Tuor - Dietro l'angolo scenario giapponese

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Dietro l'angolo scenario giapponese
25 ago 2010
di ALFONSO TUOR

L’estate sta finendo e immediatamente riemergono i problemi posti dalla crisi e tuttora irrisolti. I segnali sono molteplici, ma quelli più chiari provengono dai mercati finanziari. Sui mercati dei cambi lo yen giapponese vola, il franco svizzero si rafforza, mentre l’euro si indebolisce a tal punto da sfiorare ieri i minimi rispetto al franco toccati all’inizio dello scorso mese di luglio. Inoltre, mentre le borse si indeboliscono è ripresa la fuga degli investitori verso i titoli sicuri, che oggi vengono individuati nelle obbligazioni statali americane e tedesche. Il risultato di questi movimenti è che ieri i rendimenti dei titoli statali americani hanno toccato i minimi dal marzo del 2009, che fu il momento di maggior panico e il livello più basso di Wall Street durante la crisi finanziaria esplosa dopo il fallimento della Lehman Brothers; mentre i rendimenti dei Bund tedeschi decennali sono scesi ieri al minimo storico, ossia al 2,24%. La debolezza dell’euro e l’ascesa dei corsi dei titoli statali germanici sono coincisi con una nuova fuga dai titoli statali greci, irlandesi, portoghesi, spagnoli e anche italiani e con un aumento del differenziale del rendimento tra questi ultimi e i titoli tedeschi. Insomma, in un battibaleno si è ritornati al clima della primavera scorsa e comincia a riemergere la crisi dell’euro, che alcuni ritenevano un po’ troppo frettolosamente archiviata.
I motivi di questo nervosismo sono chiari. In Europa la ripresa non è geograficamente omogenea. A una Germania che cresce a ritmo sostenuto, trainata dalle esportazioni dirette soprattutto in Cina, si contrappone la stagnazione delle economie dei paesi periferici, come ha messo di nuovo in mostra l’indice dei responsabili degli acquisti dell’attività delle aziende europee, che è considerato un barometro affidabile delle prospettive dell’economia. La stagnazione delle economie periferiche è il preludio a una ricaduta in recessione non appena verranno implementate le misure di austerità richieste dall’Unione Europea. La contrazione delle economie europee metterebbe in forse i piani di riduzione del disavanzo pubblico di questi Paesi, anche perché alcuni (in particolare Irlanda e Spagna) si trovano a dover fare i conti con spese maggiori per risanare il loro sistema bancario. Tutto ciò fa nuovamente temere sulla capacità di tenuta dell’euro, fa riemergere la prospettiva di una Germania che abbandona Eurolandia e quindi spiega almeno in parte la fuga degli investitori verso i titoli tedeschi ritenuti più sicuri.
I timori sul futuro dell’euro, che sono in parte all’origine dell’impennata dei corsi dei Bund tedeschi, non spiegano però l’analoga impennata dei titoli statali americani. Dato che i mercati dei capitali sono tradizionalmente affidabili nel valutare le prospettive economiche e le aspettative inflazionistiche, appare giustificato interrogarsi sulle ragioni di questi movimenti. Il messaggio, che implicitamente stanno inviando i mercati dei capitali, è univoco: l’economia americana rischia di ricadere in recessione o, nella migliore delle ipotesi, di registrare una crescita di poco superiore allo zero. Ma c’è di più: i mercati dicono che sta crescendo il rischio di deflazione. Ciò vale per gli Stati Uniti, ma probabilmente vale anche per la Germania.
Per contrastare questo messaggio, si sono levate voci e scritte analisi, secondo cui nel mercato dei titoli di stato tedeschi e americani si sta creando una nuova bolla speculativa. Il ragionamento procede in base a questa linea di pensiero. Nel caso americano la notevole quantità di liquidità in circolazione, che non ha allettanti alternative di investimento, si sta scaricando sui titoli di stato soprattutto dopo la decisione della Federal Reserve di riprenderne gli acquisti e quindi di sostenerne di fatto i corsi. Nel caso tedesco, l’impennata dei Bund sarebbe essenzialmente dovuta alla fuga dei capitali dagli investimenti nei Paesi europei a rischio. La conclusione è chiara: fate attenzione (come ogni bolla anche questa è destinata a scoppiare e quindi i corsi di questi titoli scenderanno e i rendimenti saliranno), non prestate fede al messaggio implicito in questi movimenti e non esagerate nel temere una ricaduta in recessione e la deflazione. Questa lettura mette in rilievo correttamente l’effetto sui corsi dei titoli statali delle decisioni delle autorità monetarie americane e dei timori sulla tenuta dell’euro, ma non appare convincente per due motivi: non tiene in considerazione, in primo luogo, che i dati dell’economia reale continuano a giustificare questi movimenti e che, in secondo luogo, la mancanza di allettanti alternative di investimento è una conferma della bontà di queste previsioni.
Appare invece più interessante notare che il movimento al ribasso dei rendimenti dei titoli statali e tedeschi e l’appiattimento della curva dei tassi stanno avvenendo con una rapidità nettamente superiore a quella che si registrò in Giappone all’inizio degli anni Novanta, dopo lo scoppio della bolla immobiliare e azionaria. Ciò induce a ritenere che i mercati scommettano su uno scenario deflazionistico alla giapponese e che addirittura prevedano che sia prossima la sua concretizzazione. Ed è quanto indicano i dati provenienti dall’economia reale; essi confermano che la crisi è lungi dall’essere finita.
 

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