Sharnin 2
Forumer storico
Troppo grandi per la Svizzera
UBS e CS, secondo la valutazione della Banca Nazionale
22 giu 2009
di ALFONSO TUOR
In vista del G8 del mese prossimo in Italia e soprattutto del G20 in programma negli Stati Uniti in settembre stanno «piovendo» le proposte di riforma delle regole e della sorveglianza del sistema bancario. Le proposte finora formulate non rispondono all’aspettativa di interventi radicali in grado di evitare il ripetersi di una crisi di gravità simile a quella che sta oggi facendo cadere l’economia mondiale in una profonda recessione. Il ventaglio delle proposte dei diversi Paesi è veramente deludente, ma tra esse brillano invece quelle svizzere, anche se il nostro Paese non avrà grande voce in capitolo nelle discussioni tra i Grandi. Spiccano in particolare l’analisi e le proposte di riforma che vengono formulate dalla Banca nazionale e dalla FINMA, l’autorità di sorveglianza del sistema finanziario.
La settimana scorsa Philipp Hildebrand, membro del Direttorio della BNS, ha rotto un tabu dichiarando che le due grandi banche, ossia UBS e Credit Suisse Group, nella loro attuale forma sono troppo grandi per la Svizzera. L’attuale crisi ha dimostrato che le banche sono internazionali quando gli affari vanno a gonfie vele, ma nazionali quando hanno bisogno di aiuti della mano pubblica per sopravvivere. Infatti, la somma di bilancio delle due grandi banche ammontava all’inizio dell’anno scorso a circa sette volte il PIL elvetico. Come abbiamo avuto già occasione di scrivere, questo rapporto in Svizzera era e continua ad essere più squilibrato di quello che ha portato l’Islanda alla bancarotta.
Oggi il pericolo non è assolutamente superato. La BNS ritiene che la situazione del sistema finanziario svizzero e internazionale sia ancora fragile. Il miglioramento dei bilanci bancari degli ultimi tempi è per lo più dovuto al cambiamento delle regole contabili che permettono, da un canto, di non contabilizzare i titoli tossici ai prezzi di mercato e, dall’altro, di trasformare in utili il ribasso del corso delle obbligazioni con cui le banche si finanziano sul mercato dei capitali. L’impennata delle sofferenze bancarie dovute alla recessione e la prossima esplosione della bolla dei crediti concessi, soprattutto negli Stati Uniti, al commercial real estate (alberghi, supermercati ecc.) fanno prevedere che l’attuale periodo di relativa calma non è destinato a durare a lungo.
Anche per questo motivo la BNS fa discendere da questa analisi precise proposte. Il nostro istituto di emissione affronta di petto la questione delle dimensioni delle banche e l’azzardo morale che comporta la regola implicita che un istituto di credito, raggiunte certe dimensioni, è troppo grande per poter fallire. Questa questione si è già posta nell’autunno scorso quando Confederazione e BNS intervennero per evitare il fallimento di UBS. Allora si disse che una bancarotta di UBS avrebbe provocato enormi danni all’economia elvetica. Ora la BNS propone che «vi siano delle norme riguardanti gli istituti finanziari di grande dimensione, per cui, in caso di crisi, si possano staccare le attività vitali per il funzionamento dell’economia e mettere in liquidazione le altre». È esattamente quanto aveva sostenuto il nostro giornale che aveva perorato l’acquisto da parte della Confederazione del Private Banking e delle attività bancarie in Svizzera, lasciando il rimanente di UBS al giudizio del mercato. La BNS rimette anche in discussione la stessa ricerca di dimensioni sempre maggiori, sostenendo che «l’evidenza empirica induce a pensare che le dimensioni delle grandi banche attive a livello internazionale superino da tempo la grandezza necessaria per approfittare dei vantaggi delle dimensioni di scala».
La BNS e la FINMA propongono due provvedimenti. Il rapporto tra attività e capitali propri (il cosiddetto leverage ratio) deve salire al 5%. Alla fine dell’anno scorso questo rapporto si situava al 2,6% per UBS: ciò vuol dire che a medio termine la maggiore banca svizzera dovrebbe o raddoppiare il proprio capitale o dimezzare la propria somma di bilancio. La FINMA ha nel frattempo già comunicato alle banche che questo rapporto deve salire al 4% entro il 2013. Il secondo provvedimento riguarda le remunerazioni dei manager. La FINMA raccomanda che i bonus siano legati alla redditività a lungo termine e non siano più un meccanismo che premia gli utili di breve. Con tale sistema, Marcel Ospel, ex patron di UBS, avrebbe dovuto restituire i bonus milionari incassati negli anni scorsi quando la banca faceva utili miliardari, assumendosi però rischi tali che l’hanno poi portata sull’orlo del fallimento.
Queste proposte devono ora superare l’esame della politica. Non è quindi da escludere che esse vengano cambiate dai potenti gruppi di interesse che fanno capo al mondo bancario. Si può comunque concludere che BNS ed ora anche la FINMA hanno presentato proposte valide che affrontano il cuore dei problemi, facendo un lavoro nettamente migliore di quello dei loro colleghi europei ed americani.
UBS e CS, secondo la valutazione della Banca Nazionale
22 giu 2009
di ALFONSO TUOR
In vista del G8 del mese prossimo in Italia e soprattutto del G20 in programma negli Stati Uniti in settembre stanno «piovendo» le proposte di riforma delle regole e della sorveglianza del sistema bancario. Le proposte finora formulate non rispondono all’aspettativa di interventi radicali in grado di evitare il ripetersi di una crisi di gravità simile a quella che sta oggi facendo cadere l’economia mondiale in una profonda recessione. Il ventaglio delle proposte dei diversi Paesi è veramente deludente, ma tra esse brillano invece quelle svizzere, anche se il nostro Paese non avrà grande voce in capitolo nelle discussioni tra i Grandi. Spiccano in particolare l’analisi e le proposte di riforma che vengono formulate dalla Banca nazionale e dalla FINMA, l’autorità di sorveglianza del sistema finanziario.
La settimana scorsa Philipp Hildebrand, membro del Direttorio della BNS, ha rotto un tabu dichiarando che le due grandi banche, ossia UBS e Credit Suisse Group, nella loro attuale forma sono troppo grandi per la Svizzera. L’attuale crisi ha dimostrato che le banche sono internazionali quando gli affari vanno a gonfie vele, ma nazionali quando hanno bisogno di aiuti della mano pubblica per sopravvivere. Infatti, la somma di bilancio delle due grandi banche ammontava all’inizio dell’anno scorso a circa sette volte il PIL elvetico. Come abbiamo avuto già occasione di scrivere, questo rapporto in Svizzera era e continua ad essere più squilibrato di quello che ha portato l’Islanda alla bancarotta.
Oggi il pericolo non è assolutamente superato. La BNS ritiene che la situazione del sistema finanziario svizzero e internazionale sia ancora fragile. Il miglioramento dei bilanci bancari degli ultimi tempi è per lo più dovuto al cambiamento delle regole contabili che permettono, da un canto, di non contabilizzare i titoli tossici ai prezzi di mercato e, dall’altro, di trasformare in utili il ribasso del corso delle obbligazioni con cui le banche si finanziano sul mercato dei capitali. L’impennata delle sofferenze bancarie dovute alla recessione e la prossima esplosione della bolla dei crediti concessi, soprattutto negli Stati Uniti, al commercial real estate (alberghi, supermercati ecc.) fanno prevedere che l’attuale periodo di relativa calma non è destinato a durare a lungo.
Anche per questo motivo la BNS fa discendere da questa analisi precise proposte. Il nostro istituto di emissione affronta di petto la questione delle dimensioni delle banche e l’azzardo morale che comporta la regola implicita che un istituto di credito, raggiunte certe dimensioni, è troppo grande per poter fallire. Questa questione si è già posta nell’autunno scorso quando Confederazione e BNS intervennero per evitare il fallimento di UBS. Allora si disse che una bancarotta di UBS avrebbe provocato enormi danni all’economia elvetica. Ora la BNS propone che «vi siano delle norme riguardanti gli istituti finanziari di grande dimensione, per cui, in caso di crisi, si possano staccare le attività vitali per il funzionamento dell’economia e mettere in liquidazione le altre». È esattamente quanto aveva sostenuto il nostro giornale che aveva perorato l’acquisto da parte della Confederazione del Private Banking e delle attività bancarie in Svizzera, lasciando il rimanente di UBS al giudizio del mercato. La BNS rimette anche in discussione la stessa ricerca di dimensioni sempre maggiori, sostenendo che «l’evidenza empirica induce a pensare che le dimensioni delle grandi banche attive a livello internazionale superino da tempo la grandezza necessaria per approfittare dei vantaggi delle dimensioni di scala».
La BNS e la FINMA propongono due provvedimenti. Il rapporto tra attività e capitali propri (il cosiddetto leverage ratio) deve salire al 5%. Alla fine dell’anno scorso questo rapporto si situava al 2,6% per UBS: ciò vuol dire che a medio termine la maggiore banca svizzera dovrebbe o raddoppiare il proprio capitale o dimezzare la propria somma di bilancio. La FINMA ha nel frattempo già comunicato alle banche che questo rapporto deve salire al 4% entro il 2013. Il secondo provvedimento riguarda le remunerazioni dei manager. La FINMA raccomanda che i bonus siano legati alla redditività a lungo termine e non siano più un meccanismo che premia gli utili di breve. Con tale sistema, Marcel Ospel, ex patron di UBS, avrebbe dovuto restituire i bonus milionari incassati negli anni scorsi quando la banca faceva utili miliardari, assumendosi però rischi tali che l’hanno poi portata sull’orlo del fallimento.
Queste proposte devono ora superare l’esame della politica. Non è quindi da escludere che esse vengano cambiate dai potenti gruppi di interesse che fanno capo al mondo bancario. Si può comunque concludere che BNS ed ora anche la FINMA hanno presentato proposte valide che affrontano il cuore dei problemi, facendo un lavoro nettamente migliore di quello dei loro colleghi europei ed americani.