Fleursdumal
फूल की बुराई
da usemlab
Prime crepe nel debito pubblico giapponese
(21/09/02) Già a febbraio parlammo della più grande polveriera economica mondiale: il Giappone. Gli sforzi del governo e della Banca del Giappone tesi a minimizzare i danni prima della chiusura dell’anno fiscale nipponico (che cade a fine marzo) riuscirono a rilanciare il mercato azionario. Tuttavia, come avevamo predetto si sarebbero rivelati nel medio lungo termine del tutto inutili.
Il mercato azionario dopo un rimbalzo del 25% è tornato a registrare nuovi minimi proprio di recente, tornando sui valori del lontano 1983. La chiusura del primo semestre è alle porte e le autorità giapponesi si ritrovano davanti lo stesso scenario di febbraio. Evidentemente la storia continua a non insegnare niente. La soluzione proposta è sempre la stessa (così come molto probabilmente nel medio lungo termine sarà ancora una volta del tutto inutile): sostenere artificialmente le quotazioni di borsa. Questa volta la banca centrale del Giappone ha proposto di rilevare direttamente dai portafogli ingessati delle banche le partecipazioni azionarie, al fine implicito, quanto chiaro, di sostenerne i corsi.
La manipolazione delle variabili economiche e finanziarie è uno dei più grossi errori che nel tempo si ribella in maniera devastante contro i propri autori. Anche coloro che in un primo momento ne hanno beneficiato rischiano di subirne effetti e conseguenze più pesanti di quelle che si volevano evitare.
Proprio venerdì 20 settembre si sono manifestate le prime crepe dell’impossibile salvataggio di un sistema che ha ben poche vie d’uscita se non un drastico sgonfiamento dell’imponente debito alimentato dalla famosa trappola della liquidità e accumulatosi al di là di ogni ragionevole equilibrio finanziario in oltre 10 anni di stagnazione economica.
Per la prima volta l’asta dei JGB decennali, i titoli di stato giapponesi, non ha ricevuto una domanda di sottoscrizioni almeno pari all’offerta. Contro 1.8 trilioni di yen (circa 14.65 B di dollari) offerti, i titoli richiesti sono stati solo 1.1852 T, il 65.8%. I tassi di interesse sono schizzati di conseguenza all’1.305%.
Tasso di rendimento del JGB decennale (Oct 2001 - Sep 2002)
(fonte: Bloomberg)
Come abbiamo ripetuto più volte, tassi così bassi possono essere giustificati dalla politica monetaria giapponese, che presenta i tassi più bassi del mondo, e da una inflazione inesistente, ma non incorporano affatto il rischio paese, correlato positivamente all’ammontare di debito pubblico, tra i più alti al mondo in termini percentuali di GPD (circa il 140%).
Una situazione del tutto paradossale che finora ha evitato il peggio ma che ha ingessato l’economia nipponica, ritenuta appena dodici anni fa la più efficiente del mondo, nella peggiore crisi che abbia mai attraversato.
Hayami, il governatore della banca centrale giapponese, non è affatto preoccupato per la situazione corrente. Anche lui, come molti altri esperti è convinto che i soldi e la ricchezza si possano creare dal nulla attraverso l’emissione di banconote di carta e dei suoi surrogati il cui valore viene artificialmente gonfiato dalla riduzione dei tassi di interesse.
Non solo, la considerazione di Hayami, secondo la quale l’appetito degli investitori per i JGB sarebbe immutato, rientra di diritto nella fiera degli orrori economici. Immutato o meno che sia, l’appetito degli investitori per un decennale che rende appena l’1% e che presenta un rischio di sistema pari a quello della repubblica del Botswana, non ha in nessun caso niente di naturale, e Hayami dovrebbe saperlo. Come dovrebbe sapere che per mantenere quell’appetito artificiale negli ultimi anni si è gonfiato un debito pubblico di dimensioni spaventose che pesa sull’intero sistema economico e che probabilmente porterà a una delle peggiori bancarotte che la storia ricordi.
Vediamo quale è stato l’andamento dei futures, i contratti a termine sul JGB negli ultimi 14 anni:
Futures sul JGB decennale (1988-2002)
(fonte: Bloomberg)
Il grafico presenta abbastanza chiaramente il mercato bull dei titoli di stato giapponesi a partire dal 1990. Un mercato bull che al pari di quello in corso sui titoli americani ha contribuito a bilanciare la perdita di valore del mercato azionario. Un fattore indispensabile per i rendimenti delle strategie di asset allocation divise tra azioni e obbligazioni e pochissimo cash, ma che si potrebbe rivelare devastante nel prossimo futuro. Mentre infatti le aziende presentano ancora bassissimi livelli di redditività tali da impedire una ripresa del mercato azionario l’aumento del debito pubblico potrebbe avere raggiunto la massa critica oltre il quale è destinato a volgere rapidamente verso l’implosione.
La considerazione dei tassi di cambio è a tal fine molto importante per cercare di capire le sorti del debito pubblico. Sempre in settimana il cambio Euro/Yen ha registrato nuovi massimi rompendo una configurazione rialzista molto importante. La debolezza dello yen è stata significativa anche verso il dollaro. Ciò si è tradotto chiaramente in un flusso di capitali in uscita dal Giappone che, qualora continuasse, potrebbe minare ulteriormente i rendimenti dei titoli di stato nipponici.
Un tasso di cambio debole sicuramente va a vantaggio delle esportazioni giapponesi e quindi a favore dello scenario di ripresa economica che di recente sembrava essere stata minacciata proprio dalla forza relativa dello Yen verso il dollaro (o meglio dalla debolezza del dollaro verso le altre principali valute).
Tuttavia queste considerazioni sono a nostro avviso valide in un contesto altrettanto favorevole di crescita dell’economia mondiale. Proprio ciò che i dati statistici, per quanto differentemente interpretati, stanno negando. Senza una domanda esterna in grado di assorbire la produzione giapponese (favorita da un tasso di cambio più debole) la debolezza dello yen potrebbe stimolare più i deflussi di capitali a danno dei tassi di interesse e dell’economia che non le importazioni a favore della stessa.
Un dilemma di difficile risoluzione per Hayami e una incognita molto importante per la sorte dei risparmi dei giapponesi, il cui 3% basterebbe da solo a comprare tutte le riserve mondiali di oro delle banche centrali.
Lo staff
Prime crepe nel debito pubblico giapponese
(21/09/02) Già a febbraio parlammo della più grande polveriera economica mondiale: il Giappone. Gli sforzi del governo e della Banca del Giappone tesi a minimizzare i danni prima della chiusura dell’anno fiscale nipponico (che cade a fine marzo) riuscirono a rilanciare il mercato azionario. Tuttavia, come avevamo predetto si sarebbero rivelati nel medio lungo termine del tutto inutili.
Il mercato azionario dopo un rimbalzo del 25% è tornato a registrare nuovi minimi proprio di recente, tornando sui valori del lontano 1983. La chiusura del primo semestre è alle porte e le autorità giapponesi si ritrovano davanti lo stesso scenario di febbraio. Evidentemente la storia continua a non insegnare niente. La soluzione proposta è sempre la stessa (così come molto probabilmente nel medio lungo termine sarà ancora una volta del tutto inutile): sostenere artificialmente le quotazioni di borsa. Questa volta la banca centrale del Giappone ha proposto di rilevare direttamente dai portafogli ingessati delle banche le partecipazioni azionarie, al fine implicito, quanto chiaro, di sostenerne i corsi.
La manipolazione delle variabili economiche e finanziarie è uno dei più grossi errori che nel tempo si ribella in maniera devastante contro i propri autori. Anche coloro che in un primo momento ne hanno beneficiato rischiano di subirne effetti e conseguenze più pesanti di quelle che si volevano evitare.
Proprio venerdì 20 settembre si sono manifestate le prime crepe dell’impossibile salvataggio di un sistema che ha ben poche vie d’uscita se non un drastico sgonfiamento dell’imponente debito alimentato dalla famosa trappola della liquidità e accumulatosi al di là di ogni ragionevole equilibrio finanziario in oltre 10 anni di stagnazione economica.
Per la prima volta l’asta dei JGB decennali, i titoli di stato giapponesi, non ha ricevuto una domanda di sottoscrizioni almeno pari all’offerta. Contro 1.8 trilioni di yen (circa 14.65 B di dollari) offerti, i titoli richiesti sono stati solo 1.1852 T, il 65.8%. I tassi di interesse sono schizzati di conseguenza all’1.305%.
Tasso di rendimento del JGB decennale (Oct 2001 - Sep 2002)
(fonte: Bloomberg)
Come abbiamo ripetuto più volte, tassi così bassi possono essere giustificati dalla politica monetaria giapponese, che presenta i tassi più bassi del mondo, e da una inflazione inesistente, ma non incorporano affatto il rischio paese, correlato positivamente all’ammontare di debito pubblico, tra i più alti al mondo in termini percentuali di GPD (circa il 140%).
Una situazione del tutto paradossale che finora ha evitato il peggio ma che ha ingessato l’economia nipponica, ritenuta appena dodici anni fa la più efficiente del mondo, nella peggiore crisi che abbia mai attraversato.
Hayami, il governatore della banca centrale giapponese, non è affatto preoccupato per la situazione corrente. Anche lui, come molti altri esperti è convinto che i soldi e la ricchezza si possano creare dal nulla attraverso l’emissione di banconote di carta e dei suoi surrogati il cui valore viene artificialmente gonfiato dalla riduzione dei tassi di interesse.
Non solo, la considerazione di Hayami, secondo la quale l’appetito degli investitori per i JGB sarebbe immutato, rientra di diritto nella fiera degli orrori economici. Immutato o meno che sia, l’appetito degli investitori per un decennale che rende appena l’1% e che presenta un rischio di sistema pari a quello della repubblica del Botswana, non ha in nessun caso niente di naturale, e Hayami dovrebbe saperlo. Come dovrebbe sapere che per mantenere quell’appetito artificiale negli ultimi anni si è gonfiato un debito pubblico di dimensioni spaventose che pesa sull’intero sistema economico e che probabilmente porterà a una delle peggiori bancarotte che la storia ricordi.
Vediamo quale è stato l’andamento dei futures, i contratti a termine sul JGB negli ultimi 14 anni:
Futures sul JGB decennale (1988-2002)
(fonte: Bloomberg)
Il grafico presenta abbastanza chiaramente il mercato bull dei titoli di stato giapponesi a partire dal 1990. Un mercato bull che al pari di quello in corso sui titoli americani ha contribuito a bilanciare la perdita di valore del mercato azionario. Un fattore indispensabile per i rendimenti delle strategie di asset allocation divise tra azioni e obbligazioni e pochissimo cash, ma che si potrebbe rivelare devastante nel prossimo futuro. Mentre infatti le aziende presentano ancora bassissimi livelli di redditività tali da impedire una ripresa del mercato azionario l’aumento del debito pubblico potrebbe avere raggiunto la massa critica oltre il quale è destinato a volgere rapidamente verso l’implosione.
La considerazione dei tassi di cambio è a tal fine molto importante per cercare di capire le sorti del debito pubblico. Sempre in settimana il cambio Euro/Yen ha registrato nuovi massimi rompendo una configurazione rialzista molto importante. La debolezza dello yen è stata significativa anche verso il dollaro. Ciò si è tradotto chiaramente in un flusso di capitali in uscita dal Giappone che, qualora continuasse, potrebbe minare ulteriormente i rendimenti dei titoli di stato nipponici.
Un tasso di cambio debole sicuramente va a vantaggio delle esportazioni giapponesi e quindi a favore dello scenario di ripresa economica che di recente sembrava essere stata minacciata proprio dalla forza relativa dello Yen verso il dollaro (o meglio dalla debolezza del dollaro verso le altre principali valute).
Tuttavia queste considerazioni sono a nostro avviso valide in un contesto altrettanto favorevole di crescita dell’economia mondiale. Proprio ciò che i dati statistici, per quanto differentemente interpretati, stanno negando. Senza una domanda esterna in grado di assorbire la produzione giapponese (favorita da un tasso di cambio più debole) la debolezza dello yen potrebbe stimolare più i deflussi di capitali a danno dei tassi di interesse e dell’economia che non le importazioni a favore della stessa.
Un dilemma di difficile risoluzione per Hayami e una incognita molto importante per la sorte dei risparmi dei giapponesi, il cui 3% basterebbe da solo a comprare tutte le riserve mondiali di oro delle banche centrali.
Lo staff