Sharnin 2
Forumer storico
I «subprime» affondano il liberismo
Alfonso Tuor
La cosiddetta crisi dei mutui subprime sta mettendo la pietra tombale sul liberismo che ha influenzato in modo determinante le politiche economiche dell’ultimo quarto di secolo.
I cambiamenti dei paradigmi economici e politici sono abitualmente associati ai cambiamenti politici. In realtà, queste «rivoluzioni» sono il frutto del fallimento delle politiche attuate in precedenza. Così negli anni Settanta l’incapacità delle politiche keynesiane di governare l’uscita dal sistema dei cambi fissi di Bretton Woods e di affrontare i due choc petroliferi e soprattutto la stagflazione crearono le premesse per la successiva «rivoluzione» liberista. L’arrivo di Ronald Reagan alla Casa Bianca e di Margareth Thatcher a Downing Street consacrò la fine delle politiche economiche keynesiane (o del cosiddetto compromesso socialdemocratico).
Qualcosa di simile sta accadendo oggi. I paradigmi che hanno influenzato la politica e l’economia negli ultimi decenni sono inequivocabilmente in crisi e talmente incapaci di rispondere alle sfide poste dalla crisi del sistema bancario che lo Stato è chiamato a soccorrere il sistema finanziario e ad assumersene i rischi. È quanto è successo ancora mercoledì scorso quando il Congresso statunitense ha varato la legge per salvare Fannie Mae e Freddie Mac aprendo una linea di credito illimitata; per soccorrere migliaia di famiglie con i mutui ipotecari in sofferenza (sono stati stanziati 300 miliardi di dollari) e per evitare ondate di pignoramenti di case nei quartieri più poveri. Il costo complessivo di questo megapacchetto è facilmente intuibile grazie alla decisione contemporanea di alzare il tetto del debito pubblico americano di 800 miliardi di dollari.
Questi provvedimenti sono solo gli ultimi di una lunga serie che si sono succeduti a partire dall’agosto dell’anno scorso.
Misure del genere non sono state adottate solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa. La Gran Bretagna ha istituito un fondo pubblico di 100 miliardi per rifinanziare il sistema bancario. La Federal Reserve americana, la Banca centrale americana e anche la Banca Nazionale Svizzera continuano a finanziare il sistema bancario dando soldi buoni in cambio di titoli di dubbio valore. Insomma, è tuttora in corso un’enorme operazione di salvataggio del sistema bancario con l’obiettivo di evitare una crisi sistemica ed una profonda recessione.
Questa crisi e la sua gestione rimettono in discussione i principi del liberismo. Il primo è che i principali fautori del liberismo, ossia le grandi banche, non sono sottoposti al principio del fallimento e sono consapevoli che possono assumersi forti rischi, poiché lo Stato le salverà per evitare una crisi sistemica. È il noto azzardo morale (o moral hazard) che fa sì che lo Stato debba intervenire per organizzare il salvataggio di un Hedge Fund, come Long Term Capital Management nel 1998, o oggi per salvare gli istituti bancari che «soffrono i postumi di una sbornia dovuta anche alla moltiplicazione di fantasiosi strumenti finanziari da loro stessi creati», come ha detto il presidente Bush.
Il secondo principio è che i mercati finanziari sono efficienti e quindi in grado di far confluire il risparmio verso gli investimenti con le prospettive migliori e siano quindi lo strumento migliore per innalzare la crescita e dunque la prosperità di un paese. Questo principio è stato messo in crisi paradossalmente dalla nuova ingegneria finanziaria. La cartolarizzazione ha infatti rotto il rapporto tra chi concede il credito (la banca) e chi si assume il rischio che il credito non venga onorato (il detentore del titolo). Inoltre la fantasia della nuova finanza ha fatto sì che non si investa più solo su azioni o obbligazioni, ma si facciano scommesse sull’andamento di un mercato e additrittura scommesse sulle scommesse. A queste viene data credibilità anche se sono spesso chiaramente insostenibili, come le assicurazioni sull’insolvenza dei titoli obbligazionari. Questa serie di giochi ha già mandato in fumo centinaia di miliardi di dollari e diventa sempre più chiaro che sta facendo precipitare in una severa recessione sia l’economia americana sia quella europea.
La sempre più diffusa consapevolezza della gravità dell’attuale crisi finanziaria sta spingendo le autorità politiche ad adottare misure d’urgenza. Ad esempio, oggi il Congresso americano dovrebbe approvare definitivamente lo «Stop Excessive Energy Speculation Act» (la legge per fermare l’eccessiva speculazione sui prodotti energetici), che mira a colpire una speculazione finanziaria che ha contribuito a portare il prezzo del petrolio a sfiorare i 150 dollari il barile. Il timore del varo di questa legge, approvata in prima istanza all’unanimità dal Senato americano (94-0), è probabilmente la causa prima dell’attuale discesa al di sotto dei 125 dollari il barile del prezzo del greggio.
Questi atti segnano la fine dell’era liberista, ma a differenza della fine degli anni Settanta non sono sufficienti per intuire quali potrebbero essere le linee guida che si imporrano nei prossimi anni. È comunque già prevedibile che vi saranno nuove regole per il sistema bancario che provocheranno un forte ridimensionamento della nuova ingegneria finanziaria. E l’arresto del processo di finanziarizzazione dell’economia costituirebbe già un enorme progresso. Ad esso occorrerebbe però aggiungere, come sostiene il ministro dell’economia italiano Giulio Tremonti, una nuova Bretton Woods per ridefinire le regole economiche, monetarie e finanziarie a livello mondiale, per poter uscire in modo duraturo da questa crisi provocata dagli eccessi del mondo finanziario.
24/07/2008 21:16
Alfonso Tuor
La cosiddetta crisi dei mutui subprime sta mettendo la pietra tombale sul liberismo che ha influenzato in modo determinante le politiche economiche dell’ultimo quarto di secolo.
I cambiamenti dei paradigmi economici e politici sono abitualmente associati ai cambiamenti politici. In realtà, queste «rivoluzioni» sono il frutto del fallimento delle politiche attuate in precedenza. Così negli anni Settanta l’incapacità delle politiche keynesiane di governare l’uscita dal sistema dei cambi fissi di Bretton Woods e di affrontare i due choc petroliferi e soprattutto la stagflazione crearono le premesse per la successiva «rivoluzione» liberista. L’arrivo di Ronald Reagan alla Casa Bianca e di Margareth Thatcher a Downing Street consacrò la fine delle politiche economiche keynesiane (o del cosiddetto compromesso socialdemocratico).
Qualcosa di simile sta accadendo oggi. I paradigmi che hanno influenzato la politica e l’economia negli ultimi decenni sono inequivocabilmente in crisi e talmente incapaci di rispondere alle sfide poste dalla crisi del sistema bancario che lo Stato è chiamato a soccorrere il sistema finanziario e ad assumersene i rischi. È quanto è successo ancora mercoledì scorso quando il Congresso statunitense ha varato la legge per salvare Fannie Mae e Freddie Mac aprendo una linea di credito illimitata; per soccorrere migliaia di famiglie con i mutui ipotecari in sofferenza (sono stati stanziati 300 miliardi di dollari) e per evitare ondate di pignoramenti di case nei quartieri più poveri. Il costo complessivo di questo megapacchetto è facilmente intuibile grazie alla decisione contemporanea di alzare il tetto del debito pubblico americano di 800 miliardi di dollari.
Questi provvedimenti sono solo gli ultimi di una lunga serie che si sono succeduti a partire dall’agosto dell’anno scorso.
Misure del genere non sono state adottate solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa. La Gran Bretagna ha istituito un fondo pubblico di 100 miliardi per rifinanziare il sistema bancario. La Federal Reserve americana, la Banca centrale americana e anche la Banca Nazionale Svizzera continuano a finanziare il sistema bancario dando soldi buoni in cambio di titoli di dubbio valore. Insomma, è tuttora in corso un’enorme operazione di salvataggio del sistema bancario con l’obiettivo di evitare una crisi sistemica ed una profonda recessione.
Questa crisi e la sua gestione rimettono in discussione i principi del liberismo. Il primo è che i principali fautori del liberismo, ossia le grandi banche, non sono sottoposti al principio del fallimento e sono consapevoli che possono assumersi forti rischi, poiché lo Stato le salverà per evitare una crisi sistemica. È il noto azzardo morale (o moral hazard) che fa sì che lo Stato debba intervenire per organizzare il salvataggio di un Hedge Fund, come Long Term Capital Management nel 1998, o oggi per salvare gli istituti bancari che «soffrono i postumi di una sbornia dovuta anche alla moltiplicazione di fantasiosi strumenti finanziari da loro stessi creati», come ha detto il presidente Bush.
Il secondo principio è che i mercati finanziari sono efficienti e quindi in grado di far confluire il risparmio verso gli investimenti con le prospettive migliori e siano quindi lo strumento migliore per innalzare la crescita e dunque la prosperità di un paese. Questo principio è stato messo in crisi paradossalmente dalla nuova ingegneria finanziaria. La cartolarizzazione ha infatti rotto il rapporto tra chi concede il credito (la banca) e chi si assume il rischio che il credito non venga onorato (il detentore del titolo). Inoltre la fantasia della nuova finanza ha fatto sì che non si investa più solo su azioni o obbligazioni, ma si facciano scommesse sull’andamento di un mercato e additrittura scommesse sulle scommesse. A queste viene data credibilità anche se sono spesso chiaramente insostenibili, come le assicurazioni sull’insolvenza dei titoli obbligazionari. Questa serie di giochi ha già mandato in fumo centinaia di miliardi di dollari e diventa sempre più chiaro che sta facendo precipitare in una severa recessione sia l’economia americana sia quella europea.
La sempre più diffusa consapevolezza della gravità dell’attuale crisi finanziaria sta spingendo le autorità politiche ad adottare misure d’urgenza. Ad esempio, oggi il Congresso americano dovrebbe approvare definitivamente lo «Stop Excessive Energy Speculation Act» (la legge per fermare l’eccessiva speculazione sui prodotti energetici), che mira a colpire una speculazione finanziaria che ha contribuito a portare il prezzo del petrolio a sfiorare i 150 dollari il barile. Il timore del varo di questa legge, approvata in prima istanza all’unanimità dal Senato americano (94-0), è probabilmente la causa prima dell’attuale discesa al di sotto dei 125 dollari il barile del prezzo del greggio.
Questi atti segnano la fine dell’era liberista, ma a differenza della fine degli anni Settanta non sono sufficienti per intuire quali potrebbero essere le linee guida che si imporrano nei prossimi anni. È comunque già prevedibile che vi saranno nuove regole per il sistema bancario che provocheranno un forte ridimensionamento della nuova ingegneria finanziaria. E l’arresto del processo di finanziarizzazione dell’economia costituirebbe già un enorme progresso. Ad esso occorrerebbe però aggiungere, come sostiene il ministro dell’economia italiano Giulio Tremonti, una nuova Bretton Woods per ridefinire le regole economiche, monetarie e finanziarie a livello mondiale, per poter uscire in modo duraturo da questa crisi provocata dagli eccessi del mondo finanziario.
24/07/2008 21:16