Crolla il petrolio (-30%) sulla “guerra” russo-saudita: ecco cosa succede
Mercati sotto choc sul crollo del prezzo del petrolio stamattina. Le quotazioni sono precipitate del 30% alla riapertura delle contrattazioni, mai così male dalla prima guerra del Golfo. A scatenare il crash c'è lo scontro tra Russia e Arabia Saudita.
di
Giuseppe Timpone , pubblicato il
09 Marzo 2020 alle ore
09:24
Una riapertura a dir poco drammatica quella delle contrattazioni per il petrolio. Ieri sera, le quotazioni di Brent e WTI sono letteralmente precipitate, crollando di circa il 30% in un istante dopo il -9% accusato già a fine seduta di venerdì.
Stamattina, il primo è arrivato a scambiare a un minimo di 31,29 dollari, il secondo a 27,40 dollari. Nel momento in cui scriviamo, un barile di Brent perde il 25% e quota a 33,91 dollari, uno del WTI americano arretra del 27% a 30,12 dollari. Si è trattato del peggiore crollo istantaneo dal 1991, quando esplose la prima guerra del Golfo.
Il prezzo dell’oro sale, del petrolio scende e questo alla lunga non si tiene
Ad avere provocato lo schianto è stato il mancato accordo tra i membri dell’OPEC guidati dall’Arabia Saudita e la Russia sul taglio della produzione, richiesto dai primi per reagire al calo della domanda mondiale per via del Coronavirus. I russi non si sono mostrati stavolta disponibili a farsi carico di un nuovo taglio, avendolo attuato insieme al cartello sin dal mese di dicembre del 2016. I sauditi erano a rrivati a offrire una soluzione compromissoria più favorevole a Mosca, addossandosi gran parte dell’onere, ma la risposta dell’alleato è rimasta negativa.
Il mercato stava scontando una riduzione dell’offerta di almeno 1 milione di barili al giorno, che si sarebbe aggiunta a quel -1,7 milioni sinora attuato da cosiddetto OPEC+. Non solo non vi sarà nulla di tutto ciò, ma
Riad ha anche annunciato ieri sera il taglio dei prezzi di 6-8 dollari al barile per i suoi clienti di Asia, Europa e USA, al contempo avvertendo che si tiene pronta ad aumentare la produzione anche sopra i 10 milioni di barili al giorno.
A gennaio, il regno aveva estratto 9,75 milioni di barili al giorno. A porte chiuse, rivela
Bloomberg, i rappresentanti di Aramco, la compagnia petrolifera statale, hanno minacciato un aumento della produzione domestica “anche a 12 milioni di barili al giorno”.
Guerra russo-saudita
Tra Arabia Saudita e Russia è evidentemente “guerra”. La ragione di questo scontro risiede nella mutata strategia del Cremlino per contrastare il continuo aumento dell’offerta americana, ormai salita a 13 milioni di barili al giorno, grazie allo sfruttamento dello
“shale”. Da una battaglia sui prezzi, si passa adesso a quella per la tutela delle quote di mercato.
I russi temono, infatti, che auto-restringere la produzione per alzare i prezzi internazionali stia favorendo da anni le compagnie americane, le quali si sono dimostrate in grado di estrarre maturando utili sin mediamente dai 45 dollari al barile. E così, le esportazioni USA sono esplose di recente a 4 milioni di barili al giorno, soffiando clienti asiatici da sotto il naso di russi e sauditi.
La Russia ha fissato a 42 dollari al barile il prezzo medio del barile in sede di redazione del bilancio pubblico. Grazie al rublo flessibile, può contrastare i cali delle quotazioni con un cambio più debole, mantenendo gli stessi ricavi in valuta locale dalle esportazioni. Così non è per Riad, dove il cambio è fisso e ogni dollaro in meno incassato dalle esportazioni si traduce parimenti in minori entrate fiscali. E come da attese,
il rublo sui mercati oggi sta collassando, perdendo il 9% contro l’euro e attestandosi a un cambio di 84,30.
In crollo anche le azioni di Aramco, che perdono oggi il 10% a 27 rial, nettamente più basse dei 32 rial dell’IPO di appena tre mesi fa.
La situazione è così grave, che Ali Khedery, attuale ceo di Dragoman Ventures, ha dichiarato che il petrolio starebbe dirigendosi a “20 dollari”. Forse, nemmeno lui immaginava che poche ore dopo le quotazioni del WTI sarebbero effettivamente scese sotto i 30 dollari. Ricordiamo che, oltre alla crescita debole della domanda già attesa sin dallo scorso anno, il duro colpo è stato assestato dal Coronavirus, il quale ha provocato lo stop alla produzione in ampie aree della Cina, riducendo nettamente i consumi energetici, tanto che le minori importazioni cinesi di greggio sono state stimate fino a 3 milioni di barili al giorno, qualcosa come circa il 3% della domanda globale.
Petrolio giù sul Coronavirus