Servizio pubblico di Santoro

segnalo


SANTORO STA PREPARANDO UNA TRASMISSIONE SULLA SVIZZERA.
Credo che l'idea sia quella di far passare la gente onesta che ha risparmiato una vita e pagato le tasse e che oggi sposta i suoi risparmi, giustamente preoccupata, in Svizzera COME DEGLI ANTI ITALIANI, DEI TRADITORI, DEGLI EVASORI.
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Infatti, Una giornalista di Santoro, FRANCESCA FAGNANI, mi ha oggi gentilmente contattato per chiedere se ero disponibile a rilasciare un'intervista sulla Svizzera e le persone che spostano legalmente i soldi fuori dall'Italia.
Visto come Santoro ha trattato l'amico Benetazzo tre anni fa quando non lo lascio' neppure parlare le ho risposto con altrettanta gentilezza, che l'avrei fatto solo se avessi avuto possibilità di replicare e di essere ospite al programma.

OVVIAMENTE HA DETTO DI NO! SEGNO DI UNA DITTATURA ANTIDEMOCRATICA TELEVISIVA. SANTORO E' FAMOSO PER NON FAR PARLARE I SUOI OSPITI..MA CON ME E' CADUTO MALE.
 


C'è chi dice NO!


IL GRANDE BLUFF: C'è chi dice NO!

Stamattina Paolo Barrai ha detto NO!
Ha detto NO all'invito di Santoro
a partecipare nella sua trasmissione TV come semplice comparsa, messa in un angolino...con scarso diritto di replica ma con alto rischio di manipolabilità&massacro mediatico da parte di questi esperti volponi di un Mass-Media morente.
MERCATO LIBERO DICE NO A SANTORO! LA TELEVISIONE SENZA DIRITTO DI REPLICA E' DESTINATA A MORIRE! SANTORO STA PREPARANDO UNA TRASMISSIONE SULLA SVIZZERA.
Credo che l'idea sia quella di far passare la gente onesta che ha risparmiato una vita e pagato le tasse e che oggi sposta i suoi risparmi, giustamente preoccupata, in Svizzera COME DEGLI ANTI ITALIANI, DEI TRADITORI, DEGLI EVASORI.
Infatti, una giornalista di Santoro.....mi ha oggi gentilmente contattato per chiedere se ero disponibile a rilasciare un'intervista sulla Svizzera e le persone che spostano legalmente i soldi fuori dall'Italia.
Visto come Santoro ha trattato l'amico Benetazzo tre anni fa quando non lo lascio' neppure parlare le ho risposto con altrettanta gentilezza, che l'avrei fatto solo se avessi avuto possibilità di replicare e di essere ospite al programma.
OVVIAMENTE HA DETTO DI NO!
SEGNO DI UNA DITTATURA ANTIDEMOCRATICA TELEVISIVA. SANTORO E' FAMOSO PER NON FAR PARLARE I SUOI OSPITI..MA CON ME E' CADUTO MALE.

Ma anche IL GRANDE BLUFF ha detto di NO varie volte agli inviti dei Mass-media di fare da comparsa per esercitare tiro-al-blogger o per creare il fondale da cuginetto sfigato&minore dell'informazione: ..... infatti il Magnanimo Giornalista-maximo-televisivo si pregia di averti fatto il favore impagabile di FARTI APPARIRE 1 minuto nel Tubo Catodico-maximo (ormai in via d'estinzione...).

L'ultima volta ho detto NO a "Passa Parola" della RAI che mi voleva mettere in un angolino, in una specie di blogger-sottobosco della sub-informazione...
mentre sotto ai riflettori continuano a mettere il vero sottobosco
formato da politici della casta falsi&ignoranti, economisti istituzionali sorpassati od a libro paga, urlatori di professione, direttori di giornale venduti e senza un minimo di orgoglio professionale, ministri lontanissimi dal paese che ripetono le stesse false cose da 20 anni, magari adesso in minigonna e facendo vedere le gambe...
e tutto questo circo qua viene invitato non PER FARE VERA INFORMAZIONE ma solo per fare Audience di basso livello....un tanto al chilo....
Ebbene IO HO CHIESTO DI ESSERE MESSO AL CENTRO SOTTO AI RIFLETTORI
come rappresentate della NUOVA FRONTIERA DELLA VERA INFORMAZIONE
e non come pittoresca pennellata della sub-informazione: naturalmente non mi hanno più richiamato....;-)

Perchè noi Blogger (quelli buoni naturalmente e non quelli di serie B) ormai abbiamo molto più "valore aggiunto" di quel circo di nani, pagliacci e ballerine: sono quest'ultimi ormai ad essere SUB-INFORMAZIONE, è la TV che ormai in buona parte è SUB-INFORMAZIONE.
Perchè noi Blogger facciamo paura, essendo dotati della FORZA DEL NON DOVERE NIENTE A NESSUNO, LA FORZA DELL'INDIPENDENZA ed un pizzico di arditezza di chi ha poco da perdere...
Dunque per esempio non seguiamo i dettami suggeriti dalla Presidenza della Repubblica che avrebbero consigliato di non parlate in TV e Giornali del possibile CRACK dell'EURO e del possibile ritorno alla Lira....ma diciamo quello che crediamo VERO, senza peli sulla lingua
magari errando come è umano errare
MA ALMENO CON LA SCHIENA DRITTA E NON A 90°.
Io li ho visto quei poveri Blogger messi in un angolino, trattati come folklore, manipolati con domandine e lasciati parlare un minutino,
spesso con il trucco di invitare Blogger di serie B e C, meglio se un po' esaltati e squilibrati, naturalmente complottisti al punto giusto e con scarsa preparazione di base...perchè anche nella blogosfera c'è tanta spazzatura e ci sono tanti allucinati
e bisogna saper selezionare...

Bene...sappiate che trai Top Blogger Italiani C'E' CHI DICE NO!
perchè a me di finire in TV a fare la comparsata non me ne frega nulla
non sbavo e non mi prostituisco per un po' di notorietà di passaggio sul tubo catodico (ormai LCD...anzi LED...) come il 99% delle persone che sono disposte anche a strisciare e ad umiliarsi per finire 2 minuti in TV.
Io seguo la mia MISSIONE INFORMATIVA CON COERENZA e CON COMPETENZA, ANIMATO DAI MIEI ALTI IDEALI e dalla mia vasta cultura
e collaboro con i Mass-Media solo in modo COMPATIBILE con le mie scelte e con la mia DIGNITA' di Top-Blogger Italiano.

Il giorno che uno di questi Santori in via d'estinzione CAPIRA' (come ormai hanno capito negli USA)
che la L'INFORMAZIONE VERY HOT passa dalla Blogosfera di qualità (per es. siamo noi che vi abbiamo anticipato per filo e per segno la Grande Crisi e che vi abbiamo anticipato le vere ancore di salvezza...)
e creerà un Programma specifico dedicato alle Nuove Fonti d'Informazione
beh...avrà FATTO IL COLPACCIO ed avrà fatto fare un bel passo avanti alla TV ed ai Mass-media tradizionali in decadenza.
Ma sappiamo tutti che un Santoro Rivoluzionario non può trovare la sua strada in TV&affini e ne sappiamo anche il perchè....

Pertanto...se alle condizioni giuste potremo collaborare con i mass-media tradizionali ben venga!
Altrimenti...AVANTI PER LA NOSTRA STRADA e PER I NOSTRI CANALI!

Ed a breve alcuni Top Blogger Economico-finanziari Italiani s'incontreranno
per organizzare un PROGETTO IMPORTANTE e RIVOLUZIONARIO PER IL 2012...
Aspettate e vedrete....
 
[ame=http://www.youtube.com/watch?v=wH25ockKGiQ&feature=player_embedded]Che tempo che fa 07/01/12 - Michele Santoro - YouTube[/ame]
 
Il rappresentante Movisol per la Toscana Claudio Giudici sarà tra gli ospiti del programma televisivo SERVIZIO PUBBLICO di Michele Santoro che sarà trasmesso dalle ore 21 di giovedì 12 gennaio, in qualità di Presidente di Uritaxi Toscana. L'opposizione guidata da Giudici alle liberalizzazioni del Governo Monti, che mirano a sacrificare il reddito dei cittadini per mantenere in piedi un sistema finanziario fallito, è diventata un caso internazionale negli ultimi giorni, dopo la pubblicazione di una sua lettera sul Financial Times.
Potete trovare il canale di trasmissione sul sito serviziopubblico.it oppure nella cartina qui sotto.


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Competitività – Delocalizzazione – Declino – Fallimento

Scritto il 26 gennaio 2012 alle 14:25 da gaolin@finanza
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GUEST POST: Di questi tempi c’è un gran parlare e discutere dei problemi della finanza, della crisi finanziaria dell’Eurozona, di manovra finanziaria “lacrime e sangue” per tutti.

Economisti di ogni livello, commentatori dei mass media, che man mano diventano più consapevoli di quale disastro stiamo vivendo, ci somministrano il loro sapere e ci raccontano degli accadimenti ormai quotidiani della finanza globalizzata, normalmente con il senno di poi. Ogni luogo di aggregazione, bar, osteria, piazza, fermata di bus, riunioni di famiglia è buona per intavolare discorsi sui fatti che si susseguono a ritmo sempre più incalzante. Se ci pensiamo bene, mai è accaduta una simile situazione, in cui tutti percepiscono di essere coinvolti in un processo di grandi cambiamenti, che si può considerare certamente epocale.
Ma mentre di finanza si discute e scrive molto, poco e mal volentieri si parla di economia reale e soprattutto di un processo, la delocalizzazione con i relativi effetti che in questo decorso ventennio l’ha caratterizzata . Quel poco che si dice, di solito è quanto viene raccontato da commentatori che si fanno una loro idea del fenomeno, e che non sempre corrisponde pienamente alla realtà.
Per meglio dire, i più colgono l’aspetto più evidente del fenomeno, fatto di aziende che chiudono, lavoro che sparisce come per incanto perché va altrove. Cercherò in questo post di coniugare il titolo, in modo da evidenziare la stretta connessione che c’è nei termini che lo compongono. Il proposito è di esprimermi con semplicità, spero di riuscirci.
Competitività

La competizione economica è un concetto ben chiaro nella mente degli operatori che lavorano in un regime di libera concorrenza. Ogni imprenditore, ogni giorno deve darsi da fare per trovare modi e soluzioni idonee a mantenere la propria azienda competitiva nel mercato in cui opera e per farla crescere. Nel momento in cui, per qualche ragione, questo processo virtuoso si interrompe, inizia la decadenza che, sempre più spesso ormai, porta all’insolvenza e alla conseguente chiusura dell’impresa.
Mantenere un’azienda competitiva dipende non solo dalle capacità dell’imprenditore ma, sempre più e sempre più spesso, da condizioni oggettive esterne, non dominabili o gestibili dall’imprenditore.
La globalizzazione dell’economia, che stiamo vivendo, è certamente il fenomeno che ha alterato le vecchie regole in modo molto profondo. Molti ne stanno traendo grandi vantaggi, molti altri invece subiscono la situazione e gli effetti negativi senza sapere cosa fare o compiendo errori che poi si dimostrano fatali. In generale, a fronte di alcuni paesi che stanno ancora vivendo un’ incredibilmente rapida ascesa economica, grazie alla loro competitività, ve ne sono altri che stanno subendo il proprio declino perché, si dice, hanno perso la loro competitività.

Delocalizzazione

La delocalizzazione produttiva è diventato, non da molto, anch’esso un concetto abbastanza chiaro e ben acquisito nell’occidente sviluppato, area in cui l’economia reale si sta riducendo complessivamente sempre di più. Ormai quasi ogni nostro cittadino si rende conto di quali disastri abbia già provocato e stia provocando ogni giorno di più, tanto che se ne parla ovunque e ognuno dice la sua.
Però, per quanto riguarda:
- le cause che la determinano,
- gli autori che la provocano o la realizzano o la gestiscono,
- le modalità attuative di questo/i processi,
- i colpevoli e i benemeriti di questi processi, a seconda da quale parte si sta,
- i beneficiari presunti e quelli veri,
- le conseguenze che comportano per le economie dei vari paesi,
sono aspetti del fenomeno su cui c’è molto da puntualizzare.
Da sempre il progresso umano è stato determinato dal mutuo trasferimento di conoscenze pratiche e scientifiche all’interno di comunità e/o fra popoli diversi. Più questi processi vengono facilitati più migliorano le condizioni economiche dei paesi interessati. Questo fenomeno, che è sempre andato avanti nell’interesse generale più o meno di tutti, è diventato sempre più veloce, in diretta relazione con la rapidità dei passaggi delle informazioni e con la mobilità delle persone.
Nei nostri tempi, dove le informazioni possono passare da una parte altra del globo in tempo reale e dove gli spostamenti di persone, da un continente all’altro, si compiono in giornata è molto più facile di un tempo andare a produrre dove le condizioni di competitività complessiva delle varie aree del nostro globo sono migliori.
Detto ciò, è opinione comune che le aziende, che producono beni più o meno durevoli, non aspettino altro che di trovare un posto migliore presso cui spostarsi, ovvero di delocalizzare, per guadagnare di più.
Questo non è normalmente vero.

A nessuno imprenditore fa piacere sobbarcarsi i costi, le fatiche e i rischi che il delocalizzare comporta. Normalmente un’impresa è un insieme di persone più o meno ampio, che si è organizzato in un certo luogo per realizzare un processo produttivo dove molto importanti sono le esperienze tecniche, acquisite in anni e anni di dedizione al lavoro di imprenditori e maestranze, che sono il vero patrimonio di ogni azienda.
Nessun imprenditore medio piccolo, che di solito considera la propria azienda una sua creatura, butta a mare tutto ciò se non spinto, o meglio costretto, da condizioni esterne che nel tempo rendono la sua azienda non competitiva nel mercato globalizzato. Di solito quindi la delocalizzazione avviene forzatamente, come male minore, pena la propria estinzione e con essa di tutta la cultura tecnologica acquisita in tanti decenni di duro lavoro di tante persone.
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Diverso il caso delle multinazionali della produzione, grandi e piccole. In queste non c’è la figura dell’imprenditore perno della gestione della società, che invece avviene attraverso organismi societari e manager, che hanno l’unico obiettivo di fare profitto, preferibilmente nel breve termine per raggiungere target collegati a bonus a proprio favore. Le visioni, gli obiettivi di lungo termine sono spesso trascurati, rispetto quelli a breve. Inoltre questi manager non sono legati al territorio, alla storia dell’azienda e quindi non hanno remore mentali e affettive che li possano frenare o deviare dall’obiettivo del profitto.


Ancora diverso e ben più decisivo è il caso delle multinazionali della distribuzione che si sono accaparrate la gran parte delle quote del mercato retail in tante parti del mondo. Queste realizzano il massimo profitto sì con una buona organizzazione della distribuzione e dell’approvvigionamento dei prodotti ma, soprattutto, minimizzando i costi di acquisto e massimizzando quelli di vendita. Ovvero comprare dove costa poco produrre e vendere nelle aree con elevata disponibilità di denaro e propensione al consumo. Per fare ciò hanno ormai miriadi di agenti a loro collegati, che girano tutte le aree del globo, per cercare il luogo dove c’è chi potrebbe produrre o andare a produrre qualcosa a un costo più basso di quanto fino ma quel momento conseguito.
Se si può indicare qualcuno come massimo colpevole o fautore delle delocalizzazioni, si può certamente affermare che proprio queste multinazionali sono in netta pole position. In pratica sono i consapevoli alleati dei paesi low-cost, allocati nelle aree dei paesi consumatori.

La finanza poi, nel processo di delocalizzazione, gioca il suo ruolo classico a supporto dello stesso che, nello stesso tempo, è sia fondamentale che parassitario.


Ma perché conviene o si deve delocalizzare?

Credo che la risposta ce l’abbiano un po’ tutti. Si delocalizza perché ci sono aree del mondo dove il costo combinato della mano d’opera, più quello del sistema paese in cui si delocalizza, è nettamente inferiore a quello in cui ha sede l’azienda delocalizzante. Talmente inferiore da indurre ugualmente un’impresa a intraprendere questa difficile iniziativa, nonostante i costi e i rischi spesso prima non ben valutati.
Per nettamente si intende che il costo del lavoro è, a parità di valuta di riferimento, da 3 a 10 volte più basso fra un paese e un altro.

Tanto più elevata è questa differenza, tanto più lontano si può andare a delocalizzare e tanto più altri fattori diventano meno determinanti. Ciò non vuol dire che un paese è 3 o 10 volte più povero, ovvero che la gente che ci abita gode di consumi che sono 3 o 10 volte più bassi.


Infatti non è per nulla così.
Ad esempio:

-in Cina il salario netto di un lavoratore del settore industria è sì di circa 200-250 EUR al mese nelle zone sviluppate ma i prezzi dei beni e servizi comprati dalle famiglie sono nel loro complesso 1/5 di quelli in Italia
- In Polonia il salario netto di un operaio è di circa 400-500 EUR/mese ma il costo della vita è meno della metà, sempre rispetto all’Italia. Lo stesso si può dire di molti paesi dell’est europeo non avanzato o del resto del mondo.


Insomma le parità monetarie, ovvero i cambi fra le valute, nascondono o distorcono la percezione di questa realtà, fino ad arrivare all’assurdo del pensionato italiano che, percependo il minimo, vive nella miseria in Italia ma diventerebbe un benestante con gli stessi soldi se andasse ad abitare in Cina.

Comunque, tornando alla delocalizzazione, qui bisogna considerare l’effetto dirompente e concomitante di 3 fenomeni che hanno facilitato enormemente questo processo:
1. la grande modernizzazione dei trasporti, avvenuta negli ultimi 50-60 anni;
2. la straordinaria evoluzione e diffusione delle tecnologie delle telecomunicazioni e la conseguente rapidissima circolazione delle informazioni, in grado ormai di raggiungere in tempo reale ogni angolo del nostro mondo.
3. la liberalizzazione dei commerci internazionali secondo le regole del WTO, avvenuta senza in pratica stabilire per i paesi aderenti analoghe regole e comportamenti da rispettare in materia di libera circolazione dei capitali
I primi 2 possono essere considerati un vantaggio per tutti o meglio per coloro che sono stati più bravi di altri a sfruttarli al meglio ma il terzo, che è il più importante, è andato a vantaggio solo dei paesi la cui classe politica ha capito bene l’enorme vantaggio che una nazione gode, per quanto riguarda lo sviluppo della propria economa reale, quando è nelle possibilità di gestire il valore del cambio della propria moneta.
Se la politica non è pìù di tanto condizionata nelle sue scelte dagli interessi delle oligarchie finanziarie , nazionali e internazionali ma invece riesce a far prevalere quelle dello sviluppo dell’economia reale ecco che, grazie alla elevata competitività del sistema paese, dovuto a un cambio debole, si sviluppano imprese nuove che si dedicano all’export, quelle esistenti si ingrandiscono fino diventare colossi globali, si crea un indotto locale che ne aumenta ancora la competitività, la nazione si arricchisce e si sviluppa a tassi più o meno elevati o incredibili a seconda di quanto debole è il cambio.




Il beneficio, dapprima riservato a pochi, nel tempo si estende ai molti che sono disposti a mettere il proprio impegno a promuovere lo sviluppo del proprio paese. In seguito il benessere economico raggiunge più o meno quasi tutta la popolazione. Processi che sono stati vissuti da molte nazioni e che hanno loro consentito di raggiungere un livello di benessere medio molto elevato. Non serva fare nomi ben noti ma l’Italia è stata uno dei paesi che ha saputo ben sfruttare la propria competitività fino 15 anni fa.
Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a veri incredibili exploit fra i quali spicca quello della Cina che ha ben pensato di seguire la stessa strada percorsa dal suo vicino, nonché acerrimo nemico, Giappone. La Cina però ha fatto di meglio, mettendo in atto una politica di agevolazioni varie per gli investimenti stranieri, accompagnata dalla promessa che queste sarebbero state durature, perché la competitività del sistema paese sarebbe stata mantenuta ad ogni costo. Anche a costo di regalare ai ricchi occidentali una buona parte dei proventi dell’eccesso di export.
Come lo ha fatto?

Semplicemente con la politica della stabilità del cambio, concretizzatasi nell’aggancio del suo CNY al valore del dollaro a un cambio sostanzialmente fisso e molto basso/debole, del tutto scollegato al potere d’acquisto delle monete nei 2 paesi. La funzione dello USD quale valuta internazionale per gli scambi commerciali ha in pratica tenuto il valore del Renmimbi cinese sottovalutato rispetto a tutte le altre valute, rendendo d’altra parte ipercompetitivo il sistema manifatturiero cinese nel mercato globale.
Tutto ciò, unito alla laboriosità e capacità indubbie dei cinesi a tutti i livelli, a cominciare dai governanti, hanno determinato l’incredibile sviluppo economico di questo paese degli ultimi 20 anni.
Tutto bene?

Per la Cina per ora sì ma non per tutti.
L’occidente, che si è visto scippare il suo know how senza che nessuno facesse alcunché, sta vedendo progressivamente sparire il proprio sistema manifatturiero nella quasi totale indifferenza politica e nella colpevole rassegnazione, sta assistendo al suo declino e impoverimento sempre più rapido e inesorabile come un fatto ineluttabile.
L’occidente stenta ancora a capire cosa gli sta succedendo e perché. Per il momento assistiamo all’avvio di dure dispute e conflitti economici fra gli stati occidentali, per scaricare sugli altri gli effetti di questa crisi che ingloberà prima o poi tutti, chi più chi meno.
Impoverimento

Queste situazioni, che appaiono assurde e incomprensibili ai più, sono i motivi che spingono per profitto o per la sopravvivenza di un’azienda a delocalizzare. Ma non solo perché ormai, più che di imprese che si spostano altrove, una volta che il know how è stato acquisito da un paese, è il lavoro stesso, la produzione nel suo complesso che si trasferisce da un paese all’altro, con l’apertura di nuove manifatture locali che si creano sulla spinta delle richieste dei mercati ricchi. Gli occidentali in questo sono stati bravissimi, hanno aperto le loro frontiere a ogni sorta di beni e cianfrusaglie prodotte dai paesi a basso costo del lavoro, Cina in primis, non preoccupandosi che questo avrebbe portato allo smantellamento dei propri sistemi manifatturieri e al conseguente impoverimento dei vari paesi.
Gli USA sono proprio mal messi. L’industria manifatturiera in questo paese è già sparita da tempo e con il tempo sparirà anche la capacità di creare nuovi prodotti che resterà appannaggio invece dei paesi che hanno mantenuto e sviluppato la propria economia reale. Altrettanto sta facendo l’Europa finora praticamente noncurante delle sorti delle proprie industrie. Già, oggi bisogna salvare il sistema finanziario e tutti coloro che ci vivono sopra, magari contribuendo a rendere irreversibile il declino del sistema produttivo occidentale che ogni giorno che passa in certi paesi, fra cui l’Italia, vede chiudere aziende ma non perché il mercato non c’è più ma perché altri competitor, operanti in paesi con costi più bassi, ne sottraggono quote a proprio favore. Questo atteggiamento potrebbe essere definito criminale perché fa danni enormi ed è molto più criminale dell’evasione fiscale e contributiva, la cui lotta contro è un sacrosanto dovere dello stato .


Fallimento

Insomma la delocalizzazione produttiva e la sparizione del lavoro vero portano una nazione a dipendere sempre di più dagli approvvigionamenti dall’estero. Il che vuol dire che la propria bilancia commerciale peggiora sempre di più e che per poter continuare a consumare deve indebitarsi sempre di più.
Fino a quando?
Fino a che ci si accorge che avere credito è sempre più difficile, sempre più costoso, sempre più condizionato a offrire garanzie diverse dalla credibilità ormai perduta. Insomma fino alla fine del sogno di abitare nel paese di bengodi.
E allora che si fa?
Via alle manovre lacrime e sangue e a provvedimenti vari, rivolti al salvataggio del sistema finanziario che determinano un ulteriore impoverimento del sistema paese, fino all’impossibilità di evitarne il fallimento. Per fare un po’ di confusione, che serve a mascherare i problemi veri, si propongono le liberalizzazioni, che di per sé sono anche un fatto positivo ma che alla fine sono solo un modo diverso di spartire una torta, che mantiene sempre la stessa dimensione.
Sembra proprio che in Italia ma non solo dovremo arrivare a tanto, prima di assumere consapevolezza del disastro che è stato combinato in questi ultimi 10-15 anni di asservimento alle nuove teorie sullo sviluppo economico globale, alle moderne teorie monetarie, ai voleri e interessi delle oligarchie finanziarie e dei loro servi colpevoli opportunisti.
Conclusione

Credo che proprio la mancanza di consapevolezza e comprensione del disastro in corso sia l’handicap più forte che ci farà precipitare nel baratro. Peccato, perché di persone che in Italia credono ancora che “E’ la produzione, non il consumo, che stimola l’economia” ce ne sono. Sono queste che possono salvare il nostro paese, non certo quelle che affermano con sicumera che : (Riporto una parte di un’intervista su un periodico di un illustre esperto economista)
Se l’Italia non fosse entrata nell’euro la situazione sarebbe certo peggiore dell’attuale, perché la lira avrebbe subito pesanti svalutazioni, l’inflazione non sarebbe stata piegata verso il basso, il debito pubblico e il deficit sarebbero molto peggiorati per l’assenza di vincoli esterni credibili. Inoltre (questa è proprio grossa), la nostra manifattura non si sarebbe ammodernata come ha fatto reagendo molto bene alla mancanza di svalutazioni competitive e accumulando dei surplus notevoli purtroppo controbilanciati dal deficit energetico e da quello in alcuni settori come la chimica di base, l’informatica e i mezzi di trasporto. In fondo, anche nella crisi, l’Italia ha mostrato molti punti di resistenza sia bancaria che manifatturiera.
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Queste voci che trovano tanto spazio rappresentano il pensiero dominante, mentre quelle che saprebbero dire le cose come stanno non trovano udienza nei media che contano. Anzi proprio si evita che parlino, guai a dire che l’Euro con le sue implicazioni e regole ci sta portando al collasso. Se qualcuno si azzarda viene subito zittito ed estromesso da ogni futuro dibattito e quindi?
Si salvi chi può e auguri che un cigno bianco ci aiuti.
Gaolin
 
Ultima modifica:
Come sapete
Santoro ha presentato il suo curriculum per diventare dirigente RAI


la casa mi sembrava assai stravagante ....

oggi ho trovato un articolo interessante che vi segnalo che fa capire che Santoro non fa stranezze e spera nell'appoggio dell'ONU


La Rai commissariata dall'Onu: che vergogna! Arriva Frank La Rue, il terrore dei dittatori sudamericani

di Sergio Di Cori Modigliani
http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it...allonu-che.html

Ci volevano i caschi blu dell’Onu per darsi una svegliata. Anzi, per darla a Mario Monti.
Ci volevano i deputati democratici e libertari del parlamento britannico per dare una svegliata all’Europa e consentire all’Onu di bussare a Palazzo Chigi.
Ci voleva una mazzata legale in Gran Bretagna per far aprire gli occhi su Berlusconi.
E’ una mazzata legale –perché è tutta una zuffa sulla legalità da ripristinare- che ruota intorno “alla costituzione dello Stato di Diritto e alla salvaguardia dei sovrani diritti dei cittadini che pagano le tasse rispettando il dovere e pertanto possono pretendere ed esigere che vengano rispettati i loro diritti: è la base della nostra democrazia” (deputato Tom Watson al parlamento inglese) ci voleva proprio una bella mazzata nel nome della Legge che finisce per colpire Rupert Murdoch, il supremo dittatore mediatico liberista, primo e fondamentale responsabile dello scatafascio planetario voluto dalla finanza sovra-nazionale planetaria, da lui interpretato, rappresentato, veicolato, manipolato e offerto su un piatto d’argento a noi gonzi occidentali telesionati. Perché lui ha aperto la strada verso la cinesizzazione dell’Europa. Non a caso è coniugato con la più potente donna cinese al mondo, la signora Weng, fervente comunista, fervente plurimiliardaria, fervente oligarca.
Ci voleva questa mazzata legale per far capire che forse, dopo Murdoch, tocca a Berlusconi.
E infatti, l’Europa si sveglia in questo 2 di maggio, e mentre tutti i titoli delle borse europee cominciano ad andare in positivo perché il tiepido quanto auspicato vento hollandiano, olandese, irlandese e portoghese, induce i mercati europei a coltivare un ritrovato ottimismo, l’Italia va in negativo (unica borsa valori in contro-tendenza) spinta al ribasso record da Mediaset e da tutte le sue consociate e quindi dalle banche coinvolte. Può farcela con i giudici italiani strozzati dai politici, può cavarsela su Ruby, su ladolcevitola e su tutto il resto, ma quando si ha contro l’Onu e l’Europa, sono dolori anche per lui. Lo saranno senz’altro. E prima della fine della giornata, Milano trascinerà al ribasso l’intera Europa.
Ma veniamo ai fatti e alle notizie del giorno.
Dodici ore dopo la sentenza del parlamento britannico su Rupert Murdoch è arrivata a Palazzo Chigi una nota ufficiale e pubblica firmata Frank La Rue.
Chi è costui?
E’ il terrore di svariati dittatori al mondo. E’ un mito riverito in tutta l’America Centrale perchè ha salvato il popolo guatemalteco, ecuadoriano e salvadoregno da una ignobile e sanguinosa dittatura assicurando alla giustizia i criminali e in quelle piccole nazioni, povere ma ricche di prodotti da tutti noi desiderati (banane, ananas, mango, asparagi, arachidi) lanciando -coadiuvato dall’economista Christina Rohmer e da Joseph Stieglitz- la prima grande campagna agricola nazionale (nel continente americano) di organizzazione, pianificazione e costituzione di cooperative agricole di sviluppo sociale biologiche e organiche con salario minimo garantito ai contadini, assicurazione sanitaria, e sottrazione delle risorse primarie al controllo marketing delle multinazionali.
Frank La Rue è l’uomo che per conto dell’Onu, il 25 luglio del 2010 si è presentato –per la prima volta- a Roma, a Palazzo Chigi, con una formale protesta contro il governo Berlusconi “a nome della salvaguardia e dell’integrità dei diritti all’informazione dei singoli cittadini” sostenendo pubblicamente che il varo in parlamento della cosiddetta legge bavaglio redatta dall’allora ministro della giustizia Angiolino Alfano costituiva “l’inizio di una deriva di carattere autoritario, anti-democratica, che spinge l’Italia sempre di più ai margini delle nazioni democratiche”. Nessuno badò a lui, allora. L’intera truppa mediatica asservita che oggi su tutte le piazze disponibili televisive, giornalistiche cartacee, bloggeristiche e in streaming, ci spiegano ogni giorno perché Berlusconi non andava bene, allora, in quella data, non dissero neppure una parola su Frank La Rue. Non ne parlarono neppure. Ma il plenipotenziario dell’Onu non si fermò e insistè. Rimase a Roma: voleva risposte formali per iscritto dal governo. Dieci giorni dopo esplodeva la questione sulla casa di Montecarlo e fino al 15 dicembre non si parlò d’altro. L’intera nazione assorbita soltanto da quello.
Frank La Rue se ne andò via e stilò un rapporto negativo sull’Italia, datato 14 settembre 2010. Talmente negativo che, se fosse stato reso pubblico, avrebbe addirittura obbligato l’Unione Europea ad intervenire formalmente contro l’Italia.

Il rapporto era relativo alla libertà di stampa in Italia, alla libertà di informazione, alla modalità di gestione e organizzazione del lavoro nel mondo mediatico italiano. Nulla. Non accadde nulla. L’intero PD –schierato al completo- bofonchiò qualche sciocchezza in qualche salotto e la cosa finì lì.
Frank La Rue è il fondatore di CALDH (Center for Legal Action for Human Rights) ed è un esponente di spicco nella lotta per i diritti civili nel mondo da almeno 25 anni. E’ famoso in tutto il mondo. Tranne che in Italia. Nel 2002 è stato nominato plenipotenziario dell’Onu per tutto ciò che riguarda il campo della “libertà di stampa, libertà nel mondo delle telecomunicazioni, tutela e salvaguardia dei diritti dei popoli e delle nazioni nell’accesso, produzione e diffusione delle informazioni”. Nel 2004 è stato candidato al Nobel per la pace ma ha perso per due voti. Ha condotto tutta l’inchiesta di denuncia della dittatura militare in Guatemala, Ecuador, presentata all’Onu, che ha portato all’arresto e condanna dei militari criminali. Dal 2006 si occupa dell’Europa Occidentale.

E’ arrivato a Roma e ha piantato una grana “ufficiale” non indifferente a Mario Monti.
Il tutto, sei ore dopo la sentenza di Londra su Rupert Murdoch.
La questione posta è relativa alla nomina dei dirigenti della Rai.
Che cosa c’entra l’Onu?
C’entra, purtroppo.
E qui veniamo alla nota dolente della nostra immagine nel mondo.
La Rai è un ente pubblico: appartiene quindi al popolo italiano. Le nomine le fa il governo.
In conseguenza della precedente nota datata luglio 2010 che identificava l’allora governo italiano come un governo lesivo “della libertà d’espressione e di libero accesso alle informazioni mediatiche perché tutto passa sotto lo spietato controllo dei funzionari di partito (che sono privati) aggravato dalla condizione unica al mondo per cui il capo del governo è anche il proprietario e presidente della più importante azienda di comunicazione mediatica nel paese” allora l’Onu ha fatto scrivere una lettera a Mario Monti firmata Frank la Rue “pretendendo” che le nomine della Rai vengano effettuate su basi professionali e non per malleveria politica; che venga applicato il principio della presentazione del curriculum vitae “prima” della nomina e non “dopo”. Ma soprattutto “che ci sia trasparenza e che la cittadinanza abbia la possibilità di valutare lo spessore del candidato sulla base dell’autentica competenza tecnica”.


Lo so che non ci crederete.


Ma la Rai –tutti i partiti d’accordo nessuno escluso- è l’unica azienda sul pianeta Terra in cui i nominati non devono presentare nessun requisito: basta che il parlamento fornisca un nome e il consiglio di presidenza approva.
Il curriculum vitae e la competenza tecnica devono essere presentati “dopo”.
E’ surreale.
Ma è la realtà italiana.
E così, visto che Bersani & co. seguitano a tacere, arriva il preside dell’Onu.
Che vergogna!

Basterebbe questo per mettere a tacere le esternazioni inutili dei piddini che sostengono di aver identificato “l’anti-politica” in chi si oppone.

La Rai è stata commissariata dall’Onu.
E’ la notizia più ridicola al mondo. La più patetica e triste in assoluto.
Ma è una notizia vera.
In Italia diffusa soltanto da Il Fatto Quotidiano.
Dobbiamo sostenere Frank La Rue e le sue argomentazioni, con forte diffusione.
Dobbiamo prendere atto della squallida realtà nella quale viviamo rinunciando alla nostra consueta mitomania italiota che ci spinge a credere di essere ciò che non siamo. Ogni nazione ha i suoi guai.
La Siria, poveri cristi, è costretta a chiamare i baschi blu dell’Onu per fermare la strage di innocenti civili presi a cannonate.
L’Italia, incapace di avere rappresentanza politica adeguata, è costretta a farsi commissariare dall’Onu per scegliere il management di un ente pubblico.

Che cosa risponderà il ragioniere Mario Monti a queste feroci sollecitazioni?

Non era lui a sostenere che la nostra immagine nel mondo era una meraviglia?

Che a New York lo applaudivano e lo sostenevano?

Che il nostro paese aveva ricostruito la propria immagine?


Vi sembra che una nazione civile debba farsi dettare legge dall’Onu perché non è capace di avere dei governanti in grado di esercitare in maniera autorevole e pragmatica la loro funzione? Per affrontare e risolvere un problema per il quale basta una telefonata?
Questa è una battaglia che riguarda tutti noi.

E ci piaccia o non ci piaccia, di tutto ciò dobbiamo ringraziare i deputati laburisti del parlamento britannico.

Il vento anti-Murdoch ha impiegato dieci ore per arrivare dal Mare del Nord al Mediterraneo.
Inevitabile che andasse a spirare dalle parti di Arcore.
 

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