Sharnin 2
Forumer storico
Protezionismo frutto amaro della crisi
Alfonso Tuor
Nonostante le continue dichiarazioni di fedeltà ai principi del libero commercio internazionale da parte di capi di Stato e di Governo, il grande totem della globalizzazione sta spaventosamente scricchiolando sotto i colpi di questa crisi in cui ogni Paese sta investendo miliardi e miliardi per salvare la propria economia e il proprio sistema bancario. La manifestazione più spettacolare dell’incrinarsi di questo mito è in corso in Gran Bretagna. Al motto «Lavoro inglese agli inglesi» si stanno susseguendo in tutto il Paese scioperi spontanei contro i lavoratori italiani della Irem di Siracusa impegnati nella raffineria Total di Lindsey nel Lincolnshire. La vicenda è diventata addirittura un caso nazionale che sta mettendo in difficoltà lo stesso primo ministro Gordon Brown, che alcuni anni or sono aveva coniato lo slogan.
Ma i colpi più micidiali alle regole sancite nei trattati dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) sono inferti dagli stessi Governi. Ad esempio, il Governo francese ha concesso aiuti alle due società automobilistiche transalpine, a condizione che vengano preservati i posti di lavoro nel Paese. Sussidi statali all’industria dell’automobile sono stati concessi anche da altri Paesi (Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna). Ora, come tutti sanno, le regole del WTO vietano i sussidi statali, considerati giustamente come una forma di distorsione della concorrenza.
Ma il colpo più severo inferto alla globalizzazione è rappresentato dai pacchetti di aiuti alle banche, che sono destinati a tradursi in una specie di nuovo «protezionismo finanziario» con conseguenze estremamente negative per i Paesi in via di sviluppo. I Governi dei Paesi occidentali, che stanno investendo miliardi e miliardi per salvare un sistema bancario in realtà già fallito, stanno legando questi aiuti alla ripresa della concessione dei crediti a famiglie ed imprese. Questa politica vuol dire una forte contrazione dei crediti concessi dalle grandi banche all’estero. Il fenomeno è diventato preoccupante nei Paesi dell’Europa dell’Est, dove le grandi banche europee, che costituiscono la struttura portante del sistema bancario dei Paesi ex comunisti, assicuravano circa la metà della domanda di capitali della regione tramite la concessione di crediti. Ora questi Paesi stanno sperimentando una violenta restrizione del credito che si aggiunge al pressoché totale prosciugamento dell’afflusso di capitali dall’estero per acquisire o costruire nuove società nella regione. Questa realtà è diventata addirittura di plateale evidenza con il pacchetto di aiuti del Governo greco che ha imposto alle banche elleniche di non usare i soldi dei contribuenti per concedere crediti in Romania, Bulgaria e Serbia. La situazione di alcuni Paesi dell’Est (in particolare Polonia ed Ungheria) è addirittura drammatica, poiché molte famiglie e anche qualche impresa si sono indebitate in valute estere, e soprattutto in franchi svizzeri, per pagare tassi di interesse inferiori. Ora la svalutazione dello zloty polacco e del fiorino ungherese ha trasformato questa «speculazione» in un disastro e ha spinto la nostra Banca Nazionale a concedere dei prestiti Swap alle banche centrali di Polonia ed Ungheria. L’esperienza dei Paesi dell’Est è interessante, poiché i teorici del libero mercato hanno sempre sostenuto che la nazionalità di una banca o di un’industria non ha alcuna importanza. Ora questi Paesi, che hanno un loro sistema bancario forte, stanno scoprendo a loro spese i costi della dipendenza dall’estero.
La vittima eccellente della crisi è comunque lo stesso commercio internazionale che si sta contraendo rapidamente non solo a causa della recessione, ma soprattutto perché è sempre più difficile ottenere le garanzie bancarie per gli scambi commerciali. Questo fenomeno colpisce soprattutto i Paesi più poveri e quelli più in difficoltà. Anche attraverso questo canale la crisi iniziata con il crollo dei mutui ipotecari americani subprime sta investendo pure le regioni più sperdute del mondo.
Ma vi è anche un altro canale di trasmissione molto importante, che è rappresentato dagli Investimenti diretti esteri (FDI) nei Paesi emergenti. Quest’anno si stima che essi non supereranno i 150 miliardi di dollari, ossia un quinto della somma del 2007. Molto probabilmente questa cifra non verrà nemmeno lontanamente raggiunta, poiché spesso questi investimenti vengono realizzati grazie a linee di credito concesse dalle grandi banche internazionali. La crisi spinge ora queste banche a non concedere nuovi prestiti. Addirittura, come emerge da alcuni casi riportati dalla stampa, le banche chiudono le linee di credito e chiedono la restituzione dei prestiti concessi. Questo fenomeno è tra l’altro all’origine dell’attuale forza del dollaro americano. Molti prevedono però che il valore del biglietto verde ruzzolerà pesantemente non appena finirà il rimpatrio dei soldi investiti o dati in prestito all’estero.
Sta di fatto che, dagli operai inglesi che chiedono di proteggere il lavoro inglese agli Stati che aiutano le loro case automobilistiche e cercano di salvare i loro sistemi bancari, giungono segnali inequivocabili che il sistema degli scambi commerciali internazionali basato sulle regole del WTO sarà una delle vittime eccellenti della crisi.
Questa prospettiva potrebbe essere scongiurata solo se i Governi delle grandi potenze economiche del mondo avessero una qualche idea credibile di come riuscire a portare l’economia mondiale fuori da questo marasma. Ma, come ogni persona può quotidianamente verificare, si continua a procedere a tentoni, poiché nessuno ha un progetto credibile. Basti pensare che l’amministrazione Obama sta studiando un pacchetto da 4.000 miliardi di dollari per salvare il sistema bancario americano. Fino a quando i Governi non avranno il coraggio politico di prendere ufficialmente atto del fallimento del sistema bancario e della necessità di una sua ricostruzione si continueranno a sprecare somme imponenti con la certezza non solo di rendere sempre più ardua l’uscita da questa crisi, ma anche con la sicurezza che una delle vittime della crisi della finanza globale sarà il commercio internazionale.
03.02.09 07:35:12
Alfonso Tuor
Nonostante le continue dichiarazioni di fedeltà ai principi del libero commercio internazionale da parte di capi di Stato e di Governo, il grande totem della globalizzazione sta spaventosamente scricchiolando sotto i colpi di questa crisi in cui ogni Paese sta investendo miliardi e miliardi per salvare la propria economia e il proprio sistema bancario. La manifestazione più spettacolare dell’incrinarsi di questo mito è in corso in Gran Bretagna. Al motto «Lavoro inglese agli inglesi» si stanno susseguendo in tutto il Paese scioperi spontanei contro i lavoratori italiani della Irem di Siracusa impegnati nella raffineria Total di Lindsey nel Lincolnshire. La vicenda è diventata addirittura un caso nazionale che sta mettendo in difficoltà lo stesso primo ministro Gordon Brown, che alcuni anni or sono aveva coniato lo slogan.
Ma i colpi più micidiali alle regole sancite nei trattati dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) sono inferti dagli stessi Governi. Ad esempio, il Governo francese ha concesso aiuti alle due società automobilistiche transalpine, a condizione che vengano preservati i posti di lavoro nel Paese. Sussidi statali all’industria dell’automobile sono stati concessi anche da altri Paesi (Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna). Ora, come tutti sanno, le regole del WTO vietano i sussidi statali, considerati giustamente come una forma di distorsione della concorrenza.
Ma il colpo più severo inferto alla globalizzazione è rappresentato dai pacchetti di aiuti alle banche, che sono destinati a tradursi in una specie di nuovo «protezionismo finanziario» con conseguenze estremamente negative per i Paesi in via di sviluppo. I Governi dei Paesi occidentali, che stanno investendo miliardi e miliardi per salvare un sistema bancario in realtà già fallito, stanno legando questi aiuti alla ripresa della concessione dei crediti a famiglie ed imprese. Questa politica vuol dire una forte contrazione dei crediti concessi dalle grandi banche all’estero. Il fenomeno è diventato preoccupante nei Paesi dell’Europa dell’Est, dove le grandi banche europee, che costituiscono la struttura portante del sistema bancario dei Paesi ex comunisti, assicuravano circa la metà della domanda di capitali della regione tramite la concessione di crediti. Ora questi Paesi stanno sperimentando una violenta restrizione del credito che si aggiunge al pressoché totale prosciugamento dell’afflusso di capitali dall’estero per acquisire o costruire nuove società nella regione. Questa realtà è diventata addirittura di plateale evidenza con il pacchetto di aiuti del Governo greco che ha imposto alle banche elleniche di non usare i soldi dei contribuenti per concedere crediti in Romania, Bulgaria e Serbia. La situazione di alcuni Paesi dell’Est (in particolare Polonia ed Ungheria) è addirittura drammatica, poiché molte famiglie e anche qualche impresa si sono indebitate in valute estere, e soprattutto in franchi svizzeri, per pagare tassi di interesse inferiori. Ora la svalutazione dello zloty polacco e del fiorino ungherese ha trasformato questa «speculazione» in un disastro e ha spinto la nostra Banca Nazionale a concedere dei prestiti Swap alle banche centrali di Polonia ed Ungheria. L’esperienza dei Paesi dell’Est è interessante, poiché i teorici del libero mercato hanno sempre sostenuto che la nazionalità di una banca o di un’industria non ha alcuna importanza. Ora questi Paesi, che hanno un loro sistema bancario forte, stanno scoprendo a loro spese i costi della dipendenza dall’estero.
La vittima eccellente della crisi è comunque lo stesso commercio internazionale che si sta contraendo rapidamente non solo a causa della recessione, ma soprattutto perché è sempre più difficile ottenere le garanzie bancarie per gli scambi commerciali. Questo fenomeno colpisce soprattutto i Paesi più poveri e quelli più in difficoltà. Anche attraverso questo canale la crisi iniziata con il crollo dei mutui ipotecari americani subprime sta investendo pure le regioni più sperdute del mondo.
Ma vi è anche un altro canale di trasmissione molto importante, che è rappresentato dagli Investimenti diretti esteri (FDI) nei Paesi emergenti. Quest’anno si stima che essi non supereranno i 150 miliardi di dollari, ossia un quinto della somma del 2007. Molto probabilmente questa cifra non verrà nemmeno lontanamente raggiunta, poiché spesso questi investimenti vengono realizzati grazie a linee di credito concesse dalle grandi banche internazionali. La crisi spinge ora queste banche a non concedere nuovi prestiti. Addirittura, come emerge da alcuni casi riportati dalla stampa, le banche chiudono le linee di credito e chiedono la restituzione dei prestiti concessi. Questo fenomeno è tra l’altro all’origine dell’attuale forza del dollaro americano. Molti prevedono però che il valore del biglietto verde ruzzolerà pesantemente non appena finirà il rimpatrio dei soldi investiti o dati in prestito all’estero.
Sta di fatto che, dagli operai inglesi che chiedono di proteggere il lavoro inglese agli Stati che aiutano le loro case automobilistiche e cercano di salvare i loro sistemi bancari, giungono segnali inequivocabili che il sistema degli scambi commerciali internazionali basato sulle regole del WTO sarà una delle vittime eccellenti della crisi.
Questa prospettiva potrebbe essere scongiurata solo se i Governi delle grandi potenze economiche del mondo avessero una qualche idea credibile di come riuscire a portare l’economia mondiale fuori da questo marasma. Ma, come ogni persona può quotidianamente verificare, si continua a procedere a tentoni, poiché nessuno ha un progetto credibile. Basti pensare che l’amministrazione Obama sta studiando un pacchetto da 4.000 miliardi di dollari per salvare il sistema bancario americano. Fino a quando i Governi non avranno il coraggio politico di prendere ufficialmente atto del fallimento del sistema bancario e della necessità di una sua ricostruzione si continueranno a sprecare somme imponenti con la certezza non solo di rendere sempre più ardua l’uscita da questa crisi, ma anche con la sicurezza che una delle vittime della crisi della finanza globale sarà il commercio internazionale.
03.02.09 07:35:12