Sharnin 2
Forumer storico
L’intervento di Berna in aiuto di UBS
Preoccupazioni e speranze
Alfonso Tuor
Il dramma di UBS, che si protrae ormai da più di un anno, raggiunge un nuovo apice. Per salvare la maggiore banca svizzera si è ricorso ai soldi dei contribuenti. Di fronte all’acuirsi della crisi e al rischio di una bancarotta che avrebbe avuto conseguenze inimmaginabili a livello internazionale e che avrebbe distrutto l’intera piazza finanziaria elvetica, la Confederazione non ha avuto alcuna possibilità di scelta e ha dovuto seguire la strada già percorsa da molti altri Stati.
Questo salvataggio smentisce le continue rassicurazioni sullo stato di salute e sulla solidità della banca ripetute negli ultimi mesi dai nuovi dirigenti di UBS. Vi è quindi per loro un serio problema di credibilità.
La struttura del salvataggio mette in luce che UBS è a corto di quattrini. La Confederazione dà 6 miliardi di franchi alla banca che li usa per dotare di capitale proprio la società veicolo in cui verranno convogliati 60 miliardi di dollari di titoli tossici. Questa società, che verrà gestita dalla Banca Nazionale, potrà contare su prestiti fino a 54 miliardi di dollari da parte del nostro istituto di emissione. Questo indica implicitamente – ed è l’aspetto più preoccupante – che UBS non ha risorse sufficienti per capitalizzare il fondo-spazzatura.
In secondo luogo l’operazione nasconde altri aiuti pubblici alla banca. I corsi usati per il trasferimento dei titoli tossici in questa società veicolo saranno quelli dello scorso 30 settembre. Ora questi titoli non hanno oggi alcun prezzo: il loro valore è comunque ulteriormente precipitato nel corso di questo mese di ottobre. Bisognerà vedere quale ruolo svolgeranno a questo riguardo le società terze indipendenti incaricate di verificare a quale prezzo i titoli tossici verranno trasferiti, considerato che oggi nessuno li compra.
In terzo luogo è molto criticabile che nell’accordo sui 60 miliardi non sia stata inserita una clausola vincolante che stabilisse un tetto alle remunerazioni dei dirigenti di UBS e la restituzione dei bonus e delle stock options elargite negli ultimi anni. Negli Stati Uniti, ad esempio, i salari più alti di ogni banca ricapitalizzata dallo Stato federale non potranno superare il mezzo milione di dollari. Si tratta di una clausola di equità o se si vuole di moralità legata all’impiego di soldi pubblici, cioè di tutti i contribuenti.
In quarto luogo è bene non cullare illusioni che questi soldi vengano restituiti. I capitali investiti dalla Confederazione come quelli dello Stato federale americano e dei paesi europei entrano nel buco nero creato dall’implosione dell’enorme quantità di carta straccia prodotta dalla nuova ingegneria finanziaria. In altri termini, questi soldi sono già spariti: non esistono più.
In quinto luogo i contribuenti svizzeri sono chiamati alla cassa per riparare i disastri commessi da manager, che come i loro colleghi di Wall Street sono tra i principali responsabili di questa crisi di dimensioni epocali. Le risorse impiegate serviranno per tentare di scongiurare il dramma di un fallimento, ma non ad attutire gli effetti di una recessione ormai alle porte. Non serviranno nemmeno per rilanciare la crescita economica. Per il cittadino svizzero la partita si chiude dunque con una perdita netta.
Infine è molto probabile che questo esborso pubblico non sia l’ultimo, ma solo il primo di una serie. Nei bilanci delle banche europee e americane vi sono ancora centinaia di miliardi di titoli tossici. I 700 miliardi di dollari stanziati dagli Stati Uniti, i 1900 miliardi di euro messi sul piatto dall’Europa e i 60 miliardi messi ora a disposizione dalla Svizzera sono una goccia nell’Oceano della carta prodotta da Wall Street e venduta in tutto il mondo. L’ammontare delle perdite potenziali ancora nascoste nei bilanci delle banche e di altri operatori finanziari è di tali dimensioni da mettere addirittura in forse la stessa capacità degli Stati di sostenere il sistema finanziario. Il volume delle perdite è per di più destinato ad aumentare a causa dell’incombere di una pesante recessione. Questo impedisce di ricreare un clima di fiducia, come dimostra il fatto che i tassi europei a breve sono scesi un po’, ma rimangono comunque molto elevati e come dimostra il fatto che stenta a riaprirsi il mercato dei capitali. Appare inoltre sempre più chiaro che a pagare il conto di questi interventi pubblici per salvare le banche saranno famiglie e imprese che già devono fare i conti con una realtà economica in rapido deterioramento. Le prospettive si fanno così vieppiù oscure.
Ma vi è una speranza. Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha chiesto ieri la convocazione immediata di un vertice mondiale per affrontare questa crisi finanziaria e soprattutto per stabilire nuove regole del gioco a livello mondiale, che impediscano il ripetersi dei disastri provocati dalla nuova ingegneria finanziaria cresciuta sulla base delle politiche liberiste degli ultimi anni. L’iniziativa francese e europea è una luce che indica la strada per uscire da questo marasma.
16/10/2008 19:31
Preoccupazioni e speranze
Alfonso Tuor
Il dramma di UBS, che si protrae ormai da più di un anno, raggiunge un nuovo apice. Per salvare la maggiore banca svizzera si è ricorso ai soldi dei contribuenti. Di fronte all’acuirsi della crisi e al rischio di una bancarotta che avrebbe avuto conseguenze inimmaginabili a livello internazionale e che avrebbe distrutto l’intera piazza finanziaria elvetica, la Confederazione non ha avuto alcuna possibilità di scelta e ha dovuto seguire la strada già percorsa da molti altri Stati.
Questo salvataggio smentisce le continue rassicurazioni sullo stato di salute e sulla solidità della banca ripetute negli ultimi mesi dai nuovi dirigenti di UBS. Vi è quindi per loro un serio problema di credibilità.
La struttura del salvataggio mette in luce che UBS è a corto di quattrini. La Confederazione dà 6 miliardi di franchi alla banca che li usa per dotare di capitale proprio la società veicolo in cui verranno convogliati 60 miliardi di dollari di titoli tossici. Questa società, che verrà gestita dalla Banca Nazionale, potrà contare su prestiti fino a 54 miliardi di dollari da parte del nostro istituto di emissione. Questo indica implicitamente – ed è l’aspetto più preoccupante – che UBS non ha risorse sufficienti per capitalizzare il fondo-spazzatura.
In secondo luogo l’operazione nasconde altri aiuti pubblici alla banca. I corsi usati per il trasferimento dei titoli tossici in questa società veicolo saranno quelli dello scorso 30 settembre. Ora questi titoli non hanno oggi alcun prezzo: il loro valore è comunque ulteriormente precipitato nel corso di questo mese di ottobre. Bisognerà vedere quale ruolo svolgeranno a questo riguardo le società terze indipendenti incaricate di verificare a quale prezzo i titoli tossici verranno trasferiti, considerato che oggi nessuno li compra.
In terzo luogo è molto criticabile che nell’accordo sui 60 miliardi non sia stata inserita una clausola vincolante che stabilisse un tetto alle remunerazioni dei dirigenti di UBS e la restituzione dei bonus e delle stock options elargite negli ultimi anni. Negli Stati Uniti, ad esempio, i salari più alti di ogni banca ricapitalizzata dallo Stato federale non potranno superare il mezzo milione di dollari. Si tratta di una clausola di equità o se si vuole di moralità legata all’impiego di soldi pubblici, cioè di tutti i contribuenti.
In quarto luogo è bene non cullare illusioni che questi soldi vengano restituiti. I capitali investiti dalla Confederazione come quelli dello Stato federale americano e dei paesi europei entrano nel buco nero creato dall’implosione dell’enorme quantità di carta straccia prodotta dalla nuova ingegneria finanziaria. In altri termini, questi soldi sono già spariti: non esistono più.
In quinto luogo i contribuenti svizzeri sono chiamati alla cassa per riparare i disastri commessi da manager, che come i loro colleghi di Wall Street sono tra i principali responsabili di questa crisi di dimensioni epocali. Le risorse impiegate serviranno per tentare di scongiurare il dramma di un fallimento, ma non ad attutire gli effetti di una recessione ormai alle porte. Non serviranno nemmeno per rilanciare la crescita economica. Per il cittadino svizzero la partita si chiude dunque con una perdita netta.
Infine è molto probabile che questo esborso pubblico non sia l’ultimo, ma solo il primo di una serie. Nei bilanci delle banche europee e americane vi sono ancora centinaia di miliardi di titoli tossici. I 700 miliardi di dollari stanziati dagli Stati Uniti, i 1900 miliardi di euro messi sul piatto dall’Europa e i 60 miliardi messi ora a disposizione dalla Svizzera sono una goccia nell’Oceano della carta prodotta da Wall Street e venduta in tutto il mondo. L’ammontare delle perdite potenziali ancora nascoste nei bilanci delle banche e di altri operatori finanziari è di tali dimensioni da mettere addirittura in forse la stessa capacità degli Stati di sostenere il sistema finanziario. Il volume delle perdite è per di più destinato ad aumentare a causa dell’incombere di una pesante recessione. Questo impedisce di ricreare un clima di fiducia, come dimostra il fatto che i tassi europei a breve sono scesi un po’, ma rimangono comunque molto elevati e come dimostra il fatto che stenta a riaprirsi il mercato dei capitali. Appare inoltre sempre più chiaro che a pagare il conto di questi interventi pubblici per salvare le banche saranno famiglie e imprese che già devono fare i conti con una realtà economica in rapido deterioramento. Le prospettive si fanno così vieppiù oscure.
Ma vi è una speranza. Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha chiesto ieri la convocazione immediata di un vertice mondiale per affrontare questa crisi finanziaria e soprattutto per stabilire nuove regole del gioco a livello mondiale, che impediscano il ripetersi dei disastri provocati dalla nuova ingegneria finanziaria cresciuta sulla base delle politiche liberiste degli ultimi anni. L’iniziativa francese e europea è una luce che indica la strada per uscire da questo marasma.
16/10/2008 19:31