Sharnin 2
Forumer storico
UBS ancora in mezzo al guado
Alfonso Tuor
Martedì scorso il presidente di UBS, Peter Kurer, ha annunciato l’introduzione di nuove linee guida sulla corporate governance e le dimissioni di quattro membri del Consiglio di Amministrazione. Ma purtroppo la maggiore banca svizzera non ha sfruttato l’occasione per comunicare a quanto ammonteranno le perdite che verranno contabilizzate nei conti del secondo trimestre. La gamma delle previsioni degli analisti è molto ampia: varia da 4 miliardi di franchi fino a 7,5 miliardi di franchi. Queste perdite si aggiungeranno ai 37 miliardi di franchi finora denunciati. Questa incertezza ha «affondato» il titolo UBS, che martedì ha chiuso stabilendo un nuovo minimo storico a 20,30 franchi, ossia a un valore inferiore ai 21 franchi per azione dell’aumento di capitale di 15 miliardi appena concluso dall’istituto. Il corso dell’azione è sceso, nonostante Peter Kurer abbia garantito che UBS non ha bisogno di un terzo aumento di capitale. Anche il rimbalzo di ieri non è stato comunque sufficiente a riportare il corso dell’azione sopra i 21 franchi. In pratica, chi ha investito dieci anni fa nelle azioni UBS si ritrova oggi ai blocchi di partenza. Chi invece ha investito negli anni successivi (ad esempio l’anno scorso quando il titolo aveva superato i 70 franchi) si ritrova a dover accusare pesanti perdite. E ciò riguarda la stragrande maggioranza dei lavoratori svizzeri, poiché tra questi investitori spiccano le nostre casse pensioni. La preoccupazione del mercato non riguarda però solo le perdite che UBS dovrà ancora denunciare, ma anche la redditività futura della banca, che è legata al nuovo quadro regolamentare, cui dovranno sottostare le due grandi banche e gli altri istituti svizzeri. Le posizioni a rischio di UBS sono ancora molto consistenti: secondo taluni analisti, superano gli 80 miliardi di dollari. La trasformazione di queste posizioni in rettifiche di valore e, quindi, in perdite dipende dall’evoluzione della cosiddetta crisi dei mutui subprime e dell’economia a livello mondiale. Al riguardo le prospettive non sono molto incoraggianti, come confermano gli indici di mercato che misurano le condizioni di salute del sistema bancario. Inoltre il netto peggioramento del quadro economico negli Stati Uniti e il moltiplicarsi dei segnali di rallentamento dell’economia europea non sono di buon auspicio. È dunque prevedibile che ancora per alcuni trimestri UBS dovrà procedere a nuove rettifiche di valore. In questo contesto la dichiarazione che non è necessario un terzo aumento di capitale è da prendere con le pinze. L’aspetto più preoccupante riguarda comunque la redditività futura della banca. La ristrutturazione del Consiglio di Amministrazione annunciata martedì scorso dovrebbe garantire una maggiore sorveglianza del management e un migliore controllo dei rischi, ma non risolve la questione della ridefinizione della strategia dell’istituto dopo questa crisi. Il problema è a tal punto critico che UBS ha chiesto alla Lazard di formulare delle proposte. In discussione è il modello di banca integrata e soprattutto la compatibilità tra il bisogno di sicurezza, che richiede l’attività gestione patrimoniale, e i grandi rischi insiti nell’attività di investment banking. È bene ricordare che queste ultime attività (dalle cartolarizzazioni dei mutui ipotecari americani alle diverse operazioni legate alla nuova ingegneria finanziaria), ora causa delle perdite miliardarie, in precedenza producevano invece consistenti utili. Negli ultimi anni sia UBS sia il Credit Suisse hanno scommesso pesantemente sull’investment banking, a tal punto che, come ha denunciato la Banca Nazionale Svizzera, hanno fatto sempre più ricorso a mezzi di terzi, a tal punto che il loro livello di indebitamento risulta essere molto elevato persino rispetto alle banche di altri paesi. Per questo motivo la BNS ha proposto ufficialmente di introdurre una regola che già devono seguire le banche commerciali americane, ossia un rapporto minimo del 5% tra mezzi propri e mezzi di terzi (il cosiddetto leverage ratio). La misura, già aspramente criticata dal Credit Suisse, è più che giustificata per evidenti motivi. Innanzitutto, nelle ultime crisi finanziarie internazionali almeno una delle due grandi banche ha avuto purtroppo un ruolo da protagonista. In secondo luogo, il fallimento di una grande banca avrebbe conseguenze difficilmente calcolabili per l’economia elvetica. In terzo luogo, la Svizzera si è sempre proposta come una piazza finanziaria sicura. È quindi evidente che la reputazione di sicurezza viene fortemente danneggiata per tutti gli istituti che operano in Svizzera da avventure come quelle di cui è protagonista UBS. L’aspra reazione del Credit Suisse alle proposte della Banca Nazionale dimostra, da un canto, quanto sia da ripensare il rapporto tra gli obiettivi di queste banche e quelli del nostro paese, dall’altro, il timore di questi istituti di vedere drasticamente ridotta la loro redditività. Tutto ciò conferma comunque che questa scelta strategica non potrà essere operata unicamente dal Consiglio di Amministrazione di UBS, ma sarà fortemente influenzata dalle nuove regole che verranno imposte a livello internazionale e anche dalle misure che avranno il coraggio di adottare le autorità del nostro paese. In conclusione, UBS non avrà più la redditività del passato. Oggi è ancora in mezzo al guado e non sa ancora quale strada imboccare, una volta approdata a riva. Quindi, anche a prescindere dalla recenti disavvenuture con il fisco americano, non può sorprendere che il corso del titolo sia ai minimi e in ogni caso inferiore a quello dell’aumento di capitale appena concluso.
Alfonso Tuor
Martedì scorso il presidente di UBS, Peter Kurer, ha annunciato l’introduzione di nuove linee guida sulla corporate governance e le dimissioni di quattro membri del Consiglio di Amministrazione. Ma purtroppo la maggiore banca svizzera non ha sfruttato l’occasione per comunicare a quanto ammonteranno le perdite che verranno contabilizzate nei conti del secondo trimestre. La gamma delle previsioni degli analisti è molto ampia: varia da 4 miliardi di franchi fino a 7,5 miliardi di franchi. Queste perdite si aggiungeranno ai 37 miliardi di franchi finora denunciati. Questa incertezza ha «affondato» il titolo UBS, che martedì ha chiuso stabilendo un nuovo minimo storico a 20,30 franchi, ossia a un valore inferiore ai 21 franchi per azione dell’aumento di capitale di 15 miliardi appena concluso dall’istituto. Il corso dell’azione è sceso, nonostante Peter Kurer abbia garantito che UBS non ha bisogno di un terzo aumento di capitale. Anche il rimbalzo di ieri non è stato comunque sufficiente a riportare il corso dell’azione sopra i 21 franchi. In pratica, chi ha investito dieci anni fa nelle azioni UBS si ritrova oggi ai blocchi di partenza. Chi invece ha investito negli anni successivi (ad esempio l’anno scorso quando il titolo aveva superato i 70 franchi) si ritrova a dover accusare pesanti perdite. E ciò riguarda la stragrande maggioranza dei lavoratori svizzeri, poiché tra questi investitori spiccano le nostre casse pensioni. La preoccupazione del mercato non riguarda però solo le perdite che UBS dovrà ancora denunciare, ma anche la redditività futura della banca, che è legata al nuovo quadro regolamentare, cui dovranno sottostare le due grandi banche e gli altri istituti svizzeri. Le posizioni a rischio di UBS sono ancora molto consistenti: secondo taluni analisti, superano gli 80 miliardi di dollari. La trasformazione di queste posizioni in rettifiche di valore e, quindi, in perdite dipende dall’evoluzione della cosiddetta crisi dei mutui subprime e dell’economia a livello mondiale. Al riguardo le prospettive non sono molto incoraggianti, come confermano gli indici di mercato che misurano le condizioni di salute del sistema bancario. Inoltre il netto peggioramento del quadro economico negli Stati Uniti e il moltiplicarsi dei segnali di rallentamento dell’economia europea non sono di buon auspicio. È dunque prevedibile che ancora per alcuni trimestri UBS dovrà procedere a nuove rettifiche di valore. In questo contesto la dichiarazione che non è necessario un terzo aumento di capitale è da prendere con le pinze. L’aspetto più preoccupante riguarda comunque la redditività futura della banca. La ristrutturazione del Consiglio di Amministrazione annunciata martedì scorso dovrebbe garantire una maggiore sorveglianza del management e un migliore controllo dei rischi, ma non risolve la questione della ridefinizione della strategia dell’istituto dopo questa crisi. Il problema è a tal punto critico che UBS ha chiesto alla Lazard di formulare delle proposte. In discussione è il modello di banca integrata e soprattutto la compatibilità tra il bisogno di sicurezza, che richiede l’attività gestione patrimoniale, e i grandi rischi insiti nell’attività di investment banking. È bene ricordare che queste ultime attività (dalle cartolarizzazioni dei mutui ipotecari americani alle diverse operazioni legate alla nuova ingegneria finanziaria), ora causa delle perdite miliardarie, in precedenza producevano invece consistenti utili. Negli ultimi anni sia UBS sia il Credit Suisse hanno scommesso pesantemente sull’investment banking, a tal punto che, come ha denunciato la Banca Nazionale Svizzera, hanno fatto sempre più ricorso a mezzi di terzi, a tal punto che il loro livello di indebitamento risulta essere molto elevato persino rispetto alle banche di altri paesi. Per questo motivo la BNS ha proposto ufficialmente di introdurre una regola che già devono seguire le banche commerciali americane, ossia un rapporto minimo del 5% tra mezzi propri e mezzi di terzi (il cosiddetto leverage ratio). La misura, già aspramente criticata dal Credit Suisse, è più che giustificata per evidenti motivi. Innanzitutto, nelle ultime crisi finanziarie internazionali almeno una delle due grandi banche ha avuto purtroppo un ruolo da protagonista. In secondo luogo, il fallimento di una grande banca avrebbe conseguenze difficilmente calcolabili per l’economia elvetica. In terzo luogo, la Svizzera si è sempre proposta come una piazza finanziaria sicura. È quindi evidente che la reputazione di sicurezza viene fortemente danneggiata per tutti gli istituti che operano in Svizzera da avventure come quelle di cui è protagonista UBS. L’aspra reazione del Credit Suisse alle proposte della Banca Nazionale dimostra, da un canto, quanto sia da ripensare il rapporto tra gli obiettivi di queste banche e quelli del nostro paese, dall’altro, il timore di questi istituti di vedere drasticamente ridotta la loro redditività. Tutto ciò conferma comunque che questa scelta strategica non potrà essere operata unicamente dal Consiglio di Amministrazione di UBS, ma sarà fortemente influenzata dalle nuove regole che verranno imposte a livello internazionale e anche dalle misure che avranno il coraggio di adottare le autorità del nostro paese. In conclusione, UBS non avrà più la redditività del passato. Oggi è ancora in mezzo al guado e non sa ancora quale strada imboccare, una volta approdata a riva. Quindi, anche a prescindere dalla recenti disavvenuture con il fisco americano, non può sorprendere che il corso del titolo sia ai minimi e in ogni caso inferiore a quello dell’aumento di capitale appena concluso.