Tuor - L’inflazione complica la crisi

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Forumer storico
Riunione del G8
L’inflazione complica la crisi
Alfonso Tuor

Raramente i ministri dell’economia e i governatori delle banche centrali, che si incontrano questa fine settimana in Giappone, si sono trovati a dover fare i conti con una realtà economica così intricata come quella attuale. Tutto appare opaco. Infatti, da un canto, permangono grandi paure sull’evoluzione della crisi del sistema bancario e sulle sue conseguenze sulla crescita economica, dall’altro, vi è il timore che sfugga di mano l’inflazione, determinata principalmente dall’impennata dei prezzi del petrolio e delle materie prime. Non è chiaro se le politiche economiche debbano oggi mirare principalmente a frenare la dinamica dei prezzi o debbano invece tendere a contrastare la frenata della crescita.
Come se ciò non bastasse, c’è l’incognita dollaro: gli americani dicono che non deve più indebolirsi, ma rischia di perdere ulteriormente terreno se, come promesso da Trichet, la Banca centrale europea deciderà nella prossima riunione di luglio di aumentare di un quarto di punto i tassi di interesse di Eurolandia. Per cercare di trovare il bandolo della matassa può essere utile ricostruire la convulsa successione degli avvenimenti degli ultimi mesi.
Nell’agosto dell’anno scorso scoppia l’enorme bolla del credito e viene alla luce la più grave crisi del sistema bancario dai tempi della Grande Depressione degli anni Trenta. Questa crisi, che a torto viene comunemente definita dei mutui subprime, costringe autorità politiche e monetarie ad adottare provvedimenti straordinari per evitare una crisi dell’intero sistema e negli Stati Uniti anche per scongiurare una pesante recessione. Tra queste misure vi sono continue iniezioni di miliardi e miliardi di liquidità (l’ultima in ordine di tempo è stata effettuata la settimana scorsa dalla Bce), l’intervento di enti statali americani che comprano miliardi di titoli con cui erano state finanziate le ipoteche, il salvataggio statale della banca di investimento americana Bear & Stearns, in Gran Bretagna la creazione di un fondo statale di 100 miliardi di dollari per finanziare il sistema bancario inglese, negli Stati Uniti la riduzione al 2% del costo del denaro, più un pacchetto di ristorni fiscali per sostenere il reddito delle famiglie scosse dal crollo dei prezzi immobiliari. Gli effetti di questo complesso di provvedimenti cominciano ad essere chiari.
Per quanto riguarda le banche, è stata scongiurata una crisi sistemica, ma non si è risolto il problema. Le grandi banche continuano a tenere nascoste nelle pieghe dei loro bilanci centinaia di miliardi di dollari di perdite che speravano di ammortizzare nel tempo grazie anche a forti aumenti di capitale. I tentativi di ricapitalizzazione delle ultime settimane hanno dimostrato che il mercato non è disposto, o è disposto solo a prezzi stracciati, a dare fiducia ai banchieri. Un atteggiamento totalmente comprensibile visto che le banche non hanno fiducia l’una dell’altra, come dimostra il fatto che i tassi sul mercato interbancario rimangono molto elevati.
Si è dunque guadagnato tempo, ma non si è risolta la crisi del sistema bancario, che potrebbe di nuovo raggiungere il livello di guardia per la crisi di un istituto (tutti gli occhi sono puntati su Lehman Brothers) oppure per il fallimento di un aumento di capitale.
Per quanto riguarda l’economia reale la politica monetaria fortemente espansiva della banca centrale statunitense ha provocato un forte indebolimento del dollaro. La svalutazione del biglietto verde e la speculazione hanno contribuito a far volare i prezzi di petrolio e materie prime. Questi aumenti hanno a loro volta spinto al rialzo i prezzi dei beni di consumo e soprattutto hanno fatto crescere le aspettative inflazionistiche e, quindi, fatto aumentare i tassi di interesse. Ciò sta spingendo le autorità monetarie a cambiare rotta. La Banca centrale europea ha preannunciato che aumenterà i tassi in luglio, mentre la Federal Reserve ha lasciato intendere che potrebbe cominciare ad aumentarli entro la fine dell’anno. D’altro canto, il ribasso dei tassi negli Stati Uniti non ha per il momento arrestato la caduta dei prezzi delle case, ma ha reso meno brusca la frenata della crescita dell’economia americana.
Dunque, oggi abbiamo, da un canto, un sensibile rallentamento della crescita sia negli Stati Uniti sia in Europa e un preoccupante aumento dell’inflazione trainato da petrolio e materie prime. Siamo in una situazione simile a quella degli anni Settanta quando l’economia soffrì al contempo gli effetti negativi della stagnazione economica e dell’aumento dei prezzi dei beni di consumo.
Politica monetaria più restrittiva e rialzo dei tassi di interesse: questo sarà molto probabilmente il contesto economico dei prossimi mesi. Non è tuttavia escluso che questo quadro cambi radicalmente entro il prossimo autunno. Appare infatti difficile immaginare l’economia americana e le economie di molti paesi europei come un sistema bancario in precarie condizioni di salute siano in grado di sopportare l’aumento del costo del denaro. E’ quindi probabile che già in autunno vi sarà uno scenario economico completamente diverso rispetto a quello che si intravvede oggi. In attesa dell’autunno si tratta ora di capire cosa uscirà dalla riunione del G8 di questa fine settimana.
 

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