Tuor - Piazza finanziaria, quale futuro?

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Piazza finanziaria, quale futuro?
In Ticino segnali incoraggianti nonostante le incertezze
28 gen 2010
di ALFONSO TUOR -

Nelle ultime settimane, complici lo scudo fiscale di Tremonti e gli attacchi internazionali al segreto bancario, si è parlato in lungo e in largo della piazza finanziaria ticinese. Si sono giustamente sentite voci preoccupate per le conseguenze della sanatoria fiscale italiana sulla massa dei capitali gestiti, sulla redditività degli istituti operanti in Ticino e sui livelli occupazionali. Questi timori, ingigantiti dalle incertezze sul futuro del segreto bancario, hanno indotto alcuni a preconizzare un futuro cantonale non più dipendente dal settore finanziario e ad ipotizzare un Ticino fondato sul turismo e/o sullo sfruttamento dei centri universitari recentemente creati e sullo sviluppo del suo settore industriale, che è già di dimensioni significative.
Se indubbiamente è sempre un esercizio utile interrogarsi sulle prospettive della nostra realtà economica, appare invece piuttosto frettoloso e soprattutto discutibile, da un canto, intonare il «de profundis» della piazza finanziaria ticinese e, dall’altro, pensare che altri settori possano fornire l’occupazione e soprattutto produrre i redditi che oggi creano le banche e le numerose attività che attorno ad esse ruotano. Appare dunque utile cominciare ad approfondire questi argomenti.
Innanzitutto, come abbiamo già scritto, c’è ancora vita dopo lo scudo fiscale di Giulio Tremonti. Se non vi è dubbio che la sanatoria ha comportato il deflusso di una quota non insignificante di capitali gestiti, non vi è nemmeno dubbio che molti clienti hanno deciso di restare in Ticino e di continuare ad affidarsi alla gestione degli istituti che operano nel Cantone. Il Ticino dovrebbe dunque considerare lo scudo un colpo di frusta per riflettere sul modo di operare della piazza e per valutare i necessari correttivi. Non sembra che ciò stia avvenendo come invece sarebbe opportuno. Coloro che dovrebbero essere i principali attori di questa riflessione, ossia molti alti funzionari bancari e la stessa Associazione Bancaria Ticinese paiono concentrati nel diffondere la tesi secondo cui il pericolo è stato sventato e tutto è destinato a riprendere a funzionare come prima. L’intento di rassicurare il Paese è comprensibile; non si può inoltre escludere che abbiano ragione, ma questo atteggiamento preclude la possibilità di usare lo scudo come stimolo per un ripensamento delle attività della piazza e soprattutto del modo in cui spesso negli ultimi tempi si sono stravolte le caratteristiche tradizionali della gestione patrimoniale elvetica, sostituendo la priorità del rapporto e del servizio alla clientela con quella della redditività dell’istituto. In proposito, non è casuale che lo scudo abbia raccolto maggiori adesioni proprio tra i clienti con depositi di piccole dimensioni, che più hanno avvertito questo cambiamento del modo di fare Private Banking.
La scarsa propensione della piazza ticinese a riflettere su se stessa ha radici storiche. Essa ha beneficiato nel secondo dopoguerra, almeno fino all’inizio di questo secolo, di una situazione di mercato eccezionalmente favorevole. La paura del comunismo, l’alta pressione fiscale e dagli anni Settanta l’inflazione e le continue svalutazioni della lira italiana, hanno fatto sì che il Ticino diventasse la meta preferita dei risparmiatori e degli investitori della vicina Repubblica. L’afflusso dei capitali è stato talmente impressionante, che non è stato nemmeno scoraggiato negli anni in cui la Svizzera impose tassi di interesse negativi sui capitali stranieri. Dunque, il Ticino, grazie alle sue capacità e conoscenze, ha beneficiato di una posizione di rendita determinata dalle debolezze politiche ed economiche dell’Italia, dalla lingua comune e dalla propria posizione geografica. Condizioni così favorevoli e per di più prolungate nel tempo avrebbero dovuto favorire la creazione e/o lo sviluppo di istituti ticinesi. Ci si sarebbe potuti aspettare, ad esempio, di vedere consolidata una rete di banche private, simili a quelle ginevrine. Ciò non è accaduto. Anzi, il panorama della piazza finanziaria ticinese non appare molto più ricco di realtà autoctone rispetto ad alcuni decenni orsono. Talune realtà, in precedenza in parte o in toto ticinesi, come la Banca della Svizzera Italiana, sono ora in mani straniere; altre, come la Vallugano, non esistono più. La conseguenza è che la piazza finanziaria è dominata dalle due grandi banche svizzere, cui si è aggiunta ultimamente la Julius Bär, da alcune banche in mano straniere, come la BSI, e da una varietà di istituti di piccole dimensioni, spesso creati da facoltose famiglie italiane. Persino la Banca dello Stato negli scorsi decenni non ha sviluppato l’attività di gestione patrimoniale, come avrebbe dovuto e potuto, anche a causa delle pressioni politiche esercitate dalla concorrenza. L’assenza di poteri decisionali forti in Ticino è un fattore di debolezza sia della piazza finanziaria sia dei rapporti tra il Cantone e la Confederazione. Senza entrare nel merito delle tristi vicende che in alcuni casi hanno contribuito a questo risultato, occorre ricordare che le grandi banche hanno via via trasferito molte attività a Zurigo o a Londra e hanno svuotato la piazza di considerevoli e preziose competenze professionali, quelle stesse che nel dopoguerra avevano permesso di cogliere le opportunità derivanti dalla posizione geografica. Quindi oggi il Ticino non dispone di importanti centri decisionali in campo bancario, sebbene si stimi che la piazza continui a gestire tra i 300 e i 400 miliardi di franchi, che costituiscono una dote di tutto rispetto su cui costruire il futuro. Il risultato è ovvio: la capacità di reazione della piazza finanziaria ticinese è condizionata dalla sua storia. Ma vi sono segnali incoraggianti: nonostante le incertezze riguardanti il segreto bancario e nonostante questi limiti oggettivi, si scorge, soprattutto nelle realtà di piccole dimensioni, una voglia di cimentarsi in nuove avventure che induce a ritenere che sia veramente prematuro considerare il contributo della piazza finanziaria all’economia cantonale prossimo all’esaurimento.
 

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