Fleursdumal
फूल की बुराई
prima che inizi il consiglio di Dotto per l'interista 
www.ilromanista.it
SE FOSSI MORATTI
CACCEREI MANCINI
(EDITORIALE | 22/08/2007) - GIANCARLO DOTTO
Ho licenziato in tronco Roberto Mancini. Non ho alcun titolo per farlo, non sono Massimo e nemmeno Minimo Moratti, ma lo licenzio lo stesso. E se Moratti fosse nei miei panni o anche nei suoi lo licenzierebbe pure lui. Senza rancore. Anzi brindando, nelle cantine di Appiano Gentile dove il Veuve-Cliquot, mi risulta, abbonda. Non sono nemmeno interista, almeno che io sappia, ma da interista immaginario uno così non lo vorrei più nemmeno un minuto di più nella mia panca, non mi farei prendere per il culo da quel paraculo, da quelle camicie sempre linde e stirate come il parquet dei maniaci, da quei nodi sempre perfetti, da quelle sciarpe modaiole, da quella faccia sempre odiosamente composta e saputa come solo nei musei di Madame Tussaud, dove però ci sono cere più espressive, specialmente quella di Ronald Reagan. No, andrei al sodo. Quando mi hanno riferito della frase di Mancini, post Supercoppa già decollata per Fiumicino con tutto quel meraviglioso sbraco festante a bordo, ho creduto a una barzelletta mica male. La battuta inventata da uno stronzo di romanista. «Ho poche alternative sulla fascia destra». Vado a leggermi una dozzina di giornali, il Romanista in testa, e trovo agghiaccianti conferme. Non mi basta. Non ci credo. Chiamo un paio di amici milanesi. «Ma davvero dalla forbita bocca del Mancio sono uscite quel mazzo di vocali e consonanti che messe insieme hanno dato quello sproposito?». Mi giurano che sì, che il Mancio l'ha davvero formulata la enormità e allora mi rassegno. Non c'è limite a quello che una bocca umana può tirare fuori da quella cavità. E penso a quel gesuita, Baltasar Gracian, che disse (era a proposito delle donne, quando le donne erano il demonio cioè donne): «Anche un asino parlò perché volle Dio».
Lo licenzio in tronco l'asino, Mancini, ma sento che non mi basta. L'enormità di quella frase mi batte le tempie come una mazza da baseball. E penso alle tempie di Massimo Moratti. Ma come, mi sono svenato, ti ho messo a disposizione tre squadre, una trentina di fuoriclasse con cui gingillarti da presunto allenatore, e tu, mai sazio, te ne esci con la storia delle «poche alternative» (che è pure uno sfondone grammaticale, perché l'alternativa è sempre solo una)? Ed ecco il colpo di genio. Io Moratti caccio Mancini, chiamo il mio autista personale e gli dico fai tu l'allenatore dell'Inter a duemila euro al mese, più tredicesima, i nomi della squadra li peschi a caso nel mazzo come a tombola. Per il calcolo delle probabilità secondo la formula di Bayes, c'è una possibilità su diecimila che ne esca persino un gioco dis quadra.
Alternativa (una sola), se fossi Massimo Moratti. Chiamerei Lucio Spalletti e gli direi: «Quanto vuoi? Dieci milioni l'anno? Te ne do dodici, l'Inter è tua». Risposta (una sola), se fossi Lucio Spalletti. «Dodici milioni non mi bastano, devi anche rendermi centomila cuori disposti a sanguinare ogni volta che si vince o si perde». Da girare per conoscenza a Christian Chivu.
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SE FOSSI MORATTI
CACCEREI MANCINI
(EDITORIALE | 22/08/2007) - GIANCARLO DOTTO
Ho licenziato in tronco Roberto Mancini. Non ho alcun titolo per farlo, non sono Massimo e nemmeno Minimo Moratti, ma lo licenzio lo stesso. E se Moratti fosse nei miei panni o anche nei suoi lo licenzierebbe pure lui. Senza rancore. Anzi brindando, nelle cantine di Appiano Gentile dove il Veuve-Cliquot, mi risulta, abbonda. Non sono nemmeno interista, almeno che io sappia, ma da interista immaginario uno così non lo vorrei più nemmeno un minuto di più nella mia panca, non mi farei prendere per il culo da quel paraculo, da quelle camicie sempre linde e stirate come il parquet dei maniaci, da quei nodi sempre perfetti, da quelle sciarpe modaiole, da quella faccia sempre odiosamente composta e saputa come solo nei musei di Madame Tussaud, dove però ci sono cere più espressive, specialmente quella di Ronald Reagan. No, andrei al sodo. Quando mi hanno riferito della frase di Mancini, post Supercoppa già decollata per Fiumicino con tutto quel meraviglioso sbraco festante a bordo, ho creduto a una barzelletta mica male. La battuta inventata da uno stronzo di romanista. «Ho poche alternative sulla fascia destra». Vado a leggermi una dozzina di giornali, il Romanista in testa, e trovo agghiaccianti conferme. Non mi basta. Non ci credo. Chiamo un paio di amici milanesi. «Ma davvero dalla forbita bocca del Mancio sono uscite quel mazzo di vocali e consonanti che messe insieme hanno dato quello sproposito?». Mi giurano che sì, che il Mancio l'ha davvero formulata la enormità e allora mi rassegno. Non c'è limite a quello che una bocca umana può tirare fuori da quella cavità. E penso a quel gesuita, Baltasar Gracian, che disse (era a proposito delle donne, quando le donne erano il demonio cioè donne): «Anche un asino parlò perché volle Dio».
Lo licenzio in tronco l'asino, Mancini, ma sento che non mi basta. L'enormità di quella frase mi batte le tempie come una mazza da baseball. E penso alle tempie di Massimo Moratti. Ma come, mi sono svenato, ti ho messo a disposizione tre squadre, una trentina di fuoriclasse con cui gingillarti da presunto allenatore, e tu, mai sazio, te ne esci con la storia delle «poche alternative» (che è pure uno sfondone grammaticale, perché l'alternativa è sempre solo una)? Ed ecco il colpo di genio. Io Moratti caccio Mancini, chiamo il mio autista personale e gli dico fai tu l'allenatore dell'Inter a duemila euro al mese, più tredicesima, i nomi della squadra li peschi a caso nel mazzo come a tombola. Per il calcolo delle probabilità secondo la formula di Bayes, c'è una possibilità su diecimila che ne esca persino un gioco dis quadra.
Alternativa (una sola), se fossi Massimo Moratti. Chiamerei Lucio Spalletti e gli direi: «Quanto vuoi? Dieci milioni l'anno? Te ne do dodici, l'Inter è tua». Risposta (una sola), se fossi Lucio Spalletti. «Dodici milioni non mi bastano, devi anche rendermi centomila cuori disposti a sanguinare ogni volta che si vince o si perde». Da girare per conoscenza a Christian Chivu.
E' da capire, farnetica 
