RASSEGNA STAMPA 5

FORTEBRACCIO

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[center:5b51d80cb0]Formidabili quei danni [/center:5b51d80cb0]

Tenetevi forte: Mastella chiede i danni.
Anziché ringraziare questo Paese demente che non ha ancora organizzato una class action per chiedergli i danni, lo statista di Ceppaloni, momentaneamente ai box, strilla su giornali e tv che vuol esser risarcito e si appella a Napolitano.

Perché mai?
Perché la Procura di Roma ha archiviato l'inchiesta a carico suo e di Rutelli per abuso d'ufficio a proposito del volo di Stato al Gran Premio di Monza, svelata dall'Espresso.
E il gip di Catanzaro ha archiviato la sua posizione nell'inchiesta Why Not. Ma intanto lui ha perso il posto.

Ora, lui s'è dimesso per l'inchiesta di S. Maria Capua Vetere, più che mai aperta, e non per le altre due.

Quanto al Gran Premio, non si capisce letteralmente di che parli Mastella: l'archiviazione non cancella il fatto, non significa che lui non fosse sull'aereo di Stato col figlio Elio per vedersi la Formula Uno a spese dei contribuenti.

Significa che tutto ciò non è reato.

E chissenefrega: nessuno aveva detto che lo fosse.
S'era detto che è uno scandalo l'uso personal-familiare di risorse pubbliche, e lo si può ripetere tranquillamente oggi.
In un paese serio non sarebbe Mastella a chiedere i danni: sarebbero i cittadini a chiedergli, in solido con Rutelli, di pagare la benzina dell'Air Force One.

Ma perché Mastella era stato indagato da De Magistris?
Secondo Carlo Macrì del Corriere, solo “per una presunta amicizia con Antonio Saladino” e perché “il suo numero di telefono era nell'agenda di Saladino”.

Ma le cose non stanno così.
Per un anno De Magistris indaga su alcune società legate al capo della Compagnia delle opere calabrese, Antonio Saladino, rimpinzate di denaro pubblico poi finito - nell'ipotesi d'accusa - nelle tasche di vari politici.

Il sistema è talmente consolidato che di casi Why Not - vedi ultima puntata di Report- se ne contano a centinaia in tutto il Sud.
Intercettando Saladino e altri indagati, come il piduista pregiudicato Luigi Bisignani, il generale Poletti, il costruttore Carducci, emerge che i suddetti erano in stretti rapporti con Mastella.

Mastella gioca d'anticipo e il 20 settembre 2007 chiede al Csm di cacciare De Magistris da Catanzaro.
Il Csm non l'accontenta, non subito almeno.
Il pm continua a lavorare (a fine anno scadono i termini dell'indagine) e interroga vari testimoni, tra cui l'ex consigliere regionale del Psdi Giuseppe Tursi Prato, in carcere per mafia, voto di scambio e corruzione, che ha deciso di collaborare.

Tursi Prato gli descrive il trasversalissimo sistema di potere di Saladino & C., con presunti scambi di favori e voti con vari politici, tra cui Mastella, eletto proprio in Calabria.

Notizie di possibili reati che il 14 ottobre impongono al pm di iscrivere Mastella sul registro degli indagati per le ipotesi di truffa allo Stato italiano e all'Unione Europea, abuso d'ufficio e finanziamento illecito dei partiti: un atto dovuto a garanzia dello stesso inquisito, anche in vista della perquisizione che dovrà presto scattare nella sede del Campanile, l'organo Udeur finanziato dallo Stato e finanziatore della famiglia Mastella.

De Magistris prende ogni precauzione per evitare fughe di notizie, informando­ne solo il procuratore aggiun­to.

Ma “qualcuno” spiffera tutto a Libero, che il 19 ottobre titola: “Mastella indagato?”.

Il Pg Dolcino Favi non aspetta di meglio e lo stesso giorno avoca l'inchiesta per un grottesco “conflitto d'interessi” del pm: siccome Mastella vuol trasferi­re De Magistris, allora De Magistris ce l'ha con lui.

Pare la fiaba del lupo e dell'agnello.
Per legge il Pg non conosce le indagini, dunque non potrebbe avocare il fascicolo per un fatto - l'iscrizione di Mastella - a lui ignoto.

Ma provvede Libero a informarlo, dandogli il destro per bloccare il pm titolare.
Come aveva previsto, sempre su Libero, il profeta Renato Farina, già “agente Betulla”, amico di Saladino, 8 giorni prima dell'avocazione e 3 giorni prima dell'iscrizione.

Da Catanzaro, lo stesso 19 ottobre, trapela la notizia che proprio per quel giorno De Magistris aveva fissato perquisizioni al Campanile e alla ditta Carducci.
Ma il Pg Favi le rinvia al 25, quando tutti ormai se le aspettano. L'effetto sorpresa è svanito, l'inchiesta su Mastella è rovinata.

Alla fine l'unico a pagare è De Magistris, censurato e trasferito dal Csm.
I danni dovrebbe chiederli lui.
Mastella dovrebbe accendere un cero alla Madonna di Ceppaloni, per grazia ricevuta.


Marco Travaglio
 
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[center:2ca32b5475]Il Cavaliere insistente[/center:2ca32b5475]

Il lupo perde il pelo ma non il vizio.
E Silvio Berlusconi, non pago dell'incidente diplomatico sfiorato con il Quirinale appena pochi giorni or sono, torna ad attaccare gli ordinamenti fondanti della Repubblica.

Pochi giorni fa aveva definito il Colle come le "forche caudine" destinate ad ostacolare il suo futuro lavoro di Primo ministro.
Bacchettato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e costretto per questo a scusarsi ha messo subito le mani avanti sfoderando il suo mantra di sempre:

"Sono stato travisato".
Un ritornello che, tra l'altro, non gioca certo a favore di quella reputazione di grande e abile comunicatore che Berlusconi ostenta di sé.

Ora, come si dice, errare è umano.
Ma perseverare è diabolico.
Ed ecco di nuovo che, lancia in resta, il Cavaliere torna a combattere la sua battaglia, allargando il campo non solo al Quirinale, ma all'intero "sistema istituzionale", gran parte del quale, "se non tutto", sarebbe schierato compatto contro di lui e il suo futuro governo, che per sopravvivere avrà, dunque, "tante, troppe cose da fare".

Non è difficile immaginare cosa intenda il leader del Pdl con la generica espressione di "sistema istituzionale": la Corte costituzionale, il Csm, la "grande stampa", "parti importanti della magistratura".

E la Presidenza della Repubblica?
Anch'essa, certo.
Anche se, in teoria, solo in passato, quando al Colle sedeva Carlo Azeglio Ciampi, la cui "interpretazione dubbia" della legge elettorale, è tornato a ripetere Berlusconi, costrinse il centrodestra, all'epoca al governo, ad apportare quelle modifiche che l'hanno resa una "porcata".

La cornice istituzionale, con le sue regole e le sue restrizioni, non è mai stata del tutto digerita dal Cavaliere, che è fin troppo abituato a muoversi ai limiti della legalità, che giustifica l'evasione fiscale ed è stregato dall'idea di poter tornare a Palazzo Chigi per concludere quel lavoro che non è mai riuscito a portare a termine in quindici anni di attività politica.

Scrive bene Massimo Giannini, su Repubblica di qualche giorno fa, bollando le sortite di Berlusconi come "un insulto nei confronti del sistema dei valori repubblicani", che si fondano sulla collaborazione tra le istituzioni, sul rispetto degli organi di garanzia e sul bilanciamento dei poteri dello Stato.

Non c'è spazio, nella sua visione, per un leale dialogo istituzionale e politico: da una parte c'è lui, l'"unto del Signore" con la sua missione evangelica; dall'altra, un indistinto e pericoloso nemico da piegare una volta per tutte al suo volere.

"Credo che la prima cosa da cambiare sarà la nostra architettura istituzionale", torna dunque a ripetere il leader del centrodestra.
L'antico sogno di modificare la Costituzione, di attribuire maggiori poteri decisionali al premier (quindi a se stesso), è duro da abbandonare, nonostante sia già stato infranto da un referendum popolare del giugno 2006.

Berlusconi appare provato da questa nuova corsa elettorale; il peso degli anni si fa sentire, non c'è bandana che tenga, questa volta.
Ma l'insistenza, la tenacia nel ribadire sempre gli stessi concetti fino allo sfinimento (o, chissà, fino al completo lavaggio del cervello) sono rimaste immutate.

Ecco allora che il capo del Pdl appare sempre più come l'Agilulfo del Cavaliere inesistente di Italo Calvino: un'armatura vuota, che si tiene in vita solo grazie alla sua forza di volontà e ostinazione.


Vittorio Strampelli

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[center:ae54ddc4c5]BERLUSCONEIDE[/center:ae54ddc4c5]

"Tutti in piedi quando entra il professore.
E' un segno di rispetto e di buona educazione" ha dichiarato Berlusconi alla videochat del Corriere.
Certo che il Cavaliere ha davvero una bella faccia tosta ed è forse per questo che piace tanto a molti italiani.

Chi in una riunione in Spagna di tutti i premier europei è stato pescato a fare le corna dietro la testa di un collega come uno scolaretto discolo nella foto di gruppo dell'ultimo giorno di scuola?

Solo che se una birichinata del genere la fa un ragazzino, a scuola, in un giorno che è ormai di vacanza e siamo vicini al 'rompete le righe', è una cosa, se lo fa in un consesso internazionale un presidente del Consiglio, che rappresenta il suo Paese, è un'altra.

L'altra sera l'onorevole Fini lamentava, naturalmente in Tv (che è la principale responsabile dello sfacelo culturale del nostro Paese) che il 90\% degli studenti non sa dove sia Matera. Ma chi, parlando dei mitici fondatori di Roma, li ha chiamati Romolo e Remolo?

Una cosa che nella pur sgangherata scuola italiana, usata dalla nostra classe politica come area di parcheggio per precari, costerebbe a un alunno di quinta elementare un giro dietro la lavagna con un cappello con la scritta 'asino'?

Che lezioni di buona educazione e di buon gusto possono venire da un signore che al premier norvegese Rasmussen, in visita ufficiale, fa una battuta trucida sulla propria moglie o che in quelle festicciole che la Tv organizza per autocelebrarsi fa il cicisbeo con vallette e vallettine fra le quali ci sono quelle piazzate in qualche fiction per il piacer suo o dei suoi amici?

Che credibilità può avere un signore che anche i suoi amici descrivono come bugiardo patologico ("un simpatico bugiardello", Tiziana Maiolo; "un adorabile bugiardo", Casini) e che, soprattutto, la Corte d'Appello di Venezia, nel maggio del 1990, quando

nessun 'accanimento giudiziario' era ipotizzabile, ha dichiarato 'testimone spergiuro' (cioè ha giurato il falso in Tribunale) e che è poi stato salvato da un'amnistia voluta dai comunisti per non essere processati per i finanziamenti avuti dall'Urss?

Che rispetto per le Istituzioni e per il proprio Paese ci può insegnare un presidente del Consiglio che in terra di Spagna, davanti a tutta la stampa internazionale' ha definito 'Mani Pulite', cioè inchieste e sentenze, anche definitive, della magistratura italiana "una guerra civile" e che ha delegittimato, di volta in volta, oltre la magistratura ordinaria, la Corte dei Conti, il Presidente della Repubblica?

Che senso della legalità, che 'tolleranza zero' può pretendere un signore che ha avuto decine di processi, che ne ha in corso uno per 'corruzione di testimone', che da quattro è uscito non per aver commesso il fatto ma perchè la prescrizione ha estinto il reato e che nei casi in cui non poteva proprio scapolarla ha abolito, per legge, il reato di cui era imputato come il falso in bilancio che negli Stati Uniti può costare 30 anni di reclusione?

Che coerenza dobbiamo attribuire a un signore che afferma che lui non attacca mai personalmente, dio guardi, gli avversari politici e poi definisce ripetutamente Antonio Di Pietro "un uomo che mi fa orrore"?

E gli fa orrore per lo stesso motivo per cui lo fa a buona parte della classe dirigente , di destra e di sinistra: perchè, insieme al pool dei magistrati di Milano, osò richiamare per la prima volta anche la classe dirigente a quel rispetto della legge cui tutti noialtri cittadini siamo tenuti senza se e senza ma.

Il lettore dirà che sono un comunista.
Io sono sempre stato anticomunista, quando i comunisti esistevano e molti di quelli che oggi se la dan da anticomunisti erano iscritti al Pci o militavano nella sinistra extraparlamentare e mi aspettavano sotto casa per darmi una lezioncina a colpi di spranga.

Sono semplicemente un cittadino italiano che, passati i 60, è stufo di essere preso in giro da questa gente.

Non sono gli studenti che devono alzarsi quando entra il professore, sono i nostri uomini politici che dovrebbero mettersi in ginocchio davanti al popolo italiano per averlo ridotto come l'han ridotto, in campo economico, previdenziale, sociale, morale e per avergli tolto ogni senso di onestà, di lealtà, di correttezza e persino quella buona educazione che oggi si invoca dai ragazzi.


Massimo Fini

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[center:afbe66cd56]Nei piani di Silvio un'offerta al Pd[/center:afbe66cd56]


Gli ultimi sondaggi lo preoccupano non poco.
Silvio Berlusconi continua a leggere nei numeri che gli vengono portati quotidianamente la vittoria alla Camera, ma vede anche che la "lotteria" del Senato potrebbe riservargli un biglietto non vincente.

Ecco perché negli ultimi giorni è ripartita la strategia del dialogo con il Pd, con il grande mediatore Gianni Letta che si è rimesso in moto.
Passo dopo passo il Cavaliere tesse la tela, prepara il terreno per lanciare subito dopo il voto l'offensiva per irretire Walter Veltroni e costringerlo a collaborare, a condividere la responsabilità di un governo che dovrà affrontare la recessione economica e aprire "la stagione delle riforme".

Una stagione che potrebbe anche creare le condizioni per portarlo al Quirinale.

Convinto che, a prescindere dal risultato, la prossima legislatura sarà una delle più difficili che il Paese abbia mai affrontato, Berlusconi ha ripreso con forza questi ragionamenti con il gruppo più ristretto dei suoi fedelissimi.

"Noi vinceremo e saremo noi a fare il governo - tranquillizza i suoi uomini - ma non possiamo pensare di cambiare il Paese avendo tutti contro".
Le incognite del Senato, poi, si confermano sempre più un brutto sogno per il leader forzista.
Una coalizione blindata a Palazzo Madama non è più una certezza per Berlusconi.

Ma gli interrogativi riguardano pure "il Paese fuori dalle Camere".
E lì, a suo giudizio, l'elenco dei potenziali "rematori contro" resta lungo: i sindacati, la pubblica amministrazione, i salotti della finanza, i cosiddetti "poteri forti", i vertici istituzionali.

Compreso il capo dello Stato che il Cavaliere non riesce a considerare completamente neutrale.
Tante rischiano di essere pure le spine, come l'Alitalia.
Nodi che Berlusconi non vorrebbe sciogliere da solo.

"Se vogliamo davvero cambiare il Paese - è il refrain ripetuto in ogni staff meeting - bisogna costruire un clima di dialogo".
Prima di tutto in Parlamento.
"Senza una maggioranza ampia, non si può fare niente".

E l'idea di fare i conti con la crisi economica, le liberalizzazioni e le riforme istituzionali in un'atmosfera conflittuale, non lascia affatto tranquillo Berlusconi.
"Non voglio ritrovarmi imbrigliato come lo è stato Romano Prodi in questi due anni".

Tutto il suo staff ancora ricorda le parole piene di comprensione pronunciate dopo aver incrociato il premier uscente ad una cerimonia militare: "In fondo lo capisco, non è stato e non è facile stare in quella posizione".

Non è un caso, allora, che in una recente cena a Milano si sia sfogato meravigliando i commensali: "Se potessi io cercherei in ogni caso, visto che la mia vittoria sarà piena, un grande accordo anche sull'esecutivo.
Ma non so se sarà possibile".

Negli ultimi giorni il Cavaliere non dà nemmeno per scontato che la legislatura duri effettivamente cinque anni: "Non ho lo sfera di cristallo", sospira davanti alle domande. Se poi il risultato del Pdl sarà meno brillante di quanto gli dicono i suoi sondaggisti e il pareggio si rivelasse realtà il 14 aprile, allora il percorso di un governo tecnico sostenuto insieme al Pd diventerebbe un'opzione inevitabile.

"È ovvio - ha ammesso in pubblico cinque giorni fa - che in caso di pareggio non ci può essere un governo di parte".

Così, il faccia a faccia di dicembre con il segretario democratico per Berlusconi è una sorta di architrave su cui costruire i prossimi cinque anni.
Lo considera un momento di "svolta" per i rapporti tra gli schieramenti.
Da allora non hai mai smesso di versare miele, in privato, sul suo "avversario".

Lo ha fatto persino l'altro ieri nel corso del ricevimento con gli ambasciatori dell'Unione europea organizzata a Villa Almone, sede della diplomazia tedesca.
Davanti alle feluche si è scagliato contro la sinistra radicale, ma nei confronti di Veltroni e di Prodi solo commenti ovattati.
Da tempo Berlusconi spiega ai suoi che "Walter è il meglio che una sinistra moderna possa offrire in Italia".

Frasi puntate, appunto, in primo luogo a "sdoganare" il rapporto con l'ex sindaco di Roma.
Del resto, con lo scioglimento delle Camere il leader forzista ha decisamente virato su una campagna fatta di colpi di fioretto piuttosto che di clava.
Non è più il '94 o il '96, e non è nemmeno il 2001 o il 2006.

Tant'è che negli ultimi giorni si è lamentato dei toni, a suo dire, troppo hard del segretario Pd: "Perché esagera così?
Perché insiste sulla mia età? Non ce n'è bisogno".

Il suo obiettivo resta comunque quello di non ritrovarsi il 14 aprile con un Parlamento in "stato di guerra".
"Altrimenti le riforme non le facciamo e il Paese non lo cambiamo".
Non per niente, la lista dei ministri che già si trova nella sua tasca sembra stilata proprio per non indispettire l'eventuale futura minoranza.

Basti pensare che Gianni Letta - se il Pdl vincerà - sarà il vicepremier unico, un moderato come Franco Frattini andrà agli Interni e agli Esteri un "quasi-tecnico" come Gianni Castallaneta, il suo ex consigliere diplomatico quando sedeva ancora a Palazzo Chigi, poi nominato ambasciatore a Washington, ma non sostituito da Massimo D'Alema.

Ogni passo, dunque, è studiato per pervenire ad "una convergenza almeno sui grandi temi".
Lo ha spiegato pure ai diplomatici europei mercoledì scorso: "Lascerò da grande statista dopo aver fatto le riforme".
E molti di quelli che lo ascoltavano hanno pensato che fosse il primo atto ufficiale per una candidatura al Quirinale.
Che, secondo i fedelissimi della prima ora, è ormai diventata una "ossessione".

Al punto che c'è chi gli rimprovera di compiere ogni mossa in quell'ottica: "Corteggia Veltroni per essere sdoganato".


Claudio Tito
 

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