Tuor - Il ritorno del termine recessione

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Il ritorno del termine recessione
Alfonso Tuor

La Banca centrale europea (Bce) ha deciso ieri di lasciare invariati i tassi di interesse, nonostante anche in Eurolandia comincino a moltiplicarsi i segnali di rallentamento della crescita economica. La scelta della Bce era data per scontata, non altrettanto lo era l’analoga scelta della Banca d’Inghilterra di non diminuire i tassi, che restano dunque fermi al 5,5%. Molti ritenevano che le autorità monetarie inglesi, seguendo anche le esortazioni del governo, avrebbero cominciato a ridurre il costo del denaro, nonostante il forte deprezzamento della sterlina, a causa del chiaro e forte rallentamento dell’economia britannica.
Se le autorità monetarie europee preferiscono per il momento non ritoccare il livello del costo del denaro, non altrettanto farà la Federal Reserve. Si prevede che la banca centrale americana, che ha già ridotto i tassi dal 5,25% all’attuale 4,25%, li taglierà ancora di mezzo punto nella riunione di fine mese. Ma la manovra non si fermerà a quel punto. Ad esempio, gli economisti della banca di investimento Goldman Sachs ritengono che i tassi americani verrano portati al 2,5%, poiché sostengono che l’economia statunitense cadrà in recessione nei prossimi mesi, se già non lo è. Previsioni analoghe sono state formulate dagli economisti di Merrill Lynch. Insomma, la parola recessione è ritornata al centro del dibattito economico. Ci si può dunque domandare se sarà veramente recessione e di che tipo. In secondo luogo, se l’Europa riuscirà a cavarsela solo con un rallentamento della crescita.
Gli ultimi dati sul mercato del lavoro e gli indici precursori riguardanti il settore manufatturiero indicano chiaramente che la crescita americana sta già subendo un forte rallentamento, che potrebbe sfociare in una recessione. Se a questi dati si aggiunge la grave crisi del mercato immobiliare, le incertezze sulle prospettive dell’economia americana diminuiscono sensibilmente. Ed è quanto puntualmente registra il mercato dei capitali, dove i rendimenti dei titoli a due anni sono scesi al 2,63%, dando sostanza alle previsioni di Goldman Sachs di ulteriori e forti ribassi dei tassi americani.
Se su questo punto le previsioni cominciano a convergere, invece divergono ancora sull’entità e soprattutto sulla durata della crisi. Secondo le tesi ora predominanti, la contrazione si prolungherà per due o al massimo tre trimestri e poi l’economia americana si riprenderà grazie all’effetto congiunto del forte ribasso del costo del denaro e del forte aumento delle esportazioni favorito, da un canto, dal deprezzamento del dollaro e, dall’altro, dalla capacità dell’economia europea e soprattutto di quelle dei paesi emergenti di continuare a crescere nonostante le difficoltà statunitensi. Questo scenario rischia di rivelarsi errato per svariati motivi. Inanzitutto, la recessione o il forte rallentamento statunitense si combina con la caduta dei prezzi degli immobili a livello nazionale (la prima dalla Grande Crisi degli anni Trenta) e con una forte crisi del sistema bancario. La storia dimostra che la crisi del mercato immobiliare rende più pesante e soprattutto più lunga la fase di contrazione del ciclo economico. In proposito basta ricordare quanto avvenne in Svizzera all’inizio degli anni Novanta. D’altro canto, la crisi del sistema bancario ostruisce o rende meno efficiente il canale (lo stesso sistema bancario) attraverso il quale imprese e famiglie sentono il sollievo del ribasso del costo del denaro deciso dalle autorità monetarie. Infatti sono le banche, attraverso la disponibilità a concedere prestiti a tassi di interesse più bassi, che trasmettono all’economia gli impulsi della politica monetaria. Ma c’è di più: per uno dei settori maggiormente sensibili al livello del costo del denaro, ossia quello immobiliare e dell’edilizia, il ribasso del costo del denaro potrà solo rallentare o arrestare la caduta dei prezzi e dell’attività, ma non certo fornire spinta per la ripresa. Dunque la crisi americana potrà essere anche leggera in termini di contrazione della crescita, ma è probabile che sia lunga, ossia che condanni l’economia statunitense ad un prolungato periodo di crescita insoddisfacente.
Al di qua dell’Atlantico, le possibilità che l’Europa resti immune dalle difficoltà americane appaiono scarse. Già oggi il mercato immobiliare spagnolo sembra seguire le orme di quello americano così come l’attività economica della Spagna, che è la quarta economia di Eurolandia. In Irlanda sta accadendo qualcosa di analogo, mentre cominciano a manifestarsi segnali di difficoltà anche in Italia e in Francia. Anche i dati economici europei segnalano un rallentamento della crescita e soprattutto un calo della fiducia sia delle imprese sia dei consumatori. Quindi, dato che l’economia europea è destinata a risentire anche degli effetti di un euro forte e di tassi di interesse che la Banca centrale europea non ha per il momento intenzione di abbassare, è probabile che subisca almeno un forte rallentamento. Diverso è invece lo scenario dei paesi emergenti, che possono espandere ancora, e di molto, i consumi interni per compensare l’eventuale contrazione delle loro esportazioni.
La crisi dei mutui subprime ha già intaccato l’economia reale. Ora la recessione o il forte rallentamento dell’economia americana è destinata ad acuire ulteriormente la crisi bancaria. Proprio per questi motivi si aprono scenari nuovi (anche dal profilo strettamente politico) e soprattutto diversi rispetto alle fasi di contrazione economica che si sono succedute in questo dopoguerra.

[paesi emergenti, che possono espandere ancora, e di molto, i consumi interni per compensare l’eventuale contrazione delle loro esportazioni.
Su questo ho qualche dubbio]
 

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