Troppa burocrazia, in Italia è impossibile fare business

I decreti Salva Italia, Cresci Italia e Semplifica Italia hanno sicuramente dato un impulso positivo all'imprenditoria italiana. Non dimentichiamo, inoltre, che nel nostro Paese è possibile creare un'impresa e pagare solo il 5% di tasse, un fisco agevolato che non si trova in nessun altro Paese europeo. Ma tutto questo non basta per creare un'impresa di successo. Come scrivo nel mio ultimo e-book dal titolo 'Fare impresa' è necessario avere determinazione, forza di volontà e una buona dose di coraggio.
http://www.lavoroimpresa.com/199_fare_impresa_libro_per_imprenditori_successo
 
Il “metodo Eataly” di Farinetti si inceppa a Bari

L'imprenditore si dice "sfiancato" dai problemi burocratici e amministrativi in cui è incappata l'apertura del negozio nel capoluogo pugliese: permessi non rilasciati e assunzioni contestate macchiano i successi del gruppo. E lui avverte: "Così mi passa la voglia di investire in Italia"

La cavalcata di Oscar Farinetti, il creatore di Eataly e portabandiera del mangiare di qualità italiano nel mondo, fondatore di un gruppo da 300 milioni di euro, rischia di arenarsi a Bari. I guai di Farinetti non sono di natura giudiziaria, ma di immagine, burocratici e sindacali, tutti scoppiati tra la fine di luglio e questi giorni per l’apertura del negozio Eataly all’interno di quel che resta della Fiera del Levante, tanto che alla fine della conversazione con il Fatto Quotidiano confessa di essere “sfiancato.

Concluderò il programma di sviluppo in Italia di quest’anno e poi mi fermo, almeno qui. Ho incontrato troppa cattiveria gratuita e cinismo, da parte di chi non fa e vive solo per criticare e non nascondo che dopo tutte queste polemiche ho un po’ meno voglia di fare cose in Italia”.


Dopo aver venduto nel 2004 la catena dell’elettronica Unieuro, Farinetti ha incominciato a dedicarsi all’alimentare acquistando o finanziando aziende del settore. Nel 2007 la svolta, con l’apertura a Torino del primo Eataly, un supermercato di prodotti alimentari di alta qualità, in parte delle sue aziende, in parte selezionati da piccoli produttori locali, insieme a ristorantini e corner di ristorazione. E fu subito successo.

Dal Giappone a New YorkLa formula in pochi anni è esplosa e Farinetti ha iniziato a macinare ricavi e aperture nei principali centri dell’Italia settentrionale e in Giappone. Ad agosto del 2010 l’apertura di New York, che a regime fattura 85 milioni di dollari e impegna 800 addetti. Il 21 giugno 2012 il più grande punto Eataly a Roma recupera l’Airterminal dell’Ostiense, struttura costruita per i mondiali di Italia 90 e abbandonata al degrado, che ora dà lavoro a 400 persone. Un successo che ha portato il gruppo a 250 milioni di euro nel 2012, con un margine operativo lordo del 10% e 3000 addetti. “Le nostre missioni – spiega Farinetti – oltre a promuovere l’eccellenza dell’agroalimentare italiano nel mondo sono due. Dare lavoro in un paese dove il lavoro scarseggia e rianimare i luoghi abbandonati. E per questo gli utili vengono tutti reinvestiti nel gruppo. Quest’anno abbiamo programmato le aperture di Bari, Firenze, Milano e Piacenza in Italia, Istanbul, Dubai e Chicago all’estero”. Con un giro d’affari che crescerà del 20% attestandosi sui 300 milioni di euro .
Tutto bene, quindi. Farinetti è celebrato come salvatore della patria se non fosse per il caso scoppiato nell’ultimo mese a Bari, che gli sta letteralmente togliendo il sonno, anzi “sfiancando”. “Abbiamo deciso di aprire il primo Eataly al Sud dove c’è più bisogno di lavoro, abbiamo recuperato un posto abbandonato, morto per gran parte dell’anno, lo abbiamo ristrutturato investendo 15 milioni di euro e stiamo trovando resistenze come mai prima”.
 
troppa burocrazia STUPIDA e Frustrata

OLBIA - CHIUSA GELATERIA DALLA FINANZA PER UNA EVASIONE DI 1,50 EURO
Per “riavere” quegli spiccioli evasi, però, lo Stato rinuncia ai circa 500 euro di Iva che la gelateria avrebbe fatturato nel weekend in cui invece rimarrà chiusa. Di fronte a questi fatti vien da pensare ai grandi evasori o a quelli totali che la stan facendo franca, grazie a questi pochi spiccioli. Bisognerebbe togliere il paraocchi a questi finanzieri …
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La Apple in Italia non sarebbe nata, perchè saremo pure affamati e folli, ma se nasci nel posto sbagliato rimani con la fame e la pazzia, e niente più.Gabriele Bellelli

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Fare impresa in Italia...

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Mettiamo che Steve Jobs sia nato in Italia. Si chiama Stefano Lavori. Non va all’università, è uno smanettone. Ha un amico che si chiama Stefano Vozzini. Sono due appassionati di tecnologia, qualcuno li chiama ricchioni perchè stanno sempre insieme. I due hanno una idea. Un computer innovativo. Ma non hanno i soldi per comprare i pezzi e assemblarlo. Si mettono nel garage e pensano a come fare. Stefano Lavori dice: proviamo a venderli senza averli ancora prodotti. Con quegli ordini compriamo i pezzi.

Mettono un annuncio, attaccano i volantini, cercano acquirenti. Nessuno si fa vivo. Bussano alle imprese: “volete sperimentare un nuovo computer?”. Qualcuno è interessato: “portamelo, ti pago a novanta giorni”. “Veramente non ce l’abbiamo ancora, avremmo bisogno di un vostro ordine scritto”. Gli fanno un ordine su carta non intestata. Non si può mai sapere. Con quell’ordine, i due vanno a comprare i pezzi, voglio darli come garanzia per avere credito. I negozianti li buttano fuori. “Senza soldi non si cantano messe”. Che fare? Vendiamoci il motorino. Con quei soldi riescono ad assemblare il primo computer, fanno una sola consegna, guadagnano qualcosa. Ne fanno un altro. La cosa sembra andare.

Ma per decollare ci vuole un capitale maggiore. “Chiediamo un prestito”. Vanno in banca. “Mandatemi i vostri genitori, non facciamo credito a chi non ha niente”, gli dice il direttore della filiale. I due tornano nel garage. Come fare? Mentre ci pensano bussano alla porta. Sono i vigili urbani. “Ci hanno detto che qui state facendo un’attività commerciale. Possiamo vedere i documenti?”. “Che documenti? Stiamo solo sperimentando”. “Ci risulta che avete venduto dei computer”.
I vigili sono stati chiamati da un negozio che sta di fronte. I ragazzi non hanno documenti, il garage non è a norma, non c’è impianto elettrico salvavita, non ci sono bagni, l’attività non ha partita Iva. Il verbale è salato. Ma se tirano fuori qualche soldo di mazzetta, si appara tutto. Gli danno il primo guadagno e apparano.

Ma il giorno dopo arriva la Finanza. Devono apparare pure la Finanza. E poi l’ispettorato del Lavoro. E l’ufficio Igiene. Il gruzzolo iniziale è volato via. Se ne sono andati i primi guadagni. Intanto l’idea sta lì. I primi acquirenti chiamano entusiasti, il computer va alla grande. Bisogna farne altri, a qualunque costo. Ma dove prendere i soldi?

Ci sono i fondi europei, gli incentivi all’autoimpresa. C’è un commercialista che sa fare benissimo queste pratiche. “State a posto, avete una idea bellissima. Sicuro possiamo avere un finanziamento a fondo perduto almeno di 100mila euro”. I due ragazzi pensano che è fatta. “Ma i soldi vi arrivano a rendicontazione, dovete prima sostenere le spese. Attrezzate il laboratorio, partire con le attività, e poi avrete i rimborsi. E comunque solo per fare la domanda dobbiamo aprire la partita Iva, registrare lo statuto dal notaio, aprire le posizioni previdenziali, aprire una pratica dal fiscalista, i libri contabili da vidimare, un conto corrente bancario, che a voi non aprono, lo dovete intestare a un vostro genitore. Mettetelo in società con voi. Poi qualcosa per la pratica, il mio onorario. E poi ci vuole qualcosa di soldi per oliare il meccanismo alla regione. C’è un amico a cui dobbiamo fare un regalo sennò il finanziamento ve lo scordate”. “Ma noi questi soldi non ce li abbiamo”. “Nemmeno qualcosa per la pratica? E dove vi avviate?”.

I due ragazzi decidono di chiedere aiuto ai genitori. Vendono l’altro motorino, una collezione di fumetti. Mettono insieme qualcosa. Fanno i documenti, hanno partita iva, posizione Inps, libri contabili, conto corrente bancario. Sono una società. Hanno costi fissi. Il commercialista da pagare. La sede sociale è nel garage, non è a norma, se arrivano di nuovo i vigili, o la finanza, o l’Inps, o l’ispettorato del lavoro, o l’ufficio tecnico del Comune, o i vigili sanitari, sono altri soldi. Evitano di mettere l’insegna fuori della porta per non dare nell’occhio. All’interno del garage lavorano duro: assemblano i computer con pezzi di fortuna, un po’ comprati usati un po’ a credito. Fanno dieci computer nuovi, riescono a venderli. La cosa sembra poter andare.

Ma un giorno bussano al garage. E’ la camorra. Sappiamo che state guadagnando, dovete fare un regalo ai ragazzi che stanno in galera. “Come sarebbe?”. “Pagate, è meglio per voi”.

Se pagano, finiscono i soldi e chiudono. Se non pagano, gli fanno saltare in aria il garage. Se vanno alla polizia e li denunciano, se ne devono solo andare perchè hanno finito di campare. Se non li denunciano e scoprono la cosa, vanno in galera pure loro.

Pagano. Ma non hanno più i soldi per continuare le attività. Il finanziamento dalla Regione non arriva, i libri contabili costano, bisogna versare l’Iva, pagare le tasse su quello che hanno venduto, il commercialista preme, i pezzi sono finiti, assemblare computer in questo modo diventa impossibile, il padre di Stefano Lavori lo prende da parte e gli dice “guagliò, libera questo garage, ci fittiamo i posti auto, che è meglio”.

I due ragazzi si guardano e decidono di chiudere il loro sogno nel cassetto. Diventano garagisti.

La Apple in Italia non sarebbe nata, perchè saremo pure affamati e folli, ma se nasci nel posto sbagliato rimani con la fame e la pazzia, e niente più.
 
OLBIA - CHIUSA GELATERIA DALLA FINANZA PER UNA EVASIONE DI 1,50 EURO
Per “riavere” quegli spiccioli evasi, però, lo Stato rinuncia ai circa 500 euro di Iva che la gelateria avrebbe fatturato nel weekend in cui invece rimarrà chiusa. Di fronte a questi fatti vien da pensare ai grandi evasori o a quelli totali che la stan facendo franca, grazie a questi pochi spiccioli. Bisognerebbe togliere il paraocchi a questi finanzieri …
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forse si ostinava a fargli pagare il gelato :-o
 
La Ufi è un’azienda talmente incredibile da poter produrre sia i filtri per auto sia quelli che servono per isolare il dna di un feto, sia quelli montati sulla navicella spaziale che nel 2016 atterrerà su Marte. Un miracolo tecnologico realizzato a Nogarole Rocca in provincia di Verona che, però, sta per finire. O, meglio, il miracolo continuerà altrove. Non in Italia. «Purtroppo "A TENDERE" le fabbriche italiane sono destinate alla chiusura».
Giorgio Girondi è presidente e amministratore delegato della Ufi Spa ed è un «duro», ma talmente «duro» che ha il coraggio di dire ciò che molti suoi colleghi pensano solamente. E le dice irritandosi a ogni obiezione.


Che cosa vuol dire «a tendere»?
Vuol dire «prima o poi».


Chiude e se ne va?
In Italia resterà il quartier generale. Con i sindacati abbiamo già trovato un accordo per la cassa integrazione, da settembre, per 204 dipendenti sui 600 che abbiamo nei 5 stabilimenti italiani sui 17 in tutto il mondo.


Quando ha deciso di andare via?
Nel 2011, quando lo spread è arrivato a oltre 500 punti. Abbiamo provato a resistere, ma non è possibile.


E tutti quelli che resistono sono dei matti?
Un momento. Proviamo a ragionare. L’Europa è l’area del mondo più in crisi e l’Italia è l’area più in crisi d’Europa. In Cina, Corea, India, è concentrato più del 60 per cento della popolazione mondiale che cresce del 5-6 per cento l’anno: sono giovani e consumano molto. La mia produzione più importante sono i filtri per autoveicoli che vendo ai maggiori costruttori del pianeta. In Cina si costruiscono 22 milioni di auto ogni anno rispetto alle 500 mila in Italia. Per me è impossibile non andare là a lavorare.


Ma lei in Cina ha già sette stabilimenti, un altro in Corea e due in India…
Sì, e vi lavorano 4 mila persone che mi costano quasi come i 600 che sono in Italia. Nell’area più vitale del pianeta il costo del lavoro è di 2 dollari l’ora rispetto ai 24 dollari dell’Italia. Mi spiace, ma un imprenditore non può mettersi contro sconvolgimenti storici come questi.


È rassegnato al declino italiano?
No, anzi. L’Italia ce la farà come ce l’ha sempre fatta, ma rendiamoci conto che i capitali si spostano alla ricerca del luogo nel quale è più facile farli fruttare.


I capitali sono mossi da uomini, non si spostano da soli.
Sì e no. Nessuno può imporre ai soldi di comportarsi in un modo piuttosto che in un altro. I soldi si muovono alla ricerca dell’investimento più conveniente. A differenza degli italiani, questo elementare concetto capitalistico i cinesi lo hanno capito perfettamente. Lo sa qual è la differenza tra Italia e Cina?

Mi dica.

In Cina bisogna essere prima capitalisti e poi comunisti. In Italia bisogna essere prima comunisti e poi capitalisti.

Addirittura?

In Cina se sei un capitalista ti stendono i tappeti rossi e solo dopo ti richiedono la fedeltà all’ideologia del partito. Da noi, invece, prima è richiesta la fedeltà all’ideologia della redistribuzione della ricchezza, e poi puoi fare il capitalista, cioè investire per guadagnare. Ma non troppo. Perché altrimenti vieni stroncato dalle tasse che servono, appunto, a ossequiare l’ideologia. Il vero dirigismo è in Europa, non in Cina. È qui che si pensa di dire ai soldi cosa devono fare. E questo mi fa imbestialire. Sa cosa penso del governo Letta?
Dica.
Credo stia operando molto bene, ma invece di essere il governo del «fare» dovrebbe essere il governo del «far fare». Questa è la differenza tra comunismo e capitalismo. E il risultato sa qual è?

Qual è?

Che nel 2007 la mia azienda fatturava 220 milioni con un risultato netto di 33; nel 2012 ha fatturato 333 milioni con un risultato netto di 14. Lavoro di più e guadagno di meno. E sa perché?


Perché c’è stata la crisi che ha abbassato i margini delle imprese.
Anche. Ma soprattutto perché abbiamo mantenuto le produzioni in Italia dove sono aumentate le tasse, le leggi, la burocrazia, dove assumere è più difficile e soprattutto è aumentato il costo del denaro. Lo sa quant’è il costo del finanziamento per un’impresa?

Dipende dall’impresa.

A me le banche prestano soldi al 3 per cento, ma mediamente è il 6-7 per cento. Quindi un imprenditore dovrebbe investire in un Paese dove le tasse sono circa al 50 per cento e poi guadagnare almeno il 6-7 per cento solo per ripagare gli interessi sul capitale per di più in un momento di recessione lavorando in un Paese in crisi. Impossibile.

Prenda fiato.

Le banche italiane hanno costi superiori alle altre proprio per il fatto di essere italiane. Infatti a me i soldi al 3 per cento me li danno le banche straniere.

Quindi?

Quindi non se ne esce senza una politica economica espansiva.

Chiede i soldi dello Stato?
No, ma l’austerity accelera il declino.

Va bene, ma non vorrà davvero pagare i dipendenti italiani 2 euro l’ora come quelli cinesi?

No, ma è un’illusione pensare che riequilibrare i salari significhi che loro devono guadagnare di più. Purtroppo i salari Occidentali sono destinati ad abbassarsi. Le regole sono queste, e non mi guardi male: non le ho fatte io. E sa cos’è ancora peggio?

No.

Che se la Cina abbasserà le tasse, i capitali stranieri lasceranno ancora più rapidamente l’occidente impoverendolo. Questo manderà in sofferenza i conti pubblici degli stati i quali avranno meno entrate fiscali necessarie per ripagare il debito. Di conseguenza aumenteranno ancora di più le tasse provocando una diminuzione della propensione all’investimento, quindi l’aumento della disoccupazione e il calo dei consumi.

Chiaro?

Solare
 
questi imprenditori con i "milioni" invece di andare a fare i conigli all'estero finanzino partiti e persone italiane che possono far migliorare le prospettive economiche del proprio paese cominciando dalla dirigenza politica italiana piuttosto scadente

pensate di andare in asia e fare i "fighetti" sapete che gli asiatici sono come i borg vi metabolizzano in un paio di anni :D

detto da uno che vive a bangkok :-o
 

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