione era l'importante: cambiando mani circa 500 volte in 14 mesi, contro le 6-8 volte della moneta nazionale, i 5 000 scellini di certificati di Wörgl fecero muovere beni e servizi per ben due milioni e mezzo di scellini. Il municipio, con le casse continuamente riempite da un lato e svuotate dall'altro, construì un ponte sul fiume Inn, asfaltò quattro strade, rinnovò le fognature e le installazioni elettriche, e si permise anche di costruire un trampolino per salto con sci. Per avere un'idea del potere di acquisto, basta sapere che lo stipendio del borgomastro era in quella data di 1 800 scellini mensili.

Al principio alcuni ridevano, altri gridavano alla frode o sospettavano contraffazione. Ma vedendo che i prezzi non aumentavano, che la prosperità cresceva e che le tasse venivano pagate in anticipo e immediatamente spese per lavori e servizi pubblici, i ghigni si trasformarono ben presto in espressioni di stupore e i lazzi in voglia di imitazione. La vicina Kitzbühel, famosa stazione sciistica, aveva prima cominciato ad accettare i certificati di Wörgl, e il 1 gennaio 1933 emesso 3 000 scellini di certificati suoi propri. Circa 300 000 cittadini della provincia non vedevano l'ora di estenderne l'esperimento.

Però Mammona non dormiva. Unterguggenberger non aveva usato il nome "certificato" per niente: sapeva che se si fosse azzardato a chiamarli "moneta" sarebbe incorso nelle ire della Banca Nazionale l'indomani stesso.

Nel frattempo Wörgl era diventata il centro di pellegrinaggi da parte di macroeconomisti di tutte le tendenze e colori. Tutti volevano vedere "il miracolo" della prosperità locale che sfidava la miseria e disoccupazione globali.

Il 19 agosto del 1932 il Dott. Rintelen, membro del Governo, riceveva una delegazione capitanata dal borgomastro. Durante l'incontro dovette ammettere che la Banca Nazionale aveva ridotto l'emissione di moneta da una media di 1 067 milioni di scellini nel 1928 a una di 872 nel 1933. E chiaramente vide che i certificati facevano senso e che non c'era ragione per interrompere l'esperimento.

Mammona però aveva i suoi "scienziati" alla Banca Nazionale, intenti a "provare" che l'esperimento doveva essere proibito. Ecco le ragioni "scientifiche" della proibizione:

Benchè l'emissione di certificati di lavoro sembri avallata al 100% da una quantità equivalente di moneta ufficiale austriaca, le autorità sovrintendenti, cominciando dall'area amministrativa di Kufstein fino all'ufficio governativo del Tirolo, non devono permettersi di sentirsi soddisfatte. La cittadina di Wörgl ha ecceduto i suoi poteri, dato che il diritto di emettere moneta in Austria è privilegio esclusivo della Banca Nazionale, come per art. 122 del suo statuto. Wörgl ha violato quella legge.

La proibizione entrò in forza il 15 settembre 1933, però Wörgl appellò. Il 15 novembre il caso raggiunse la Corte Suprema, che manco a dirlo cassò l'appello mettendo così fine all'esperimento.

La storia di Wörgl è nota nei suoi particolari grazie a Fritz Schwartz, testimonio oculare che ne scrisse i particolari in un libro pubblicato nel 1951. Tre anni prima un esperimento meno noto, però non meno riuscito, aveva avuto luogo a Schwanenberg, in Germania. Un certo Dr Hebecker, padrone di una miniera di carbone, stava per chiudere i battenti. Disse ai suoi impiegati che aveva carbone, ma non denaro. Sarebbero stati disposti ad accettare il 90% del salario in moneta propria chiamata Wära e redimibile in carbone? Non c'era tanta scelta. Anche il Wära aveva una sua tassa di magazzinaggio che ne favoriva la circolazione rapida, ma purtroppo non ebbe un cronista come Schwartz. Quello che si sa è che Mammona, nelle vesti del Cancelliere Heinrich Brüning (1885-1970) non perdette tempo a cassare Schwanenberg e a passare decreti-legge di emergenza che ancora oggi proibiscono l'emissione di qualsiasi moneta non ufficiale.

Tornarono la disoccupazione, la miseria e la fame. Nelle Bierhallen bavaresi un oscuro immigrante austriaco cominciava a farsi notare. Si chiamava Adolf Hitler. E' impossibile affermare -o negare- che il secondo conflitto mondiale sarebbe stato evitato solo con il permettere la continuazione di Schwanenberg and Wörgl. Il dato di fatto è che furono i voti dei disoccupati a portare Hitler al potere.

Non si creda che Mammona fosse all'erta solo nei due luoghi descritti. Il 24 maggio del 1933 Unterguggenberger aveva tenuto una conferenza davanti a 1000 persone in Winterthur, nella superdemocratica Svizzera. Per il 3 settembre l'Associazione per una Economia Libera lo aveva invitato a ripeterla, ma ecco che Mammona, nella veste del Procuratore di Stato, gli negò il visto di entrata. Meraviglie della libertà di espressione!

Lezioni per il presente

Tutta l'informazione di cui sopra sarebbe rimasta sepolta in libri e riviste più o meno ammuffiti se il miracolo dell'Internet non l'avesse portata all'aria libera davanti a milioni di ricettori, e per di più in tempo reale. E' un dato di fatto che l'interesse per le valute sociali è ormai globale, e inarrestabile. E' importante quindi avere idee chiare circa le ragioni dei successi e dei fallimenti del passato.

I successi dei due esperimenti sono innegabili, ed è inutile ripeterli. Sono quattro le ragioni per il loro fallimento.

La ragione prima del fallimento fu l'ostilità aperta di Mammona, sulla quale vale la pena soffermarsi. La Grande Guerra aveva tolto tutte le illusioni che potessero esser rimaste circa il sistema aureo, col suo preteso collegamento tra la moneta e i metalli preziosi. Mammona forzò il ritorno al sistema aureo nel 1925, causando il grande sciopero generale del 1926 e l'abbandono del sistema da parte della Gran Bretagna, seguita da un paese dopo l'altro.

Come Gesell aveva predetto per fine e per segno, era questione di tempo prima che scoppiasse un'altra guerra, e così fu.

A Bretton Woods si arrivò dopo lunghe trattative a un accordo, che non fece che sostituire il dollaro USA all'oro, forzandone l'uso come valuta di riserva. Per evitare una nuova crisi, John Maynard Keynes (1883-1946) escogitò il sistema di spesa deficitaria come stimolante dell'economia. A breve termine la cosa funzionò, ma c'era già chi gli chiedeva cosa sarebbe successo a lungo termine. Da buon economista, Keynes rispose evasivamente: "A lungo termine saremo tutti morti". Certo. Però a 60 anni di distanza non c'è bisogno di esser un genio per accorgersi del danno enorme che la svalutazione furtiva della moneta continua a causare: il dollaro USA compra oggi quello che compravano 10 centesimi mezzo secolo fa, e il franco svizzero, che si vanta di essere la moneta più stabile del mondo, compra quello che compravano 20 centesimi.

E' vero che de mortuis nil nisi bonum, però è difficile esonerare l'uomo col pretenderne l'ignoranza. I lettori possono servirsi dei seguenti due dati di fatto.

Keynes aveva letto Gesell, tanto da citarlo nella sua Teoria Generale come segue: "Il futuro apprenderà più dallo spirito di Gesell che da quello di Marx". Non si sa se a Bretton Woods ne avesse proposto anche la teoria o no.
Keynes otteneva un reddito personale non disprezzabile con la speculazione. Lo faceva prima di colazione, con un paio di telefonate ai suoi agenti di cambio.
Nonostante ciò, ha avuto il merito di prolungare l'intervallo tra una crisi e l'altra da 20-25 a 60-? anni. Siamo quindi al lumicino, e sembra urgente entrare in azione.

Mammona ebbe ragione su Hebecker e Unterguggenberger semplicemente perchè non esisteva Internet. Oggi basterebbe che le forze esistenti in favore delle valute sociali attuino contemporaneamente, senza neanche bisogno di farlo in maniera uniforme, per sconfiggere Mammona riducendolo da padrone a servo dell'economia.

La seconda ragione del fallimento fu (meglio, sarebbe stata) l'1% mensile di commissione di magazzinaggio, ammontante al 12% annuale. Gesell aveva proposto un 5,2% annuale, cioè l'uno per mille per settimana. Gli uomini d'affari di Wörgl accettarono la cifra a malincuore proprio perchè non esisteva un'alternativa. Il fattore critico è il giusto mezzo tra il rigetto completo, che occorrerebbe con una percentuale di poco più del 12%, e la tentazione di accaparrare, che occorrerebbe con una percentuale di meno del 3%. Qui sono opportune due considerazioni.

Una: l'imposta di magazzinaggio è caratteristica essenziale per il successo di una valuta sociale. Dove questa non si è applicata, il sistema ha funzionato a termine corto, per illanguidirsi e morire a lungo termine.

Due: il fallimento del sistema fu clamoroso negli Stati Uniti, colà esportato dall'insigne (?) economista Prof. Irving Fisher (1867-1947). Costui propose un mostruoso 2% per settimana, o 104% annuale. Il rigetto fu quindi istantaneo e totale. Se lo fece per ignoranza o apposta per gettar discredito sul sistema non ci è dato saperlo. Ciò che si sa è che il presidente Roosevelt non tardò molto a seguire la scia di Brüning nel proibire valute sociali anche negli USA.

La terza ragione fu l'aver fissato il valore dei certificati a quello dello scellino ufficiale. Perchè una moneta abbia potere d'acquisto costante, è necessario che abbia anche misura di valore costante. I certificati di Wörgl non l'avevano. Questo valore potrebbe essere quello del potere d'acquisto conosciuto di una certa moneta nel tempo (il dollaro del 1970 ecc.) o un indice di prezzi di un certo numero di prodotti base o di oggetti di prima necessità, ecc. Il che vuol dire che una data valuta sociale vedrebbe la moneta ufficiale progressivamente svalutarsi rispetto ad essa: gradualmente in tempi ordinari, catastroficamente in tempo di crisi.

La quarta e ultima ragione fu il tempo di attuazione. Il luglio del 1932 era già tardi. La disoccupazione scese, ma non del 100%. Le piccole industrie già chiuse non riaprirono: solo quelle che erano ancora aperte ebbero nuove prospettive di vita, ridando lavoro al 25% dei disoccupati. Ecco perchè sarebbe bene non aspettare il collasso del sistema prima di varare un progetto di valuta sociale.

In fine si dica una volta per tutte che la ragione ultima -e centrale- per progetti di questo tipo è risolvere la questione sociale con uno strumento pacifico e alla portata del popolo senza interventi burocratici di alcun tipo. E' questione di mettere la fionda di David nelle mani di chi può capire. Chi vivrà, vedrà.

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Bibliografia

Bernard Lietaer: The Future of Money. Century, London 2001

Margrit Kennedy: Inflation and Debt Free Money, 1995

www.sunshinecable.com/~eisehan



Cenni biografici dell'autore

Nato a Palermo nel 1935.

Laureato in Scienze Agrarie nell'Università di Catania nel 1957.

Dal 1960 risiede in Kenya, dove insegna lingua, etica/religione e scienze

Pubblicazioni:

The Art of Total Living, Paulines Publications Africa 1996

The Art of Thinking, 1998

El Evolucionismo en Apuros, Criterio Libros, Madrid 2001

Pena de Muerte, 2002

Traduzioni

St Augustine's De Ordine, Consolata Institute of Philosophy, Nairobi 1997

Aquinas' Entity and Essence, 1997

St Augustine's The Confessions, Paulines Publications Africa 2002

Silvano Borruso

[email protected]

20 giugno 2002
 
Tratto da:

http://www.laleva.cc/economia/crimine_fiscale.html


IL CRIMINE FISCALE
L’altra faccia
di Silvano Borruso



“La contabilità? L’ho trasferita in Moldavia”, si legge a lettere di scatola a pag.51 del Corriere, Cronaca di Roma del 14 ottobre 2002. La pagina cataloga 222 violazioni penali accertate, 197 denunce, 575 verifiche, aumento di reati dal 23% fino al 112%, il tutto “coronato”, se è la parola giusta, da una foto tra il ridicolo e il penoso: due aitanti “Fiamme Gialle” allo schermo di un computer, affiancati da una giovane donna la cui faccia dà a vedere di non essere tanto capace di distinguere tra Fiamme Gialle a un computer e fiamme ossidriche a una cassaforte. Sotto, un riquadro sulle stesse Fiamme al Colosseo, questa volta “bruciando” cinque evasori fiscali: disoccupati fuori forma, a malapena indossanti l’uniforme di legionari romani presa in affitto a Cinecittà che scroccano il saltuario euro ai turisti per farvisi fotografare insieme.
Quando ho smesso di ridere ho preso a riflettere. A parte il costo dell’operazione semi-militare al Colosseo, l’odio viscerale verso l’IVA, VAT o GST come la si chiama nei paesi anglosassoni che la praticano, non è fenomeno esclusivamente italiano: è universale. Nell’aprile del 1995 lo Scacchiere britannico scoprì un deficit, nelle entrate VAT, di ben 7 miliardi di sterline, la cui destinazione era e rimane un mistero. La Kenya Revenue Authority impiega un vero esercito di esattori con poteri polizieschi assillando chi si arrangia in mille modi per evitare, evadere o in qualunque modo trastornare i tentativi di vedersi estorti i frutti del proprio lavoro per vederli buttati a pescecani nuotanti sulla scia della nave economica. Chi conosce un solo paese dove quest’imposta (nel senso più etimologico del termine) venga tollerata senza provarne una rabbia interiore, può smettere di leggere.
Questa situazione grottesca è lascito di tre fannulloni, nessuno dei quali si occupò in un lavoro onesto: Adam Smith (1723-90) Karl Marx (1818-83) e John Maynard Keynes (1883-1946). Chi vuole sapere il perchè dell’epiteto legga le loro biografie: qui esamineremo le loro idee da bancarotta.
Nessuno del trio era andato più in là, nella sua analisi economica, del capitalista A e del lavoratore B, differendo solo su come costoro si dividessero il prodotto del lavoro di B. Da cui la famosa “questione sociale” che ci assilla dal secolo XIX e la cui soluzione non è più in vista oggi di quanto lo fosse al tempo di Rerum Novarum di Leone XIII.
E’ evidente che qualcosa non va, e che non si tratta di qualcosa di poca monta. A e B non si dividono affatto il prodotto di B; si dividono quello che lasciano loro il terratenente vivente di rendita C, l’usuraio D, l’esattore di imposte E e tutto un banco di pescecani dalla F alla Z, ciascuno reclamando il suo “pizzo” della fetta di torta che prima o poi (o mai) raggiungerà A e B.
Non rivendico originalità in ciò che sto affermando: sto solo ripetendo quello che aveva fatto osservare Henry George (1839-97) più di 100 anni fa e che aveva ribadito Silvio Gesell (1862-1930) agli inizi del secolo XX, usurpato a questi due geni dell’economia dai sostenitori dei fannulloni summenzionati, assoldati, manco a dirlo, dagli agenti di C-Z.
Cosa aveva proposto George? Semplicemente di distogliere l’attenzione di E dai guadagni legittimi di A e B per rivolgerla ai guadagni illegittimi di C. Gesell aveva proposto la stessa cosa verso i guadagni usurai di D. Le due proposte meritano una breve analisi, negata loro dalla combutta che da più di un secolo riesce a farle rimanere in dimenticatoio.
George proponeva di dare forma moderna al concetto di rendita come servizio pubblico. Si era accorto dall’osservazione diretta (come può farlo chiunque) che l’incremento di rendita è dovuto non agli sforzi di chi lavora sulla proprietà, ma a quelli di chi ci lavora attorno. Per cui l’incremento di rendita è da versare all’erario, non nelle tasche di C. E’ il concetto che vigeva nell’alto medioevo: i feudatari secolari si accollavano le spese di amministrazione e di difesa, e quelli ecclesiastici dei servizi sociali. Dal basso medioevo in poi, i feudatari non solo si liberarono dei loro doveri, ma finirono con confiscare le terre ecclesiastiche che avrebbero ancora potuto fornire servizi sociali. Da allora l’imponibile fiscale si è sempre più identificato con il valore aggiunto dallo sforzo di chi lavora, invece di identificarsi, come vorrebbe giustizia, con il valore sottratto dalle risorse naturali cominciando dalla terra.
La teoria è semplice e attraente. Non così la pratica, specialmente per i membri della classe C, che guarda caso reggono saldamente le redini del potere. Per chi non lo sappia, l’unico motivo per l’esistenza continuata della Camera dei Lords, nel parlamento britannico, è di opporsi con tutti i mezzi a che la camera dei Comuni approvi leggi che minimamente intacchino i privilegi ingiusti accumulati dal tempo di Enrico VIII. Ecco perchè neanche il più fanatico primo ministro laburista sia mai riuscito a sbarazzarsi dei Lords nonostante le millantate promesse in sede di campagna elettorale.
Si pensi agli effetti benefici di una IVS (imposta valore sottratto) colpente l’incremento di rendita del suolo ma non di quello che vi è costruito su:



Si premierebbe la laboriosità e si punirebbe l’accidia, proprio il contrario di quanto si fa oggi; il “lavoro nero” sparirebbe per definizione;

Si eliminerebbe la speculazione edilizia;

Si ridurrebbero, forse anche eliminandole, le odiosissime imposte indirette e sui consumi, allo stesso tempo rendendo impossibile l’evasione fiscale; la contabilità si può pur mandare in Moldavia; la terra, no.

Un paio di impiegati per municipio muniti di mappe catastali sarebbe più che sufficiente per calcolare l’IVS senza bisogno di intrudere manu militari negli affari altrui;

Si invoglierebbe la gente a vivere dove la tassa fosse minima o nulla, cioè lontano dai grandi agglomerati urbani;

Aumenterebbero i salari dei coltivatori marginali, sia per l’avvicinarsi della loro attività ai mercati, sia per l’eliminazione degli intermediari.

Si invoglierebbero i possessori di autovetture a costruirsi ricoveri invece di lasciarle per le strade, intasandole come fanno;

Eccetera.


Però, fino a quando le redini del potere sono dove sono, ciò rimane utopico. Vediamo invece la proposta di Gesell, tanto radicale quanto quella di George, ma il cui bersaglio è un altro: la moneta.
Il difetto strutturale scoperto da Gesell nella moneta non ha niente a che vedere con l’avarizia; si tratta di una contraddizione inerente alla moneta così come la conosciamo dai tempi per lo meno di Creso di Lidia 26 secoli fa.
Se nessun economista ha mai potuto dare una definizione univoca della moneta, è perchè ciò è tanto impossibile quanto definire univocamente uno scapolo coniugato, un cerchio quadrato o una vergine di facili costumi. La moneta ha sempre avuto, infatti, due ruoli contradittori: portavalori (nel tempo e nello spazio) e mezzo di scambio. E’ evidente che se assolve una funzione non assolverà l’altra e viceversa.
La cosa non finisce qui. Una certa quantità di moneta potrà essere equivalente a una certa quantità di beni e viceversa, ma le rispettive qualità non si equivalgono affatto. Ciò acutamente lo vide Gesell e ottusamente mai lo videro Smith e Marx (Keynes sì, però i potenti di Bretton Woods gli impedirono di mettere in pratica l’idea di Gesell).
A differenza di derrate e merci deperibili di tutti i tipi, la moneta non è soggetta ad alcun deterioro naturale. Chi ce l’ha, può aspettare. Chi ne ha bisogno per vivere, no. Per cui il possessore di moneta ha una scelta che il possessore di roba deperibile non ha: può spenderla o può “risparmiarla”. Non importa che la “risparmi” sotto un materasso, in banca, in borsa, o come tesoro sepolto da scoprire con un cercametalli secoli dopo; quello che importa è che la moneta come portavalori è la causa primaria:



Dell’usura: il possessore di moneta è in condizioni di far pagare chi ne ha bisogno per il suo uso (ecco l’origine del termine);

Del collasso dei cicli economici con concomitante disoccupazione: le grandi crisi economiche sono state sempre provocate dall’accaparramento di moneta;

Del sottosviluppo: il possessore di moneta non ha alcun interesse che si incontrino l’offerta di beni e la domanda spalleggiata da moneta abbondante: se così fosse, non potrebbe estorcere usura (o interesse nel caso di prestito);

Della speculazione finanziaria, che induce gli ingenui a sottrarre moneta dagli investimenti produttivi per investirla in quelli finanziari, così creando quella “bolla di sapone” dove circola il 98% del denaro mondiale;

Della convenienza economica della contraffazione, del ladrocinio, dell’estorsione legale e illegale, della frode, e in generale di tutte quelle attività che permettono ai furbi di vivere sul lavoro dei fessi.

Eccetera.


Pierre Joseph Proudhon (1809-65) aveva raggiunto la stessa conclusione, ma si era illuso di porvi rimedio con il promuovere i beni più o meno deperibili in periodo di crisi per mezzo della loro circolazione rapida.
In un lampo di genio, Gesell intuì che la soluzione è esattamente l’opposto di quella di Proudhon: è la moneta che bisogna degradare al livello dei beni deperibili rendendo deperibile anch’essa. Come? Con una tassa d’immagazzinaggio che forzi i suoi possessori a farla circolare rapidamente. Una unità monetaria scambiata tre volte al giorno (caso alquanto estremo) può muovere beni e servizi per mille volte il suo valore nominale in un anno. Una emissione relativamente bassa accoppiata ad un’alta velocità di circolazione assorbirebbe tutta l’offerta del mercato.
Gesell aveva proposto un tasso di deprezzamento di 1/1000 del valore nominale per settimana, cioè del 5,2% per anno, da pagarsi affiggendo settimanalmente un bollo da comprare negli uffici pubblici e i cui proventi andrebbero all’erario. Scaduto il mese, la moneta perderebbe corso legale a meno di non bollarla.
Bisogna riconoscere che si tratta di un sistema ingombrante per dire il meno, ma bisogna anche tener conto che 100 anni fa non esistevano le macchinette obliteratrici, che oggi lo renderebbero fattibilissimo. Una obliterazione mensile dello 0,5% del valore nominale, cioè del 6% annuale, darebbe finalmente a ciascuno il suo e non l’altrui. Sarebbe la fine dell’usura e con essa dell’economia di guerra. Mentre le previsioni degli economisti non hanno in generale un successo superiore a quelle delle streghe, giudichino i lettori la predizione di Gesell del 1918 in una lettera al giornale Zeitung am Mittag. La Grande Guerra era appena finita.

Nonostante la sacra promessa da parte di tutti i popoli di bandire la guerra una volta per tutte, nonostante il grido di milioni “guerra mai più”, nonostante tutte le speranze per un futuro migliore, ho questo da dire: se il sistema monetario attuale, basato sull’interesse composto, rimane in operazione, oso prevedere oggi che non ci vorranno 25 anni prima che scoppi un’altra, e peggiore, guerra. La vedo venire. Lo sviluppo tecnologico odierno farà sí che l’industria raggiunga quote da record. Il capitale aumenterà rapidamente nonostante le enormi perdite belliche, e l’abbondanza di offerta farà abbassare il tasso di interesse. Si comincerà ad accaparrare moneta. L’attività economica diminuirà e un numero crescente di disoccupati vagabonderà per le strade. Il malcontento delle masse esploderà in idee selvagge e rivoluzionarie, e la pianta velenosa del “Supernazionalismo” prolifererà. I paesi non si capiranno a vicenda, e alla fine non potrà che esservi guerra.

Viene da domandarsi cosa abbia potuto scongiurare una guerra (mondiale, s’intende; di locali c’è solo l’imbarazzo della scelta) nella seconda metà del secolo XX. Fu la proposta di Keynes a Bretton Woods nel 1944. Costui aveva letto Gesell, al punto da pronosticare, nella sua General Theory (London 1936 p. 355) che

Il futuro apprenderà di più dallo spirito di Gesell che da quello di Marx.

E aveva di conseguenza proposto di adottare una moneta a corso mondiale con le caratteristiche summenzionate, che nominò Bancor. Che gli bocciassero la proposta lí per lí non deve sorprendere nessuno, ma il ripiego fu il keynesianismo, consistente, come si insegna, nel sostituire moneta accaparrata fuori dal mercato con moneta emessa nel mercato a seguito di un bilancio di Stato deficitario.
Non c’è stata guerra, ma a prezzo di una svalutazione generale di tutte le monete. Ai primi del secolo XXI si sta inesorabilmente tornando alle condizioni di depressione economica degli anni 30, per cui una guerra salverebbe oggi l’economia di Bush come salvò quella di Roosevelt 60 anni fa.
Ora viene la sorpresa. Per attuare la proposta di Henry George sarebbe necessaria una volontà politica non solo inesistente, ma anche impossibile da suscitare. Per attuare quella di Gesell la volontà politica è ugualmente inesistente, ma è provvidenzialmente innecessaria. Di fatto, di moneta geselliana non solo si parla, ma la si emette ormai in un numero crescente di comunità in tutto il mondo.
A partire dal 1983, circa 3000 comunità in tutti i continenti stanno emettendo ciascuna la sua moneta, non sostituendo quella ufficiale, ma parallelamente a essa. La moneta sociale soddisfa le necessità intracomunitarie, quella ufficiale serve per transazioni intercomunitarie e per pagare le tasse. In pochi casi le autorità accettano la moneta sociale anche per queste ultime. Ma la pressione sulla moneta ufficiale viene alleggerita notevolmente. La crisi argentina ha fatto sì che quasi l’80% del commercio interno avvenga oggi per mezzo di moneta sociale.
Si aggiunga che una base di dati è in grado di far scambiare servizi personali a tutti i livelli, anche mondiale, come già avviene. Oggi è quindi possibile definire la moneta univocamente come informazione. Da Creso a Bretton Woods questa informazione veniva registrata su pezzi di metallo più o meno prezioso e/o su pezzi di carta più o meno decorati. Oggi la si può registrare su una cartella in una base di dati sul disco duro di un computer.
Il fenomeno è agli inizi, ma è possibile prevederne delle conseguenze.
Una moneta sociale con potere di acquisto stabile finirà con l’imporre disciplina alla moneta ufficiale, ancora sotto l’illusione di Creso che le impose un superfluo “valore intrinseco” coniandola su pezzi di una lega di argento e oro;
E una moneta non più accaparrabile sarà libera e portatrice di libertà. Lo può verificare chiunque confrontandone le conseguenze contro quelle della moneta convenzionale.
Lo Stato non sembra darsene per inteso, ma la proliferazione di tali comunità lo forzerà a rivedere le politiche fiscali. E’ questione di tempo, e forse non tanto, perché trionfi la giustizia e non il positivismo giuridico e legale, e perchè si dica addio al parassitismo economico una volta per tutte. Come diceva Victor Hugo (1802-85) “nulla è più potente di un’idea il cui tempo è arrivato”.


di Silvano Borruso
 

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