Wall Street non si beve la verità del Leviatano e crolla. E oltre alla Cina, attenti al petrolio
Di
Mauro Bottarelli , il 26 agosto 2015
- 14 commenti

Dunque, la Banca centrale cinese (PBOC) ha deciso il taglio dei tassi di 50 punti base e dei requisiti di riserva obbligatoria per le banche, nella speranza che questo liberi liquidità più per il mercato azionario che per l’economia reale. E lo ha fatto nonostante sia già attivo nell’economia reale il cosiddetto “pork cycle” di cui vi ho parlato un paio di settimane fa, ovvero l’aumento esponenziale del prezzo della carne di maiale, vero driver del paniere dei consumi cinese. Quindi, la PBOC sta tagliando i tassi in ambiente inflattivo: auguroni.
Ma al di là dei magheggi dei mandarini dopo il Black Monday borsistico, ecco che come tante scimmiette ammaestrate fatte di ketamina fino alle orecchie, i mercati europei ieri hanno rimbalzato come non ci fosse un domani, con il Ftse Mib che addirittura chiudeva a +6%. Tutto risolto grazie al taglio dei tassi cinesi? No, grazie a questa dinamica

e alla certezza che la stamperia globale proseguirà, probabilmente anche con l’appoggio non da poco del Dragone. Molto bene anche Wall Street, nonostante i futures del Dow Jones prima della campanella avessero bruciato tutti i guadagni garantiti dal combinato di taglio dei tassi e carry trade yen/dollaro.

Cosa ha permesso, quindi, alla piazza newyorchese di salire a tre cifre?
Il dato del Conference Board sulla grado di fiducia dei consumatori, salito a 101,5 punti ad agosto dai 91 di luglio e contro le attese degli analisti di un anemico 93,8. Peccato che, come ci mostra questo grafico,

in contemporanea venisse pubblicato anche il Consumer’s Economic Outlook di Gallup, principale istituto demoscopico del Paese, stando ai risultati del quale il sentiment economico negli sa è collassato al minimo da un anno. A chi credere? Primo, il Conference Board è un ente sponsorizzato dal governo, Gallup è un’azienda privata (solo per questo, io ho già scelto). Secondo, il dato del Conference Board è stato garantito dalla crescita della componente “Present situation”, salita da 104 a 115,1, il massimo nel ciclo: come è possibile, se la Cina rallenta e si schianta, i prezzi del gas negli Usa salgono continuamente e la Borsa di New York lunedì è crollata? Un sondaggio tra masochisti? Oltretutto, la componente “Plans to buy a car, auto o major appliance” ha visto tutte e tre le voci schiantarsi! Insomma, non posso permettermi nemmeno un’automobile, nonostante il credito al consumo subprime, il mercato fino a ieri sanguinava ma sono stra-fiducioso. Contenti voi.
Cosa dice Gallup, invece? Per il 58% degli americani interpellati la situazione economica “sta peggiorando”, contro il 37% il quale ritiene che stia migliorando. E ancora: “Se i mercati azionari continueranno a soffrire, in particolar modo se questo aspetto andrà a influire sull’economia nel suo insieme, la fiducia dei consumatori potrebbe essere colpita ulteriormente nelle prossime settimane”. Poco male, ieri Wall Street a scelto il Conference Board. In compenso, ha ignorato del tutto l’indice manifatturieri della Fed di Richmond, il quale, come ci mostra questo grafico,

è letteralmente morto. Infatti è passato da 13 di luglio a 0 in agosto, contro le aspettative di 10 da parte degli analisti, un qualcosa che non succedeva dal maggio 2006! A schiantarsi tra le sotto-componenti, cosette da poco come lo shipment, i nuovi ordinativi, la capacity utilization e come ci mostra questo grafico,

il cumulo di ordinazioni arretrate, in calo ai massimi nella storia recente Usa! Ma tranquilli, nulla di questo va letto come un segnale di imminente recessione negli Stati Uniti. O forse sì, visto come ci mostra questo grafico,

dopo aver cavalcato oltre il 3% nel picco intraday, Dow Jones e Standard&Poor’s hanno chiuso la giornata in negativo in quella che è stata la peggior inversione di trend dal 29 ottobre 2008 (ring any bells?). Anche il mercato, quel poco che ne è rimasto, alla fine ha guardato in faccia la realtà. E ha scelto Gallup.
E veniamo al prezzo del petrolio, il quale ieri ha beneficiato del rally delle Borse salendo di circa un punto e mezzo percentuale, sia per quanto riguarda il Brent che il WTI ma restando sempre nell’area dei minimi da sei anni e mezzo. Una dinamica che per l’economia Usa non significa solo produzione e posti di lavoro nel comparto shale ma, vista l’enorme finanziarizzazione di questa commodity, anche rischi di default sui bond high-yield emessi per finanziarsi e per i titoli del comparto che viaggiano a 23.6x di multipli sull’utile per azione, contro il 13.1x di media storica. Ed è proprio questa enorme espansione che sta permettendo ai titoli del comparto energetico Usa di tradare ai prezzi attuali, invece che porre fine al decoupling e riallinearsi con la realtà del prezzo del greggio. Come ci mostra questo grafico,

l’epilogo potrebbe essere decisamente sgradevole. Mentre questo altro grafico,

ci mostra come l’unica ragione che finora abbia giustificato quei multipli P/E, ovvero la facilità per aziende shale di finanziarsi sul mercato obbligazionario e del credito, stia prosciugandosi, proprio in corrispondenza della revisione delle linee di credito attesa in ottobre e della fine del contratti di hedging a 90 dollari al barile, tutti destinati alla conclusione entro fine anno. Guarda caso, questa è stata la dinamica del settore lunedì durante il tonfo e prima del rimbalzo da scimmia strafatta di ieri.

Inoltre, finora la vulgata generale dava la colpa del collasso dei prezzi, del loro rimbalzo e poi ancora del recente calo in area 40 dollari all’aumento della produzione dell’Arabia Saudita, la quale sta pompando a livello record mese dopo mese, dinamica cui andrebbe unita la variabile del ritorno all’output massimo e all’export su livelli pre-sanzioni dell’Iran. Il 4 dicembre prossimo l’Opec si riunirà a Vienna e già alcuni Paese membri sono intenzionati a non accettare più la politica di Ryad di mantenere la produzione invariata per non perdere quote di mercato e vorrebbero un taglio netto che garantisse un rimbalzo sostenuto del prezzo. Proprio sicuri che basterà? Questo grafico di Bank of America-Merrill Lynch,

ci mostra infatti che se per la gran parte del 2015 l’andamento delle valutazioni del barile è stato mosso da dinamiche di domanda e offerta, il recente calo appare essere frutto unicamente di una incombente recessione globale, visto se in luglio pesava la extra-offerta iraniana, nelle ultime settimane sta tutto sul lato del calo della domanda. Tranquilli, è tutto assolutamente a posto, il taglio dei tassi cinesi si è rivelato il genio nella lampada che ci serviva. Ora vediamo come si muoverà la Fed. E, soprattutto, quando durerà davvero la tregua, perché come ci mostrano questi due grafici,

quando le bolle azionarie arrivano alla fine, lo fanno con scostamenti molto forti, non con un’unica, grossa esplosione come quella di lunedì, almeno così ci insegnano i due precedenti picchi di mercato e, indirettamente, sembra confermarci il trend da montagne russe di Wall Street ieri. Su cosa focalizzarsi per capire? Io su questo,

ovvero sul mercato dell’alto rendimento: se mostrerà segnali di apprezzabile debolezza, allora per me sarà bandierina rossa. Per me, ovviamente.
Sono Mauro Bottarelli, Seguimi su Twitter!