Tuor - Ma non è la fine del mondo

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Forumer storico
Negoziati WTO
Ma non è la fine del mondo
Alfonso Tuor

A 7 anni dal loro lancio e dopo 9 giorni di intense trattative sono falliti i negoziati del Doha Round tesi a segnare un’ulteriore liberalizzazione del commercio mondiale. Come ha dichiarato il Governo francese: «Non è assolutamente la fine del mondo». Infatti non vi sarà alcuna conseguenza negativa per l’economia mondiale. Anzi, per gli agricoltori svizzeri e per quelli europei il fallimento è motivo di giubilo, poiché allontana l’incubo di drastici tagli dei sussidi all’agricoltura. Paradossalmente, le speranze di successo dei negoziati erano cresciute proprio grazie al forte aumento dei prezzi dei prodotti agricoli che aveva permesso a Stati Uniti e ad Unione Europea di giungere a Ginevra con proposte di sostanziosi tagli degli aiuti all’agricoltura. Ma ciò non è bastato. Il pretesto del fallimento dei negoziati è stato lo scontro tra Cina ed India, da una parte, e Stati Uniti, dall’altra, sulle clausole di salvaguardia da far scattare contro un aumento eccessivo delle importazioni di prodotti agricoli.
In realtà, i negoziati sono falliti essenzialmente per due motivi. Il primo è il cambiamento dei rapporti di forza a livello mondiale. Storicamente i negoziati condotti nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) erano sempre stati determinati dal confronto tra Europa e Stati Uniti. Ora invece a decidere il fallimento sono stati Nuova Delhi e Pechino, a testimonianza del loro peso crescente negli equilibri mondiali. Cina e India non si sono solo contrapposte agli Stati Uniti, ma si sono distanziate anche dai grandi paesi esportatori di derrate agricole (come Brasile e Argentina) mandando dunque in crisi il G-20, di cui anche loro facevano parte. Quindi, come era già accaduto al vertice dei G-8 in terra giapponese sulla questione dei cambiamenti climatici, nulla si può fare a livello mondiale se non si trova un accordo con i due giganti asiatici.
Il secondo motivo del fallimento è la grave crisi finanziaria ed economica che attanaglia le economie occidentali. Questa crisi, da un canto, riduce di molto li peso politico degli Stati Uniti, dall’altro mette in evidenza l’inadeguatezza delle regole che governano attualmente il sistema finanziario e monetario internazionale. Le priorità sono ben altre: la totale crisi della cosiddetta nuova finanza globale e le vistose falle di un sistema finanziario fondato su un dollaro espressione di un Paese in crisi e sempre più indebitato.
Finché non si risolvono queste vere e proprie emergenze, anche un successo dei negoziati di Ginevra non avrebbe un grande ruolo. Le principali minacce al commercio internazionale vengono dagli squilibri finanziari e monetari. E’ infatti sempre più diffusa la convizione che occorra una nuova Bretton Woods. I negoziati di Ginevra sono almeno serviti per chiarire che senza l’accordo di Cina ed India non si riuscirà a stabilire le nuove regole del gioco a livello internazionale.

30/07/2008 23:29

(Io sono contentissima che sia fallito)
 
Il Wto fallisce ancora, Usa e Ue non bastano
Ginevra, disfatta al negoziato mondiale sui commerci
ANTONIO TRICARICO

Ancora una volta i negoziati a Ginevra all'Organizzazione mondiale del commercio sono falliti. Dopo Seattle nel 1999, Cancun nel 2003, Ginevra nel 2004 e poi nel 2006, questa passerà alla storia come l'ultima volta. Dopo una maratona di nove giorni tutti i nodi sono venuti al pettine, ma è il nuovo clima politico ed economico globale che ha cambiato radicalmente le dinamiche negoziali, senza possibilità di ritorno al passato.
A Cancun furono i paesi africani a trovare il coraggio di lasciare la stanza «verde» dei negoziati ristretti e segreti per dire no a un accordo capestro. A cinque anni di distanza, Susan Schwab, negoziatore al commercio Usa ha dovuto anticipare tutti gli altri e correre in sala stampa per iniziare il solito gioco delle accuse reciproche. Sul banco degli imputati Cina, India e Indonesia, colpevoli secondo gli Stati Uniti di non aver accettato le nuove proposte messe sul tavolo - che di nuovo avevano ben poco rispetto alla solita minestra riscaldata e preparata ad arte da Stati Uniti ed Unione Europea.
Ma tutta la settimana ginevrina è stata segnata da nuove dinamiche politiche che hanno rivoluzionato qualsiasi modalità futura di raggiungere accordi alla Wto e in nuove sedi. Da subito è emerso un nuovo G7 informale, composto da Usa, Ue, Giappone, Cina, India, Brasile e Australia. Questi paesi si sono messi a negoziare a muso duro lasciando fuori dalla stanza il resto dei quasi 150 paesi membri della Wto, e senza non poche irritazioni. La partita è stata giocata a tutto campo e per la prima volta anche la Cina è salita in cattedra e ha giocato la sua partita. La manfrina «dello sviluppo» creata ad arte per abbindolare i paesi più poveri è subito scomparsa e lo scontro è stato tra chi ha diritto a quali mercati. La quadratura politica del cerchio era impossibile da raggiungere, dimostrando che il libero commercio globale non è un gioco a somma zero, ma le perdite e le vittorie sono enormi e non eque per tutti. A differenza della Conferenza di Marakkesh del 1994 che ha chiuso l'Uruguay Round creando la Wto, il mondo è cambiato.
Venerdì scorso Usa ed Ue hanno giocato la solita carta del prendere o lasciare, gestita ad arte dall'astuto Pascal Lamy, che con questa spinta finale nei negoziati si giocava tutta la sua carriera futura e la credibilità di negoziatore liberista d'assalto. In prima battuta gli altri invitati alla mensa dei grandi hanno accettato la base negoziale, ma poi i dubbi hanno preso il sopravvento sulla spinta delle organizzazioni contadine in India che hanno dato subito un aut aut al nuovo governo appena insediatosi. A nulla sono servite le chiamate ripetute di Bush in persona al primo ministro Singh. Ancora una volta la questione agricola ha diviso senza possibilità di compromesso. La netta opposizione dei paesi più poveri capeggiata dall'Indonesia ha fatto il resto.
Sul fronte europeo, l'ultra-liberista commissario europeo Mandelson ha cercato in tutti i modi di svendere il mercato agricolo europeo pur di ottenere almeno un risultato negoziale di rilievo nei suoi cinque anni a Bruxelles. Francia, Italia ed Irlanda hanno capeggiato la rivolta contro l'inglese seguiti da altri dieci paesi europei. Mai si è osato tanto nei confronti della Commissione Europea, isolata sempre più nella sua follia liberista a fine corsa, che segna una crisi senza precedenti dell'Unione.
Ora non basterà all'asse Atlantico il gettare fango su India e Cina. La loro richiesta di avere un degno meccanismo di salvaguardia dell'agricoltura nazionale in caso di circostanza eccezionali era più che giustificata. E anche un paese come l'Italia ne beneficerebbe in una fase storica di cambiamenti climatici e sfide sempre più dure per l'agricoltura nostrana. Allo stesso tempo è illusorio pensare che a paesi emergenti e in fase di forte industrializzazione si chieda di aprire interi settori che trainano l'economia in cambio di qualche concessione in agricoltura e nei propri mercati industriali.
Per salvare la faccia Lamy ed altri negoziatori si apprestano a dire che è un grave fallimento, ma non la fine del round negoziale lanciato a Doha nel 2001 nel clima politico a senso unico del post-11 settembre. Ci sarà probabilmente un altro aggiornamento tecnico dopo l'estate, ma oramai la fine del Doha round così come impostato è stata decretata. È banale nasconderselo ancora.
Non bastano le bugie infondate su quanto il successo di nuove liberalizzazioni aiuterebbe l'economia mondiale in rallentamento - le serie storiche negano palesemente ciò - e su come queste nuove aperture dei mercati sarebbero la soluzione all'attuale crisi alimentare - dopo che l'hanno incoraggiata. Il nuovo inquilino alla Casa Bianca dovrà oramai accettare che gli Usa non possono più comportarsi da unica super-potenza quando si parla di commercio, finanza ed economia globale. A quel punto la base di partenza del Doha round dovrà necessariamente cambiare, e la sfida per gli esclusi dal tavolo dei nuovi e vecchi potenti sarà quella di proporre nuove regole commerciali non liberiste. Ieri sul lago di Ginevra è avvenuto il giro di boa verso un nuovo ordine economico internazionale, ma nella bolina di ritorno inizia la battaglia vera delle alternative al liberismo.
A fine novembre 2008 si terrà proprio a Doha l'aggiornamento della Conferenza Onu Finanza per lo Sviluppo. Il primo banco di prova per discutere vecchie e nuove regole.
 

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