tontolina
Forumer storico
la prima conseguenza dei Dazi che vuole Trump
Si dimette il consigliere economico Gary Cohn. Paura a Wall Street
Le dimissioni clamorose di Gary Cohn, avvenute a Washington nel tardo pomeriggio di ieri, hanno immediatamente avuto ripercussioni su Wall Street.
Mentre scrivo infatti vi è un crollo di 410 punti dei Futures sul Dow Jones (-1,6%), dello S&P 500 (-1,4%) e del Nasdaq (-1,3%). Il dimissionario advisor 57enne, ex banchiere di Goldman Sachs, non accetta la politica di dazi all'import di acciaio e alluminio annunciati da Trump. Cohn, nel suo ruolo di consigliere economico di Trump rassicurava gli investitori, il suo addio ha portato a una forte reazione del mercato.
Ma perché Trump vuole imporre dazi e non ritira le sue intenzioni malgrado buona parte dei senatori repubblicani, il Presidente della FED di N.Y. William Dudly, il suo Segretario al Tesoro Steven Mnuchin e il suo prestigioso (ex) consigliere Gary Cohn facciano pressioni forti per farlo desistere?
Con la RIFORMA FISCALE varata dal Congresso USA nel dicembre 2017, che riguarda sia la tassazione dei redditi di impresa che quella dei redditi personali, Trump ha preso dei grossi rischi. Nell’immediato il taglio dell’aliquota per il mondo corporate e delle tasse sui redditi individuali è destinato a produrre un effetto di stimolo sulla cui portata le opinioni sono abbastanza unanimi: il complesso delle misure adottate potrebbe tradursi in una forte ripresa degli investimenti (la deducibilità immediata dei costi di investimento avrà un effetto molto forte l’anno prossimo) e una crescita del pil superiore al 3 per cento nell’arco del prossimo biennio a fronte di un deficit previsto superiore al 5,5 per cento del pil per tutti i prossimi cinque anni.
Appare però evidente che, grazie agli sconti fiscali, la maggior capacità di investimento delle aziende americane e i maggiori consumi che faranno i cittadini yankee, che come è noto hanno una propensione marginale al consumo elevatissima, dovranno avvenire sulla produzione interna. Solo così i minori introiti fiscali derivanti dalla drastica riduzione delle aliquote fiscali saranno compensabili da una tassazione che potrà usufruire dell'incremento degli utili aziendali, frutto di un presumibile ciclo virtuoso che sarebbe tale se tali stimoli si concretizzassero solo (o quasi) verso la domanda interna di nuovi investimenti e consumi.
In altre parole Trump teme che, se i maggiori investimenti delle aziende locali fossero ad esempio rivolti all'acquisto di alluminio o acciaio cinese, oppure se i consumatori USA (beneficiati dallo sconto fiscale) dovessero comperare una Mercedes od una BMW, la sua riforma fiscale andrebbe quasi a vantaggio esclusivo dei Paesi esportatori negli Stati Uniti a scapito del deficit del bilancio federale con ulteriore peggioramento della bilancia commerciale.
In questo caso due sono le strade:
1) Svalutazione del dollaro
2) Dazi doganali
Trump sembra voler percorrere entrambe le strade
Si dimette il consigliere economico Gary Cohn. Paura a Wall Street
Le dimissioni clamorose di Gary Cohn, avvenute a Washington nel tardo pomeriggio di ieri, hanno immediatamente avuto ripercussioni su Wall Street.
Mentre scrivo infatti vi è un crollo di 410 punti dei Futures sul Dow Jones (-1,6%), dello S&P 500 (-1,4%) e del Nasdaq (-1,3%). Il dimissionario advisor 57enne, ex banchiere di Goldman Sachs, non accetta la politica di dazi all'import di acciaio e alluminio annunciati da Trump. Cohn, nel suo ruolo di consigliere economico di Trump rassicurava gli investitori, il suo addio ha portato a una forte reazione del mercato.
Ma perché Trump vuole imporre dazi e non ritira le sue intenzioni malgrado buona parte dei senatori repubblicani, il Presidente della FED di N.Y. William Dudly, il suo Segretario al Tesoro Steven Mnuchin e il suo prestigioso (ex) consigliere Gary Cohn facciano pressioni forti per farlo desistere?
Con la RIFORMA FISCALE varata dal Congresso USA nel dicembre 2017, che riguarda sia la tassazione dei redditi di impresa che quella dei redditi personali, Trump ha preso dei grossi rischi. Nell’immediato il taglio dell’aliquota per il mondo corporate e delle tasse sui redditi individuali è destinato a produrre un effetto di stimolo sulla cui portata le opinioni sono abbastanza unanimi: il complesso delle misure adottate potrebbe tradursi in una forte ripresa degli investimenti (la deducibilità immediata dei costi di investimento avrà un effetto molto forte l’anno prossimo) e una crescita del pil superiore al 3 per cento nell’arco del prossimo biennio a fronte di un deficit previsto superiore al 5,5 per cento del pil per tutti i prossimi cinque anni.
Appare però evidente che, grazie agli sconti fiscali, la maggior capacità di investimento delle aziende americane e i maggiori consumi che faranno i cittadini yankee, che come è noto hanno una propensione marginale al consumo elevatissima, dovranno avvenire sulla produzione interna. Solo così i minori introiti fiscali derivanti dalla drastica riduzione delle aliquote fiscali saranno compensabili da una tassazione che potrà usufruire dell'incremento degli utili aziendali, frutto di un presumibile ciclo virtuoso che sarebbe tale se tali stimoli si concretizzassero solo (o quasi) verso la domanda interna di nuovi investimenti e consumi.
In altre parole Trump teme che, se i maggiori investimenti delle aziende locali fossero ad esempio rivolti all'acquisto di alluminio o acciaio cinese, oppure se i consumatori USA (beneficiati dallo sconto fiscale) dovessero comperare una Mercedes od una BMW, la sua riforma fiscale andrebbe quasi a vantaggio esclusivo dei Paesi esportatori negli Stati Uniti a scapito del deficit del bilancio federale con ulteriore peggioramento della bilancia commerciale.
In questo caso due sono le strade:
1) Svalutazione del dollaro
2) Dazi doganali
Trump sembra voler percorrere entrambe le strade