New Orleans: sul National Geographic avevano previsto tutto (1 Viewer)

fo64

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dal sito Dagospia.com:

OLD ORLEANS - L’INONDAZIONE, L’EMERGENZA, IL DISASTRO. ERA TUTTO SCRITTO. NON IN UNA OSCURA QUARTINA DI NOSTRADAMUS MA SUL POPOLARE E AUTOREVOLE NATIONAL GEOGRAPHIC. OTTOBRE 2004, TITOLO DEL SERVIZIO “GONE WITH THE WATER”…

Carla Reschia per “La Stampa”

L’inondazione, l’emergenza, il disastro. Era tutto scritto. Non in una oscura quartina di Nostradamus ma sul popolare e autorevole National Geographic. Ottobre 2004, titolo del servizio Gone with the water, che forse echeggia il titolo originale di «Via col vento», Gone with the wind, e rende senz’altro l’idea. Anche troppo. Perché uno legge l’attacco e trasecola. Dice: «Era un caldo pomeriggio d’agosto a New Orleans, Louisiana....Chi era in casa ringraziava l’inventore dell’aria condizionata e guardava in tv gli avvisi di tempesta: uragano in arrivo nel golfo del Messico. Nulla di strano, agosto è stagione di uragani da quelle parti...».

Il testo prosegue raccontando un’improvvisa e drammatica svolta: «Ma il giorno dopo la tempesta raccolse le forze e si avventò sulla città. Mentre l’uragano si avvicinava alla costa oltre un milione di persone evacuarono le zone più esposte. Rimasero circa in 200 mila, quelli che non possedevano un’automobile, i vagabondi, gli anziani, i malati e i bastian contrario, che fanno sempre l’opposto degli altri. Il turbine d’aria colpì Breton Sound con la furia di un’esplosione atomica, sollevando onde gigantesche nel lago Pontchartrain. L’acqua scavalcò con un boato le dighe che lo contengono e l'80% di New Orleans finì sott’acqua, ecc...».

L’occhio corre alla data: forse è una cronaca dei giorni scorsi. Ma no, è proprio Ottobre 2004. E infatti l’autore, Joel K. Bourne, prosegue: «Quando è avvenuto questo disastro? Non è accaduto, non ancora. Ma è uno scenario molto realistico. L’agenzia che gestisce a livello federale le crisi, la Federal Emergency Management Agency, considera l’eventualità che un uragano colpisca New Orleans come una delle più gravi minacce per la nazione, insieme a un terremoto in California o a un attacco terroristico a New York. Nemmeno la Croce rossa apre più rifugi anti-uragano in città: sostiene che il rischio per i suoi operatori è troppo elevato».

Basterebbe così, ma lo stile National è preciso al limite della pedanteria e la rivista concede ai suoi giornalisti tutto lo spazio e il tempo che occorrono. Ecco allora la testimonianza di un altro profeta, Joe Suhayda, ingegnere in pensione della Louisiana State University e profondo conoscitore della costa e delle sue dinamiche: «Il killer per la Louisiana è un uragano che arriva dalla direzione peggiore e a 72 ore dall’impatto è di forza 3, a 48 ore passa a forza 4 e diventa di forza 5 il giorno prima». Appunto. «La gente - osserva - non si rende conto di quanto sia precaria la nostra situazione»; per poi pronunciare la frase che potrebbe fare da epigrafe a questa e a tante altre tragedie annunciate: «La nostra tecnologia è fantastica, quando funziona. Ma quando fallisce rende le cose ancora peggiori».

E’ tutto nero su bianco, ben documentato e spiegato a prova di stupido. C’è l'allarme dei climatologi sul rischio sempre crescente di inondazioni disastrose grazie al riscaldamento globale; c’è quello dei geologi che spiegano come, per un insieme di fattori naturali e umani, la barriera protettiva naturale della costa della Lousiana, fatta di isolette e paludi, venga fagocitata dal golfo del Messico al ritmo di 33 campi di calcio al giorno. Come dice un altro profeta interpellato da Bourne, Shea Penland, dell’University of New Orleans, «Non c’è da chiedersi se accadrà, ma solo quando». Ora lo sappiamo.

E pensare che, a leggerlo e a tenerne conto, anche a chi ragiona solo in termini di profitto questo articolo aveva qualcosa da suggerire. Perché nelle wetland, le terre umide della Louisiana, ora passate decisamente dalla parte dell’acqua, «si produce o si trasporta oltre un terzo del petrolio degli Stati Uniti e un quarto del gas naturale, mentre sono seconde solo all’Alaska per la pesca». Ora tutto questo è, per dirla nel curioso dialetto locale, «ga’an pecan» . Che si potrebbe tradurre come: andato a ramengo.


Dagospia 06 Settembre 2005
 

fo64

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gipa69 ha scritto:
http://www.mises.org/freemarket_detail.asp?control=8&sortorder=articledate

Interessante articolo, grazie Gipa, anche se con il mio livello di inglese ci ho messo almeno 30 minuti per riuscire a dargli un senso compiuto :D
Da qualche parte leggevo anche che le famose dighe che han ceduto sono in pratica senza controlli e manutenzione "serie" da anni, e vista l'età ne avevano un bisogno disperato!
Solita storia: mancano i fondi, promesse di politici mai mantenute etc etc.
Chissà se la famosa inchiesta promossa da Bush porterà alla luce qualcosa di concreto :rolleyes:
Non so perchè ma non ci scommetterei un solo eurino :)
 

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