Nessuno mi può giudicare (Caterina Caselli - 1966)

fo64

Forumer storico
Nella recente videocassetta, su cui si sono scatenate le più recenti polemiche politiche, Berlusconi si dice trattato come imputato speciale perché:
"in una democrazia liberale chi governa per volontà sovrana degli elettori è giudicato, quando è in carica e dirige gli affari di Stato, solo dai suoi pari, dagli eletti del popolo, perché la consuetudine e le leggi di immunità e garanzia lo mettono al riparo del rischio della persecuzione politica per via giudiziaria. Succede così nel mondo ma non nel nostro Paese".

Poi, a registrazione conclusa, chiarisce "dal vivo" ai giornalisti il suo pensiero:
"Quando ci sono processi in cui è chiamato in causa un presidente del Consiglio, sarebbe opportuno sospenderli, come capita in tutti i Paesi".

Qualcuno può suggerirmi il nome di uno di questi paesi? Di sicuro non sono gli USA, visto che l'allora Presidente Clinton dovette difendersi in più occasioni (a memoria ne butto lì un paio: le presunte speculazioni immobiliari in Arkansas e la Monica "boccadirosa")... non è la Gran Bretagna, dove Blair è nei guai per le amicizie "pericolose" della moglie e i relativi scandali per gli investimenti immobiliari a prezzo di favore... sarà forse in Francia? O in Germania? O più a nord, nei paesi scandinavi... :-D

Fo64
 
«Qualunque sarà l’esito di questa decisione, qualunque sarà la scelta dei giudici, non succederà nulla. Noi la rispetteremo, come tutte le sentenze dei massimi magistrati di Cassazione». (Sandro Bondi, portavoce di Forza Italia, Telenova, 27 gennaio 2003).


L'ha presa bene:
"In una democrazia liberale nessuno è al di sopra della legge, e dunque le sentenze si rispettano come si rispetta la presunzione d'innocenza degli imputati. In una democrazia liberale i giudici applicano la legge, non fanno politica e non fanno «resistenza, resistenza, resistenza» a chi è stato scelto dagli elettori per governare. In una democrazia liberale la magistratura liberale non si giudica da sè e non si autoassolve in ogni sede disciplinare, penale e civile così come avviene oggi in Italia. In una democrazia liberale chi governa per volontà sovrana degli elettori è giudicato, quando è in carica e dirige gli affari di Stato, solo dai suoi pari, dagli eletti del popolo, perchè la consuetudine e le leggi di immunità e garanzia lo mettono al riparo dal rischio della persecuzione politica per via giudiziaria. Succede così nel mondo, ma non nel nostro Paese.
In Italia le correnti politicizzate della magistratura, giusto dieci anni fa, imposero a un Parlamento intimidito e condizionato, un cambiamento della Costituzione del 1948 che ha messo nelle loro mani il potere di decidere al posto degli elettori. E questo potere arbitrario e di casta è stato illiberalmente esercitato nel 1994 contro un governo sgradito alla magistratura giacobina di sinistra, governo messo platealmente sotto accusa attraverso il suo leader in un procedimento iniziato a Napoli mentre presiedeva una Convenzione delle Nazioni Unite e sfociato poi, per assoluta mancanza di fondatezza, in una clamorosa assoluzione molti anni dopo. Questa situazione va corretta per il bene del Paese e delle sue istituzioni.
Il governo è del popolo e di chi lo rappresenta non di chi avendo vinto un concorso ha indossato una toga, ha soltanto il compito di applicare la legge. In una democrazia liberale gli imputati fanno il loro dovere, esercitando il diritto alla difesa, e contrastano la pretesa della pubblica accusa di aver provato la loro colpevolezza.
È ciò che ho fatto fino ad ora, con successo, di fronte ad una inaudita catena di inchieste giudiziarie segnate dal più ostile e prevenuto accanimento. Dal momento della mia discesa in campo nell'attività politica contro di me e contro i dirigenti del gruppo imprenditoriale che mi onoro di aver fondato sono stati avviati 87 procedimenti penali, sono state celebrate ad oggi 1.561 udienze processuali, sono state effettuate 470 visite della Polizia giudiziaria e della Guardia di Finanza, sono stati asportati ed esaminati documenti aziendali per oltre un milione di pagine, sono stati passati ai raggi X oltre 270 conti correnti e depositi presso oltre 50 banche in Italia e all'estero. Di fronte a questa incredibile persecuzione giudiziaria io continuerò a difendermi come ho fatto sinora nella certezza, limpida, orgogliosa e serena, di non aver commesso reati contro la legge e contro la morale pubblica.
C'è tuttavia qualcosa che non appartiene all'imputato Berlusconi e nemmeno al presidente del Consiglio Berlusconi: questo qualcosa è il mandato degli elettori a governare nell'interesse della sicurezza e della libertà degli italiani, il mandato a cambiare il Paese attraverso la realizzazione del programma di riforme e di libertà civili approvato dai cittadini con il loro voto.
Oggi sono in gioco i principi della Costituzione e della divisione dei poteri, è in gioco il funzionamento delle istituzioni che hanno garantito al Paese una sana alternanza di forze diverse alla guida dello Stato, è in gioco la collocazione ferma del nostro Paese nella coalizione mondiale per le libertà e contro il terrorismo, è in gioco una giustizia davvero eguale per tutti e davvero amministrata in nome del popolo italiano e non in nome e per conto di una parte politica.
Per queste ragioni farò fino in fondo, fino in fondo, il mio dovere di presidente del Consiglio dei ministri senza tradire mai il mandato dei miei elettori perché è su quel mandato che si fondano la convivenza civile dei cittadini e l'immagine dell'Italia nel mondo. E ora, come sempre, al lavoro.
"
 
------------------------
da www.repubblica.it


Berlusconi afferma che nel '93 furono i giudici a imporre quella legge
Ma le cronache raccontano che avvenne per iniziativa dei suoi attuali alleati


Quando Bossi e Fini
cancellarono l'immunità


ROMA - Chi abolì, nel 1993, l'immunità parlamentare? Perché? E per ordine di chi? Secondo la ricostruzione del presidente del Consiglio, "le correnti politicizzate della magistratura, giusto dieci anni fa, imposero a un Parlamento intimidito e condizionato un cambiamento della Costituzione del 1948 che ha messo nelle loro mani il potere di decidere al posto degli elettori". Ma, secondo le cronache parlamentari, le cose andarono ben diversamente.

Nessuna corrente o magistrato chiese l'abolizione di quel privilegio, che imponeva alle procure di chiedere il permesso alle Camere anche per poter aprire un'indagine su un parlamentare (permesso quasi sempre negato). A chiederlo, all'indomani del rigetto delle autorizzazioni a procedere per Craxi, furono due mozioni: una firmata da Umberto Bossi, Roberto Maroni e Roberto Castelli. L'altra da Gianfranco Fini, Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa. Di quei sei, cinque sono oggi ministri del governo Berlusconi. I tre leghisti parlavano di "inaccettabile degenerazione nell'applicazione dell'immunità parlamentare trasformata in immotivato e ingiustificato privilegio" con "conseguenze inaccettabili e aberranti" che vanno "eliminate" al più presto. I tre missini scrivevano: "L'uso dell'immunità e soprattutto l'abuso del diniego dell'autorizzazione a procedere vengono visti ...come uno strumento per sottrarsi al corso necessario della giustizia".

Il relatore della legge che abrogava l'immunità era Pier Ferdinando Casini che, il 12 maggio '93, disse alla Camera: "Il principio del princeps legibus solutus è medievale e quindi superato. Se vi è istanza di eguaglianza, quindi, essa deve riguardare in primo luogo gli autori della legge".

Il 12 ottobre la Camera approvò con 525 sì, 5 no e 1 astenuto. Il 27 ottobre il Senato fece altrettanto con 224 sì, nessun no e 7 astenuti. (m.trav.)
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto