Sharnin 2
Forumer storico
Eurolandia
La brusca frenata dell’economia
Alfonso Tuor
La Banca centrale europea, come era scontato, non ha ritoccato i tassi, ma ha corretto al ribasso le previsioni di crescita di Eurolandia. L’istituto europeo stima ora che l’economia crescerà quest’anno tra l’1,1% e l’1,7%, mentre ancora nello scorso mese di giugno pronosticava un tasso di espansione che avrebbe dovuto aggirarsi tra l’1,5% e il 2,1%. Questa forte revisione al ribasso conferma che anche la Bce è stata «sorpresa» dal rapido e forte deterioramento della situazione economica europea. Infatti, ancora poco tempo fa pochi avrebbero ritenuto possibile che già nel secondo trimestre di quest’anno il Pil di Eurolandia si potesse contrarre e ancor più che l’economia tedesca, che sembrava sprizzare salute da tutti i pori, subisse una frenata di tale ampiezza. La Bce ha dunque sottovalutato l’influenza che l’impennata del prezzo del petrolio e la debolezza del dollaro, che si aggiungevano alle ricadute sul sistema bancario europeo della crisi americana dei mutui subprime, avrebbero avuto sulla crescita del Vecchio Continente. Gli uomini di Francoforte non hanno invece sbagliato le previsioni sul rincaro. Infatti hanno solo leggermente ritoccato al rialzo i loro pronostici sull’inflazione, che ora dovrebbe situarsi quest’anno tra il 3,4 e il 3,6%, comunque ad un livello nettamente superiore al 2% che è considerato l’obiettivo di medio e lungo termine.
Le previsioni dell’istituto europeo appaiono però ancora troppo ottimistiche. Ciò vale soprattutto per la crescita di Eurolandia per l’anno prossimo che dovrebbe, secondo Francoforte, risultare un po’ maggiore di quella di quest’anno e aggirarsi tra l’1,5 e l’1,8%. È difficile intuire da dove questa ripresa dovrebbe trarre slancio. Infatti, la frenata economica è in pieno corso ed è solo alle battute iniziali. In alcuni paesi, come Spagna ed Irlanda, sta addirittura assumendo le caratteristiche di una vera e propria depressione con un crollo dei prezzi degli immobili che si accompagna ad un rapido aumento della disoccupazione, ad una caduta dei consumi e ad un veloce deterioramento delle finanze pubbliche. Il processo appare destinato ad estendersi agli altri paesi europei, dove già si assiste ad una «gelata» dei consumi. D’altro canto, almeno per quest’anno, la Bce non ha intenzione di ridurre il costo del denaro per ridare fiato all’economia. L’unico sollievo può venire dall’attuale ribasso del prezzo del petrolio e dal contemporaneo rafforzamento del dollaro. Ma anche questi sviluppi devono essere considerati con cautela. In primo luogo, uno elide in parte l’altro: infatti il ribasso del prezzo del petrolio, che è scambiato in dollari, viene attutito in Europa dal rafforzamento del dollaro. In secondo luogo, il prezzo del greggio, pur essendo sceso di più del 25% rispetto al massimo toccato sei settimane fa, rimane pur sempre su livelli superiori a quelli dell’inizio dell’anno. In terzo luogo, la rapidità della caduta dei prezzi delle materie prime, da un canto, conferma che in questi mercati si era formata un’altra grande bolla finanziaria, ma, dall’altro, può arrestarsi una volta che gli Hedge Funds e gli altri speculatori o saranno falliti, come sta già avvenendo, o avranno chiuso le loro posizioni al rialzo. A quel punto, il greggio dovrebbe stabilizzarsi o addirittura riprendere gradualmente a crescere, poiché non appare duraturo l’altro fattore che ha provocato la caduta, ossia il rafforzamento del dollaro.
L’attuale rialzo del dollaro viene attribuito dai più alla frenata dell’economia europea, che avrebbe spinto gli investitori a scommettere su un dollaro, espressione di un’economia che finora appare più resistente agli effetti negativi della crisi dei subprime. Questa spiegazione non è affatto convincente. Innanzitutto il differenziale dei tassi tra le due sponde dell’Atlantico rimane nettamente a favore dell’euro, anche se l’anno prossimo è destinato a contrarsi, poiché la frenata dell’economia europea constringerà la Bce a tagliare i tassi. Inoltre, il dollaro non si sta rafforzando solo nei confronti dell’euro e del franco svizzero, ma anche rispetto alle altre principali valute. I motivi del rialzo sono probabilmente altri. Essi vanno da una riduzione del disavanzo commerciale americano al rimpatrio di molti capitali americani investiti nei mercati esteri. Ma la spiegazione più convincente, che per il momento deve essere considerata solo un’ipotesi, risiede nelle decisioni delle banche centrali dei paesi asiatici e dei paesi produttori di petrolio con riserve valutarie che hanno raggiunto i 7.000 miliardi di dollari. Ad alcuni di questi paesi, e soprattutto a quelli asiatici, non stava bene il continuo calo del valore del dollaro, che per di più si accompagnava ad un rialzo del prezzo del petrolio. Quindi, uno spostamento di parte delle loro riserve dall’euro al dollaro potrebbe essere la vera ragione del rialzo del biglietto verde, che per il momento non può essere considerato molto più che un rimbalzo.
In realtà, il ribasso del prezzo del petrolio e il rafforzamento del dollaro possono al massimo rendere la frenata dell’economia europea, che appare avviata verso la recessione, un po’ meno brusca.
04/09/2008 23:20
La brusca frenata dell’economia
Alfonso Tuor
La Banca centrale europea, come era scontato, non ha ritoccato i tassi, ma ha corretto al ribasso le previsioni di crescita di Eurolandia. L’istituto europeo stima ora che l’economia crescerà quest’anno tra l’1,1% e l’1,7%, mentre ancora nello scorso mese di giugno pronosticava un tasso di espansione che avrebbe dovuto aggirarsi tra l’1,5% e il 2,1%. Questa forte revisione al ribasso conferma che anche la Bce è stata «sorpresa» dal rapido e forte deterioramento della situazione economica europea. Infatti, ancora poco tempo fa pochi avrebbero ritenuto possibile che già nel secondo trimestre di quest’anno il Pil di Eurolandia si potesse contrarre e ancor più che l’economia tedesca, che sembrava sprizzare salute da tutti i pori, subisse una frenata di tale ampiezza. La Bce ha dunque sottovalutato l’influenza che l’impennata del prezzo del petrolio e la debolezza del dollaro, che si aggiungevano alle ricadute sul sistema bancario europeo della crisi americana dei mutui subprime, avrebbero avuto sulla crescita del Vecchio Continente. Gli uomini di Francoforte non hanno invece sbagliato le previsioni sul rincaro. Infatti hanno solo leggermente ritoccato al rialzo i loro pronostici sull’inflazione, che ora dovrebbe situarsi quest’anno tra il 3,4 e il 3,6%, comunque ad un livello nettamente superiore al 2% che è considerato l’obiettivo di medio e lungo termine.
Le previsioni dell’istituto europeo appaiono però ancora troppo ottimistiche. Ciò vale soprattutto per la crescita di Eurolandia per l’anno prossimo che dovrebbe, secondo Francoforte, risultare un po’ maggiore di quella di quest’anno e aggirarsi tra l’1,5 e l’1,8%. È difficile intuire da dove questa ripresa dovrebbe trarre slancio. Infatti, la frenata economica è in pieno corso ed è solo alle battute iniziali. In alcuni paesi, come Spagna ed Irlanda, sta addirittura assumendo le caratteristiche di una vera e propria depressione con un crollo dei prezzi degli immobili che si accompagna ad un rapido aumento della disoccupazione, ad una caduta dei consumi e ad un veloce deterioramento delle finanze pubbliche. Il processo appare destinato ad estendersi agli altri paesi europei, dove già si assiste ad una «gelata» dei consumi. D’altro canto, almeno per quest’anno, la Bce non ha intenzione di ridurre il costo del denaro per ridare fiato all’economia. L’unico sollievo può venire dall’attuale ribasso del prezzo del petrolio e dal contemporaneo rafforzamento del dollaro. Ma anche questi sviluppi devono essere considerati con cautela. In primo luogo, uno elide in parte l’altro: infatti il ribasso del prezzo del petrolio, che è scambiato in dollari, viene attutito in Europa dal rafforzamento del dollaro. In secondo luogo, il prezzo del greggio, pur essendo sceso di più del 25% rispetto al massimo toccato sei settimane fa, rimane pur sempre su livelli superiori a quelli dell’inizio dell’anno. In terzo luogo, la rapidità della caduta dei prezzi delle materie prime, da un canto, conferma che in questi mercati si era formata un’altra grande bolla finanziaria, ma, dall’altro, può arrestarsi una volta che gli Hedge Funds e gli altri speculatori o saranno falliti, come sta già avvenendo, o avranno chiuso le loro posizioni al rialzo. A quel punto, il greggio dovrebbe stabilizzarsi o addirittura riprendere gradualmente a crescere, poiché non appare duraturo l’altro fattore che ha provocato la caduta, ossia il rafforzamento del dollaro.
L’attuale rialzo del dollaro viene attribuito dai più alla frenata dell’economia europea, che avrebbe spinto gli investitori a scommettere su un dollaro, espressione di un’economia che finora appare più resistente agli effetti negativi della crisi dei subprime. Questa spiegazione non è affatto convincente. Innanzitutto il differenziale dei tassi tra le due sponde dell’Atlantico rimane nettamente a favore dell’euro, anche se l’anno prossimo è destinato a contrarsi, poiché la frenata dell’economia europea constringerà la Bce a tagliare i tassi. Inoltre, il dollaro non si sta rafforzando solo nei confronti dell’euro e del franco svizzero, ma anche rispetto alle altre principali valute. I motivi del rialzo sono probabilmente altri. Essi vanno da una riduzione del disavanzo commerciale americano al rimpatrio di molti capitali americani investiti nei mercati esteri. Ma la spiegazione più convincente, che per il momento deve essere considerata solo un’ipotesi, risiede nelle decisioni delle banche centrali dei paesi asiatici e dei paesi produttori di petrolio con riserve valutarie che hanno raggiunto i 7.000 miliardi di dollari. Ad alcuni di questi paesi, e soprattutto a quelli asiatici, non stava bene il continuo calo del valore del dollaro, che per di più si accompagnava ad un rialzo del prezzo del petrolio. Quindi, uno spostamento di parte delle loro riserve dall’euro al dollaro potrebbe essere la vera ragione del rialzo del biglietto verde, che per il momento non può essere considerato molto più che un rimbalzo.
In realtà, il ribasso del prezzo del petrolio e il rafforzamento del dollaro possono al massimo rendere la frenata dell’economia europea, che appare avviata verso la recessione, un po’ meno brusca.
04/09/2008 23:20