Tuor - Un Simposio all’insegna della crisi

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Davos
Un Simposio all’insegna della crisi
Alfonso Tuor

Quello che si apre domani a Davos sarà un Simposio di crisi e addirittura di «espiazione», come ha scritto ieri il Corriere della Sera. Il termine crisi è imposto dalla realtà economica e non riguarda la qualità e il numero dei partecipanti: per questa 38° edizione del World Economic Forum converranno nella località turistica grigionese una quarantina di Capi di Stato e di Governo. Il termine espiazione riguarda invece quello che a torto o a ragione il Simposio di Davos simboleggia: il trionfo dell’economia globalizzata fondata su una filosofia liberista. Su questa illusione aveva già ironizzato alcuni anni orsono Samuel P. Huntigton nel suo famoso saggio «Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale». Il politologo americano aveva infatti sottolineato, partendo dalla constatazione che la Coca Cola si vende in tutto il mondo (da uno sperduto villaggio egiziano ad uno cinese), che «l’uomo di Davos» si è convinto che la globalizzazione e il liberismo siano processi accettati e ineludibili, Huntington aveva sottolineato con forza che si trattava in realtà di un fenomeno superficiale che paradossalmente avrebbe addirittura favorito la riaffermazione delle diversità culturali dei popoli attorno alle loro identità religiose. Samuel Huntington non aveva invece previsto che a Davos, come scrive il Corriere della Sera, sarà necessario anche «un piano di salvataggio di quella scienza economica» che negli ultimi anni ha magnificato le virtù del liberismo economico, della deregolamentazione dei mercati e della nuova ingegneria finanziaria. Infatti a Davos saranno presenti i politici, ma anche quei banchieri che oggi implorano gli aiuti dello Stato, ma che nel frattempo continuano a non fare trasparenza sull’entità dei buchi nei bilanci dei loro istituti.
La gravità della situazione lascerà comunque poco spazio a questo ripensamento, altrimenti doveroso. Infatti la discussione verterà sulle misure necessarie per uscire dalla crisi. Il dibattito non sarà semplice, poiché, come ha detto il professor Victor Halberstadt dell’Università di Leiden in Olanda, «questo è l’inizio di un periodo di grandi improvvisazioni, poiché questa crisi non ha precedenti da cui trarre indicazioni su come procedere». Questa affermazione è totalmente condivisibile e riassume la confusione e la mancanza di una strategia dei continui, e per certi versi frenetici, interventi di Governi e banche centrali, che finora non hanno prodotto alcun risultato visibile.
Anzi, la crisi finanziaria si è ulteriormente aggravata e si è già tradotta in molti Paesi in una profonda recessione con impressionanti balzi della disoccupazione. Nonostante questi ripetuti fallimenti, i Governi non demordono e continuano a preparare nuovi piani per tentare di salvare il sistema bancario. Le opzioni sul tappeto sono oggi diverse: si va dal modello inglese di una garanzia statale sui titoli tossici alle ipotesi americana e tedesca di creare una «banca spazzatura» con soldi dello Stato che acquisti i titoli tossici ancora detenuti dalle banche. Anche questi tentativi sono destinati al fallimento. Infatti, pur non entrando nel merito della grande questione politica di determinare il prezzo di questi titoli, si scoprirà ben presto che vi sono altri enormi «buchi neri» nei bilanci delle grandi banche che vanno dagli strumenti derivati agli altri prodotti della nuova ingegneria finanziaria fino alle nuove sofferenze causate dalla crisi economica. Quindi altri miliardi verranno usati per cercare di risanare un sistema bancario decotto che non svolge più il suo compito di trasmettere gli impulsi di politica monetaria e che addirittura sta acuendo la crisi con la stretta attuata nella concessione dei crediti.
Vi è da sperare che a Davos si rimettano in discussione queste politiche e che ci si renda conto che gli Stati con queste politiche stanno mettendo in gioco la credibilità dei titoli con cui finanziano i loro debiti pubblici e la credibilità delle loro valute. Oggi tutti, anche il nuovo presidente americano, dicono che questa è la crisi più grave dagli Anni Trenta. Partendo da questo giudizio oramai condiviso bisogna prendere atto che il crollo del ‘29 è già avvenuto e che ora l’imperativo deve essere evitare un’altra Grande Depressione. In quest’ottica bisogna definire le priorità, poiché, come sostiene il ministro italiano Giulio Tremonti, non vi sono le risorse per salvare tutto e tutti, ossia banche, famiglie ed imprese.

27.01.09 07:40:06
 

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