Tuor - Good Banks invece di «banche spazzatura»

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Good Banks invece di «banche spazzatura»
Alfonso Tuor

L’amministrazione Obama sta studiando il nuovo piano per salvare il sistema bancario americano, come è stato annunciato dal Segretario al tesoro designato Timothy Geithner. Il piano salvabanche si affiancherà a quello teso a rilanciare l’economia su cui sta già discutendo il Senato. L’obiettivo dell’amministrazione americana per l’approvazione del piano di stimolo dell’economia da parte del Congresso è la metà del prossimo febbraio. Lo ha detto il presidente americano Barack Obama. «Stiamo probabilmente sperimentando una crisi economica senza precedenti», ha aggiunto invitando il Congresso ad agire subito.

La crisi finanziaria sta entrando in una fase nuova e ancora più pericolosa. Questo salto qualitativo rischia di trasformarla, come ha scritto l’ex economista della Morgan Stanley, David Roche, in una vera e propria «storia dell’orrore».
Governi, banche centrali e mercati finanziari con colpevole ritardo stanno finalmente prendendo atto che il sistema bancario è fallito e stanno studiando nuove misure per evitarne la bancarotta. Il Governo britannico ha già deciso di assicurare (ossia di garantire) con i fondi pubblici il valore dei titoli tossici delle banche, mentre Stati Uniti e Germania stanno orientandosi verso la costituzione di una «Bad Bank» che acquisterebbe questi titoli. Ambedue le varianti contemplano la completa nazionalizzazione degli istituti che non hanno alcuna speranza di sopravvivere anche se fossero ampiamente aiutati. L’obiettivo di questi piani è far sì che il sistema bancario riprenda ad erogare crediti in modo da rendere meno grave la crisi che oramai attanaglia le economie di tutto il pianeta.
Il costo di questi piani sarà enorme (negli Stati Uniti si stima che l’investimento iniziale ammonterà a 1.000 miliardi di dollari) ed è destinato ad aumentare ulteriormente fino al punto da poter incrinare la fiducia dei risparmiatori sia nei titoli con cui gli Stati finanziano i loro disavanzi pubblici, sia nel valore delle monete nazionali. Questo rischio, dalle conseguenze economiche devastanti, viene assunto sebbene le probabilità di successo dei piani di salvataggio siano prossime allo zero. Questo giudizio è condiviso dai mercati finanziari. A non credere alla bontà del rimedio sono in primo luogo le borse. La certezza che altre centinaia di miliardi verranno investite per cercare di tappare gli enormi buchi dei bilanci delle grandi banche non ha impedito il crollo degli indici dei titoli bancari, né ha risollevato i listini: nessuno è disposto a credere che le banche riprendano ad erogare credito. I mercati stanno invece cominciando a scontare il costo di questi piani (come si può constatare osservando il calo dei titoli di Stato britannici e americani) e a dubitare della solidità delle valute, come indica la caduta della sterlina inglese.
David Roche ha calcolato che finora il solo Governo degli Stati Uniti abbia speso (contando unicamente i fondi erogati dallo Stato senza gli interventi della Federal Reserve) una somma in grado di finanziare due guerre del Vietnam: ma questo enorme dispendio non ha prodotto alcun risultato apprezzabile. Le ragioni del probabile fallimento di questi nuovi pacchetti sono semplici. Sia nell’ipotesi dell’assicurazione sia in quella della banca spazzatura vi è il problema di definire il prezzo dei titoli tossici, che sono diversi l’uno dall’altro. La questione non è solo tecnica, ma anche politica. Infatti «scoprire» oggi il loro vero prezzo di mercato vorrebbe dire costringere le banche a iscrivere a bilancio perdite enormi, invalidando l’intero esercizio: acquistare questi titoli ad un prezzo politico introdurrebbe un’altra distorsione e appesantirebbe ulteriormente il fardello che i contribuenti dei diversi Paesi dovranno pagare. Nessuno inoltre parla del destino dell’enorme quantità di derivati (a cominciare dai Credit Default Swap) e di prodotti strutturati che rappresentano il vero «buco nero» delle banche. Se non si affronta questa questione, non si risolve nulla.
L’ipotesi di una completa nazionalizzazione delle banche è ancora più pericolosa per i conti pubblici e per il futuro dell’economia. Infatti rifarsi all’esempio svedese dell’inizio degli anni Novanta è del tutto inappropriato. La crisi delle banche svedesi era dovuta a una crisi del mercato immobiliare di tipo tradizionale: la loro nazionalizzazione e la creazione di una «Bad Bank» hanno permesso di trasferire a quest’ultima i crediti ipotecari in difficoltà e di risanare i bilanci delle altre banche. Oggi, invece, la situazione è completamente diversa: la crisi è determinata dai titoli in cui sono state impacchettate le ipoteche e dall’enorme quantità di prodotti creati dalla nuova ingegneria finanziaria. Una nazionalizzazione completa delle banche vorrebbe dire trasferire agli Stati un’enorme quantità di perdite, con l’aggiunta del pericolo di vedere sopravvivere proprio i principali responsabili della crisi, ossia quel sistema finanziario ombra non sottoposto ad alcuna regolamentazione e costituito da Hedge Funds, fondi Private Equity e via dicendo.
Il punto più importante è comunque il fatto che nessuna di queste soluzioni spingerà le banche a riaprire i cordoni del credito. Come ha giustamente scritto il finanziere americano George Soros «queste misure non metteranno le banche in una condizione tale da riprendere a concedere prestiti a tassi ragionevoli». L’intero esercizio rischia pertanto di trasformarsi solo in una tappa del processo di trasferimento delle perdite dalle banche agli Stati con il rischio di far precipitare la crisi.
Bisogna cominciare a ragionare diversamente. È oramai assodato che il sistema bancario è fallito. Invece di creare le «Bad Bank», ossia le «banche spazzatura», occorre creare le «Good Banks». Lo Stato dovrebbe comprare le attività commerciali e di retail essenziali per l’economia dalle banche sull’orlo della bancarotta e ricapitalizzarle. Questi istituti sarebbero effettivamente ripuliti di tutta la carta straccia prodotta dalla nuova ingegneria finanziaria, potrebbero facilmente rifinanziarsi sul mercato dei capitali e riprendere ad erogare i crediti. Questa soluzione viene avversata dall’oligarchia finanziaria che spera di rimanere ancora in sella dopo aver trasferito le perdite accumulate agli Stati e che si culla ancora nella speranza di poter riprendere a fare quelle attività che hanno causato la crisi attuale. L’ipotesi delle «Good Banks» è praticabile, meno costosa degli attuali interventi (che devono essere considerati uno spreco di fondi pubblici) e soprattutto ricreerebbe un sistema bancario sano (e quindi diverso da quello precedente) in grado di concedere crediti e quindi in grado di fornire un contributo decisivo all’uscita dalla crisi.

24.01.09 07:02:01
 
ma sembra che in Usa ragionino come cirino pomicino......


in germania invece...

(ANSA) - BERLINO, 30 GEN - Il governo tedesco ha messo a
punto una proposta di legge per la nazionalizzazione delle
banche in crisi attraverso l'esproprio delle azioni ai soci.
Lo
scrive il quotidiano Propedeutiche Zeitung in un articolo che
verra' pubblicato nell'edizione di domani.
Il piano, che deve ancora essere esaminato anche alla luce
della legge costituzionale, riporta il giornale, prevede
compensazioni molto modeste per gli azionisti di questi istituti
di credito.
Non e' la prima volta che in Germania il governo parla della
possibilita' di espropriare le azioni delle banche in crisi per
spianare la strada alle nazionalizzazioni. Da giorni, infatti,
indiscrezioni di stampa fanno riferimento proprio a questa
eventualita' per l'istituto tedesco specializzato nel credito
immobiliare Hypo Real Estate (Hre).
E la Hre potrebbe essere proprio la prima banca a
sperimentare la nuova prevista legge. Lo stesso ministro delle
Finanze, Peer Steinbrueck (Spd), non ha escluso la via
dell'esproprio per la Hypo Re nel corso di un'intervista al
quotidiano Berliner Zeitung pubblicata ieri. (ANSA).
 

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