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Forumer storico
Il rally di Nexi ha una spiegazione preoccupante: i tassi d’interesse delle carte di credito continuano a crescere
Nexi segnava un 1% tondo di rialzo, dopo aver toccato anche un +1,56% a 11,85 euro per azione.
Cosa garantiva questo rally all’azione del gestore di carte di credito?
Forse l’abuso delle stesse legate al periodo natalizio e l’aspettativa per il redde rationem fissato per il 15 gennaio, quando le spese per i regali si materializzeranno sui conti correnti dei clienti?
No, a detta degli analisti, il titolo continuerebbe a correre grazie all’annuncio – avvenuto il 19 dicembre scorso – di un accordo per acquisire il ramo di merchant acquiring di Intesa Sanpaolo.
A seguito della firma, infatti, Standard&Poor’s ha deciso di mantenere invariato il rating BB del titolo, confermando anche l’outlook positivo. Il tutto, però, alla luce di un report informativo che cozza un po’ con l’entusiasmo generale attorno a Nexi e all’operazione. Per l’agenzia di rating, infatti, il gestore “finanzierà l’acquisizione interamente con nuovi debiti e, nonostante questo non indebolisca significativamente la view relativa la leva finanziaria di Nexi, ne ritarda comunque il miglioramento che ci aspettavamo nelle metriche chiave”. Insomma, una mezza bocciatura, se la lingua italiana non è un’opinione.
Di fatto, si conferma un peggioramento delle dinamiche di indebitamento e un rallentamento del percorso di consolidamento delle performance di base. Volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, scampato pericolo rispetto al rischio di un downgrade, insomma. Ma non proprio qualcosa da festeggiare con picchi intraday del titolo addirittura da best performer del Ftse Mib.
In particolare, però, l’outlook positivo è stato deciso in base a un principio di possibile review condizionata: ovvero, S&P’s si riserva la facoltà di migliorare il giudizio di solvibilità di Nexi, a patto che si generino le condizioni in base alle quali sia confermata la capacità di mantenere “il rapporto debito/Ebitda di 4/5 volte e quello tra fondi da operazione e debito sopra il 12% nei prossimi 12 mesi”.
E come sarà possibile?
Nuovi rumours provenienti da ambienti di stampa parlano di una discussione embrionale fra i soci della società di sistemi di pagamento e quelli di Sia per un’intesa funzionale all’integrazione dei due gruppi. Fin qui, l’ufficialità e la formalità.
In questo grafico, invece, una dinamica decisamente particolare che potrebbe essere alla radice non tanto delle fortune borsistiche immediate di Nexi, quanto del supplemento di fiducia nel futuro implicitamente contenuto nel giudizio di Standard&Poor’s rispetto al rating.
Deutsche Bank
Nonostante la Fed abbia bloccato repentinamente il suo programma di rialzo dei tassi e, anzi, dalla scorsa estate abbia tagliato il costo del denaro già tre volte, dal mercato benchmark mondiale per l’indebitamento allegro dei consumatori tramite carte di credito/debito e credito al consumo giunge la conferma che le banche abbiano invece alzato i tassi applicati agli strumenti di pagamento elettronico ai massimi storici. Insomma, i tassi bassi che dovrebbero essere di supporto ai cittadini americani, in realtà lo sono delle banche.
Le quali, esattamente come avviene con i tassi negativi sui depositi, stanno trasmettendo le loro criticità alla clientela, al fine di tamponare gli effetti più diretti delle politiche monetarie delle Banche centrali. Bce in testa, vista la ferma volontà ribadita da Christine Lagarde di non toccare i tassi al rialzo per lungo tempo, quantomeno per tutto il 2020.
E questi due grafici mostrano un’altra dinamica decisamente interessante, quasi un proxy diretto dello stato di salute della cosiddetta economia reale statunitense.
Deutsche Bank
I tassi sui prestiti legati al credito al consumo per l’acquisto di auto – nuove e usate – sono infatti a livelli decisamente alti per quanto riguarda gli istituti bancari “ufficiali”, ovvero le banche commerciali con sportelli e filiali fisiche ma sono addirittura peggiori (per la clientela) quando si guarda alle finanziarie private, i cui tassi applicati oggi sono pari a quelli proposti quando il tasso benchmark della Fed era quasi del 3% superiore a quello attuale.
Deutsche Bank
Il motivo per cui questa dinamica mette le ali a soggetti come Nexi?
Semplice, in America sta salendo – e in maniera preoccupante, quasi un déjà vu della crisi subprime legata ai mutui immobiliari – il numero di insolvenze sui pagamenti delle rate a 90 giorni, sia sulle carte di credito ma soprattutto sui prestiti legati all’automotive.
Quindi, le banche sono autorizzate a caricare maggiori oneri da penale sui clienti e, di conseguenza, le società di sistemi di pagamento elettronici guadagnano maggiormente in commissioni.
Il problema?
Sostanziale: fino a quando non miglioreranno le dinamiche salariali e l’inflazione reale non verrà calcolata in maniera seria, piuttosto che fare riferimento – come si fa oggi, soprattutto negli Usa – a ipotetici panieri ad aumento zero (nonostante la formale guerra commerciale in atto, oltretutto), la criticità base non verrà rimossa.
Cioè,
il ricorso sempre più strutturale all’uso di credito al consumo e indebitamento tramite carte di credito, un qualcosa che sta divenendo sistemico nella gestione delle spese fisse del bilancio familiare. Anche in Europa.
Insomma, sempre più anche da noi si sfrutta il “periodo di tregua” garantito dal pagamento con carta di credito per fare fronte all’aumento delle spese, al netto di salari e stipendi inchiodati al palo.
Periodo di tregua che, ovviamente, ha però un costo. Più o meno occulto, come mostra la dinamica già oggi in atto, nonostante tassi di interesse benchmark sempre più bassi a livello globale.
Sicuramente, salato. Soprattutto in un momento in cui si punta – pur con motivazioni nobili come la lotta all’evasione, al riciclaggio e al crimine organizzato – sempre più verso una cashless society.
E a spingere sull’acceleratore dei rialzi e della fiducia per titoli come Nexi ci pensa anche la dinamica mostrata da questo ultimo grafico, dal quale si evince che in Germania non solo le aspettative legate appunto alle dinamiche salariali e all’indice di fiducia generale nell’economia siano oggi al minimo da sei anni (ovvero, dal fallout quasi nucleare della crisi dei debiti sovrani che stava per far saltare l’eurozona) ma, soprattutto, che in contemporanea la propensione al risparmio dei cittadini sia oggi anch’essa in calo (il dato della linea in blu va letto invertito).
Bce
Questo in piena dinamica di tassi di deposito negativi, quindi con il forte rischio – già annunciato ufficialmente, in alcuni casi – di trasferimento di quell’onere anche sui correntisti (per ora, solo i più facoltosi) da parte degli istituti di credito. Insomma, criticità che si sommano e che sembrano aprire prospettive tutt’altro che rosee per l’economia reale e il fronte dei consumi, al netto di una bassa propensione al risparmio che è figlia del costo della vita ormai check-by-check e non di progettualità futura.
Chi ne beneficia?
Le forme dilazionate di pagamento, àncora di salvezza dei cittadini e risorsa da spremere per le banche.
E come nella miglior tradizione della spietatezza borsistica, il sangue nelle strade fa la gioia dei listini. In questo caso, soprattutto per titoli come Nexi.
- Mauro Bottarelli
- 23/12/2019 11:45:12 PM
Nexi segnava un 1% tondo di rialzo, dopo aver toccato anche un +1,56% a 11,85 euro per azione.
Cosa garantiva questo rally all’azione del gestore di carte di credito?
Forse l’abuso delle stesse legate al periodo natalizio e l’aspettativa per il redde rationem fissato per il 15 gennaio, quando le spese per i regali si materializzeranno sui conti correnti dei clienti?
No, a detta degli analisti, il titolo continuerebbe a correre grazie all’annuncio – avvenuto il 19 dicembre scorso – di un accordo per acquisire il ramo di merchant acquiring di Intesa Sanpaolo.
A seguito della firma, infatti, Standard&Poor’s ha deciso di mantenere invariato il rating BB del titolo, confermando anche l’outlook positivo. Il tutto, però, alla luce di un report informativo che cozza un po’ con l’entusiasmo generale attorno a Nexi e all’operazione. Per l’agenzia di rating, infatti, il gestore “finanzierà l’acquisizione interamente con nuovi debiti e, nonostante questo non indebolisca significativamente la view relativa la leva finanziaria di Nexi, ne ritarda comunque il miglioramento che ci aspettavamo nelle metriche chiave”. Insomma, una mezza bocciatura, se la lingua italiana non è un’opinione.
Di fatto, si conferma un peggioramento delle dinamiche di indebitamento e un rallentamento del percorso di consolidamento delle performance di base. Volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, scampato pericolo rispetto al rischio di un downgrade, insomma. Ma non proprio qualcosa da festeggiare con picchi intraday del titolo addirittura da best performer del Ftse Mib.
In particolare, però, l’outlook positivo è stato deciso in base a un principio di possibile review condizionata: ovvero, S&P’s si riserva la facoltà di migliorare il giudizio di solvibilità di Nexi, a patto che si generino le condizioni in base alle quali sia confermata la capacità di mantenere “il rapporto debito/Ebitda di 4/5 volte e quello tra fondi da operazione e debito sopra il 12% nei prossimi 12 mesi”.
E come sarà possibile?
Nuovi rumours provenienti da ambienti di stampa parlano di una discussione embrionale fra i soci della società di sistemi di pagamento e quelli di Sia per un’intesa funzionale all’integrazione dei due gruppi. Fin qui, l’ufficialità e la formalità.
In questo grafico, invece, una dinamica decisamente particolare che potrebbe essere alla radice non tanto delle fortune borsistiche immediate di Nexi, quanto del supplemento di fiducia nel futuro implicitamente contenuto nel giudizio di Standard&Poor’s rispetto al rating.
Nonostante la Fed abbia bloccato repentinamente il suo programma di rialzo dei tassi e, anzi, dalla scorsa estate abbia tagliato il costo del denaro già tre volte, dal mercato benchmark mondiale per l’indebitamento allegro dei consumatori tramite carte di credito/debito e credito al consumo giunge la conferma che le banche abbiano invece alzato i tassi applicati agli strumenti di pagamento elettronico ai massimi storici. Insomma, i tassi bassi che dovrebbero essere di supporto ai cittadini americani, in realtà lo sono delle banche.
Le quali, esattamente come avviene con i tassi negativi sui depositi, stanno trasmettendo le loro criticità alla clientela, al fine di tamponare gli effetti più diretti delle politiche monetarie delle Banche centrali. Bce in testa, vista la ferma volontà ribadita da Christine Lagarde di non toccare i tassi al rialzo per lungo tempo, quantomeno per tutto il 2020.
E questi due grafici mostrano un’altra dinamica decisamente interessante, quasi un proxy diretto dello stato di salute della cosiddetta economia reale statunitense.
I tassi sui prestiti legati al credito al consumo per l’acquisto di auto – nuove e usate – sono infatti a livelli decisamente alti per quanto riguarda gli istituti bancari “ufficiali”, ovvero le banche commerciali con sportelli e filiali fisiche ma sono addirittura peggiori (per la clientela) quando si guarda alle finanziarie private, i cui tassi applicati oggi sono pari a quelli proposti quando il tasso benchmark della Fed era quasi del 3% superiore a quello attuale.
Il motivo per cui questa dinamica mette le ali a soggetti come Nexi?
Semplice, in America sta salendo – e in maniera preoccupante, quasi un déjà vu della crisi subprime legata ai mutui immobiliari – il numero di insolvenze sui pagamenti delle rate a 90 giorni, sia sulle carte di credito ma soprattutto sui prestiti legati all’automotive.
Quindi, le banche sono autorizzate a caricare maggiori oneri da penale sui clienti e, di conseguenza, le società di sistemi di pagamento elettronici guadagnano maggiormente in commissioni.
Il problema?
Sostanziale: fino a quando non miglioreranno le dinamiche salariali e l’inflazione reale non verrà calcolata in maniera seria, piuttosto che fare riferimento – come si fa oggi, soprattutto negli Usa – a ipotetici panieri ad aumento zero (nonostante la formale guerra commerciale in atto, oltretutto), la criticità base non verrà rimossa.
Cioè,
il ricorso sempre più strutturale all’uso di credito al consumo e indebitamento tramite carte di credito, un qualcosa che sta divenendo sistemico nella gestione delle spese fisse del bilancio familiare. Anche in Europa.
Insomma, sempre più anche da noi si sfrutta il “periodo di tregua” garantito dal pagamento con carta di credito per fare fronte all’aumento delle spese, al netto di salari e stipendi inchiodati al palo.
Periodo di tregua che, ovviamente, ha però un costo. Più o meno occulto, come mostra la dinamica già oggi in atto, nonostante tassi di interesse benchmark sempre più bassi a livello globale.
Sicuramente, salato. Soprattutto in un momento in cui si punta – pur con motivazioni nobili come la lotta all’evasione, al riciclaggio e al crimine organizzato – sempre più verso una cashless society.
E a spingere sull’acceleratore dei rialzi e della fiducia per titoli come Nexi ci pensa anche la dinamica mostrata da questo ultimo grafico, dal quale si evince che in Germania non solo le aspettative legate appunto alle dinamiche salariali e all’indice di fiducia generale nell’economia siano oggi al minimo da sei anni (ovvero, dal fallout quasi nucleare della crisi dei debiti sovrani che stava per far saltare l’eurozona) ma, soprattutto, che in contemporanea la propensione al risparmio dei cittadini sia oggi anch’essa in calo (il dato della linea in blu va letto invertito).
Questo in piena dinamica di tassi di deposito negativi, quindi con il forte rischio – già annunciato ufficialmente, in alcuni casi – di trasferimento di quell’onere anche sui correntisti (per ora, solo i più facoltosi) da parte degli istituti di credito. Insomma, criticità che si sommano e che sembrano aprire prospettive tutt’altro che rosee per l’economia reale e il fronte dei consumi, al netto di una bassa propensione al risparmio che è figlia del costo della vita ormai check-by-check e non di progettualità futura.
Chi ne beneficia?
Le forme dilazionate di pagamento, àncora di salvezza dei cittadini e risorsa da spremere per le banche.
E come nella miglior tradizione della spietatezza borsistica, il sangue nelle strade fa la gioia dei listini. In questo caso, soprattutto per titoli come Nexi.