Anche io sono stupito dalla rapidità in cui le banche centrali (in modo cauto), i governanti (in modo più convinto) e gli analisti prezzolati delle banche d'affari (in modo spudorato) hanno mutato opinione nel breve volgere di un mese.
Quella crisi che a marzo tutti paragonavano con la Grande Depressione e che, secondo i più, avrebbe dovuto accompagnarci per tutto il 2009 e forse anche per il 2010, sembra passata d'incanto.
Il drastico mutamento di opinioni non deriva da dati reali, ma da alcuni miglioramenti che si intravvedono negli indicatori di fiducia.
I dati reali pervenuti finora non lasciano spazio a grandi illusioni: il PIL USA è stimato ad un tasso di caduta del 6,1% annualizzato; la stima più recente fatta del PIL tedesco del 2009 parla anch'essa di un -6%. Nessun barlume di positività viene dal mercato del lavoro USA, che continua a perdere ogni mese più di 600.000 posti di lavoro.
Gli unici dati migliori delle attese sono arrivati dagli indici di fiducia dei consumatori e dagli indici dei manager (ISM e PMI), che hanno fermato la caduta e sono rimbalzati. Va considerato comunque che la fiducia registra comunque ancora valori intorno a 60, ben lontani dai valori superiori a 100 che si vedevano nel 2007. Anche ISM e PMI si sono riportati intorno a 40, che è ancora ben lontano dal valore 50 che separa la recessione dalla crescita.
Sembra quindi corretto, come lucidamente ha fatto Draghi, parlare di rallentamento della caduta delle economie più importanti, non di ripresa. Un rallentamento della recessione potrebbe far ipotizzare una futura stabilizzazione, ma pare prematuro già scommettere sull'inversione congiunturale. Eppure sembra che i mercati lo facciano.