Sharnin 2
Forumer storico
Settore finanziario
Si va verso la nazionalizzazione
Alfonso Tuor
Oramai è chiaro si va alla nazionalizzazione dell’intero settore finanziario. È quanto è di fatto emerso dalla riunione di sabato a Washington del G20, alla quale ha partecipato anche il presidente Bush, e dal vertice di ieri a Parigi dei capi di Stato e di governo dei paesi di Eurolandia. In pratica, sia pure con sfumature diverse tra paese a paese, si segue nella sostanza il piano varato dal governo britannico lo scorso 8 ottobre. Questo piano si muove in tre direzioni per risolvere i tre problemi che stanno facendo barcollare il sistema bancario: solvibilità (ossia il fatto che i mezzi propri delle banche sono inadeguati al volume delle perdite già contabilizzate e soprattutto a quelle che ancora dovranno essere anunciate); liquidità (ossia il fatto che le banche non hanno i mezzi liquidi per continuare ad operare) e il problema del rifinanziamento (ossia il fatto che si sono di fatto chiusi i canali che le banche usavano per finanziare le proprie attività). Per risolvere il primo Londra ha creato un fondo di circa 100 miliardi di franchi che acquisterà azioni privilegiate dei principali istituti di credito britannici; per risolvere il secondo la banca centrale inglese presterà alle banche 400 miliardi di franchi accettando in pegno qualsiasi titolo, ossia anche quelli definiti tossici, il cui valore è fortemente dubbio; infine, per superare le difficoltà di rifinanziamento del sistema bancario vi sarà la garanzia dello Stato britannico su 500 miliardi di franchi di titoli che emetteranno le banche per rifinanziarsi. Inoltre per prevenire una corsa agli sportelli Londra ha aumentato l’importo della garanzia statale sui depositi bancari. Su questa strada si muoveranno anche gli Stati Uniti e gli altri paesi europei, anche se le misure, così come le risorse stanziate, saranno diverse. L’Eurogruppo ha deciso di andare ancora più in là e ha introdotto una garanzia statale sui prestiti tra le banche allo scopo di riaprire il mercato interbancario che è chiuso da alcune settimane.
In pratica, il complesso di queste misure equivale alla nazionalizzazione di fatto dell’intero sistema bancario internazionale. Ora bisogna domandarsi: basteranno? E poi, quanto costerà tutto ciò? E, infine, salvare il sistema bancario basterà a salvare l’economia reale?
Innanzitutto bisogna sottolineare con forza che è arduo immaginare misure più incisive di queste. In una situazione normale questi provvedimenti sarebbero sicuramente sufficienti per ridare fiducia e quindi per riaprire il mercato dei capitali, ma questo risultato non è certo nell’attuale situazione di panico. Quindi bisognerà osservare la reazione dei mercati nei prossimi giorni e nelle prossime settimane.
È invece certo che il costo di questi salvataggi sarà enorme, addirittura inimmaginabile. A conforto di questa tesi basta citare quanto sta succedendo con il salvataggio dell’AIG, la maggiore compagnia d’assicurazione del mondo. Lo scorso 17 settembre lo Stato federale americano l’aveva nazionalizzata versando 85 miliardi di dollari per evitarne il fallimento, ma ciò non è bastato. La settimana scorsa ha dovuto iniettare ancora 38 miliardi, perché AIG potesse continuare a far fronte ai propri impegni. Il motivo di questi buchi che si trasformano in voragini sempre più grandi risiede nei nuovi strumenti finanziari. L’AIG è uno dei principali attori nel mercato dei Credit Default Swap, che sono delle forme di assicurazione sui titoli obbligazionari. Ora, ogni volta che la percezione del rischio di un titolo aumenta e quindi fa salire quello che si può definire il premio, ogni mese l’AIG è chiamata a pareggiare la posizione con la controparte con la quale ha stipulato questo «contratto di assicurazione». Nel settore finanziario vi sono in circolazione circa 60’000 miliardi di dollari di questi micidiali strumenti inventati dai Guru della finanza. Dunque l’uso di risorse pubbliche rischia di raggiungere cifre enormi.
Ma c’è di più: il salvataggio del sistema bancario non è detto che sia sufficiente per rimettere in moto un’economia reale che sta letteralmente bloccandosi. Quindi si rischia di svenare le casse pubbliche per salvare gli istituti bancari, che sono i responsabili di questa crisi, e di non avere più soldi per rilanciare l’economia e quindi aiutare le imprese e la famiglie. Addirittura la conseguente esplosione di deficit e debito pubblico rischia di mettere in pericolo la posizione dei paesi che hanno già un forte debito estero, come gli Stati Uniti.
In conclusione, questo complesso di provvedimenti veramente eccezionali può avere successo. Bisogna pero affiancare immediatamente a queste misure dei pacchetti di rilancio dell’economia per attutire la recessione già iniziata. Inoltre bisogna indire una conferenza internazionale per stabilire da un canto nuove regole che impediscano alla finanza di produrre nuovamente disastri simili a quelli attuali, dall’altro per creare le condizioni di un nuovo periodo di crescita sana e duratura.
12/10/2008 23:55
Si va verso la nazionalizzazione
Alfonso Tuor
Oramai è chiaro si va alla nazionalizzazione dell’intero settore finanziario. È quanto è di fatto emerso dalla riunione di sabato a Washington del G20, alla quale ha partecipato anche il presidente Bush, e dal vertice di ieri a Parigi dei capi di Stato e di governo dei paesi di Eurolandia. In pratica, sia pure con sfumature diverse tra paese a paese, si segue nella sostanza il piano varato dal governo britannico lo scorso 8 ottobre. Questo piano si muove in tre direzioni per risolvere i tre problemi che stanno facendo barcollare il sistema bancario: solvibilità (ossia il fatto che i mezzi propri delle banche sono inadeguati al volume delle perdite già contabilizzate e soprattutto a quelle che ancora dovranno essere anunciate); liquidità (ossia il fatto che le banche non hanno i mezzi liquidi per continuare ad operare) e il problema del rifinanziamento (ossia il fatto che si sono di fatto chiusi i canali che le banche usavano per finanziare le proprie attività). Per risolvere il primo Londra ha creato un fondo di circa 100 miliardi di franchi che acquisterà azioni privilegiate dei principali istituti di credito britannici; per risolvere il secondo la banca centrale inglese presterà alle banche 400 miliardi di franchi accettando in pegno qualsiasi titolo, ossia anche quelli definiti tossici, il cui valore è fortemente dubbio; infine, per superare le difficoltà di rifinanziamento del sistema bancario vi sarà la garanzia dello Stato britannico su 500 miliardi di franchi di titoli che emetteranno le banche per rifinanziarsi. Inoltre per prevenire una corsa agli sportelli Londra ha aumentato l’importo della garanzia statale sui depositi bancari. Su questa strada si muoveranno anche gli Stati Uniti e gli altri paesi europei, anche se le misure, così come le risorse stanziate, saranno diverse. L’Eurogruppo ha deciso di andare ancora più in là e ha introdotto una garanzia statale sui prestiti tra le banche allo scopo di riaprire il mercato interbancario che è chiuso da alcune settimane.
In pratica, il complesso di queste misure equivale alla nazionalizzazione di fatto dell’intero sistema bancario internazionale. Ora bisogna domandarsi: basteranno? E poi, quanto costerà tutto ciò? E, infine, salvare il sistema bancario basterà a salvare l’economia reale?
Innanzitutto bisogna sottolineare con forza che è arduo immaginare misure più incisive di queste. In una situazione normale questi provvedimenti sarebbero sicuramente sufficienti per ridare fiducia e quindi per riaprire il mercato dei capitali, ma questo risultato non è certo nell’attuale situazione di panico. Quindi bisognerà osservare la reazione dei mercati nei prossimi giorni e nelle prossime settimane.
È invece certo che il costo di questi salvataggi sarà enorme, addirittura inimmaginabile. A conforto di questa tesi basta citare quanto sta succedendo con il salvataggio dell’AIG, la maggiore compagnia d’assicurazione del mondo. Lo scorso 17 settembre lo Stato federale americano l’aveva nazionalizzata versando 85 miliardi di dollari per evitarne il fallimento, ma ciò non è bastato. La settimana scorsa ha dovuto iniettare ancora 38 miliardi, perché AIG potesse continuare a far fronte ai propri impegni. Il motivo di questi buchi che si trasformano in voragini sempre più grandi risiede nei nuovi strumenti finanziari. L’AIG è uno dei principali attori nel mercato dei Credit Default Swap, che sono delle forme di assicurazione sui titoli obbligazionari. Ora, ogni volta che la percezione del rischio di un titolo aumenta e quindi fa salire quello che si può definire il premio, ogni mese l’AIG è chiamata a pareggiare la posizione con la controparte con la quale ha stipulato questo «contratto di assicurazione». Nel settore finanziario vi sono in circolazione circa 60’000 miliardi di dollari di questi micidiali strumenti inventati dai Guru della finanza. Dunque l’uso di risorse pubbliche rischia di raggiungere cifre enormi.
Ma c’è di più: il salvataggio del sistema bancario non è detto che sia sufficiente per rimettere in moto un’economia reale che sta letteralmente bloccandosi. Quindi si rischia di svenare le casse pubbliche per salvare gli istituti bancari, che sono i responsabili di questa crisi, e di non avere più soldi per rilanciare l’economia e quindi aiutare le imprese e la famiglie. Addirittura la conseguente esplosione di deficit e debito pubblico rischia di mettere in pericolo la posizione dei paesi che hanno già un forte debito estero, come gli Stati Uniti.
In conclusione, questo complesso di provvedimenti veramente eccezionali può avere successo. Bisogna pero affiancare immediatamente a queste misure dei pacchetti di rilancio dell’economia per attutire la recessione già iniziata. Inoltre bisogna indire una conferenza internazionale per stabilire da un canto nuove regole che impediscano alla finanza di produrre nuovamente disastri simili a quelli attuali, dall’altro per creare le condizioni di un nuovo periodo di crescita sana e duratura.
12/10/2008 23:55