Sharnin 2
Forumer storico
Una finanza dai prezzi di fantasia
Alfonso Tuor
Le grandi banche di investimento del mondo stanno operando per risolvere (almeno temporaneamente) la grave crisi dei due Hedge Funds della banca di investimento americana Bear Stearns e stanno con grande professionalità cercando di coprire con un velo di silenzio la vicenda per evitare che si apra un dibattito sulla reale natura di molti nuovi strumenti finanziari. Ma dato che la soluzione di questa crisi si rivelerà molto probabilmente solo un rattoppo fatto per guadagnare tempo e dato che il problema posto investe gran parte delle attività dell’attuale mondo finanziario, in attesa della prossima puntata di questa o di altre crisi, è opportuno mettere in rilievo alcuni aspetti rilevanti che toccano tutti noi, poiché questi strumenti vengono spesso comprati da casse pensioni ed assicurazione che gestiscono i nostri risparmi previdenziali.
La crisi, come noto, scoppia circa due settimane orsono, poiché due Hedge Funds della Bear Stearns, attivi nel mercato delle obbligazioni costruite su pacchetti di crediti ipotecari, con 600 milioni di dollari di capitali propri, si ritrovano esposti per circa 20 miliardi di dollari grazie all’ampio ricorso alla leva, ossia all’indebitamento. E proprio le altre banche di investimento che avevano concesso questi crediti, non vedendo più onorati i cosiddetti «margin calls», hanno aperto la crisi, che è stata risolta nel giro di pochi giorni (con l’accordo di tutti) grazie alla messa a disposizione da parte della stessa Bear Stearns di 3,2 miliardi di dollari per salvare almeno uno dei due hedge funds. La crisi – questo il messaggio subliminale che viene diffuso – è chiusa: gli investitori devono rimanere tranquilli, perché in gioco non è solo il lucroso mercato dell' «impacchettamento» di miliardi di dollari di crediti ipotecari in grandi emissioni obbligazionarie da piazzare sul mercato, ma anche il finanziamento delle grandi scalate operate dai fondi di Private Equity e buona parte dei crediti commerciali, da quelli alle aziende in difficoltà al credito al consumo e così via. In pratica, in gioco sono, da un canto, gran parte delle attività più redditizie delle grandi banche di investimento, dall’altro, uno dei canali privilegiati del denaro facile e a basso costo (ossia dell’enorme liquidità in circolazione).
Anche se vi è più di una ragione per dubitare che questa crisi sia risolta, vogliamo oggi concentrarci su alcune «lezioni» messe in rilievo da questa vicenda.
Innanzitutto, i grandi della finanza, paladini del liberismo, hanno tirato un sospiro di sollievo proprio per essere riusciti a sottrarre al mercato la possibilità di stabilire il valore delle obbligazioni in pancia ai due hedge Funds della Bear Stearns. Infatti, questi strumenti come molti altri (ad esempio alcuni prodotti strutturati) hanno un prezzo (così come un rischio) stabilito in base a modelli matematici e non in base alla legge della domanda e dell’offerta. Ebbene, dato che gli strumenti usati da questi due Hedge Funds ed altri simili sono molto diffusi, la grande paura di Wall Street è stata che un’asta pubblica degli strumenti detenuti da questi due Hedge Funds avrebbe determinato un prezzo di mercato, sicuramente nettamente inferiore a quello calcolato in base a questi modelli matematici, costringendo le banche di investimento, gli Hedge Funds, molte compagnie di assicurazione e molti fondi pensione a dover correggere i propri bilanci, che oggi sono scritti in base a questi prezzi di fantasia. Si sarebbe trattato di un’operazione estremamente dolorosa che molto probabilmente è stata rinviata solo di qualche settimana.
La seconda considerazione riguarda gli stessi Hedge Funds. Questi strumenti vengono venduti sostenendo che assicurano una redditività superiore a quella dei mercati finanziari (detta in altri termini, ottengono risultati migliori di quelli di un indice di riferimento). Ebbene, questa tesi non è sostenuta dai fatti. Come ha messo in rilievo il Financial Times, nel 2004 e nel 2005 solo il 5% dei fondi di fondi hedge (un fondo che incorpora partercipazioni in diversi Hedge Funds) ha fatto meglio dei mercati, mentre il rimanente ha ottenuto risultati pari o inferiori ai mercati. Per l’anno scorso non sono disponibili ancora dati, mentre per l’anno in corso è molto probabile che il quadro complessivo si rivelerà ancora peggiore. Ma anche questi dati sono da prendere con le pinze, viste le modalità di determinazione dei prezzi di questi strumenti. È invece certo che se gli investitori si assumono un notevole rischio per risultati mediamente mediocri, ciò non vale per i gestori degli Hedge Funds e per l’industria finanziaria che li vende.
Questi sono solo alcuni problemi dei nuovi strumenti creati dall’industria finanziaria. Ben più importanti sono le conseguenze sugli equilibri macroeconomici, sociali e politici creati dalla finanza globale del giorno d’oggi. Infatti, il tema cruciale riguarda i vantaggi e gli svantaggi dell’attuale processo di finanziarizzazione dell’economia.
04/07/2007
CdT
Alfonso Tuor
Le grandi banche di investimento del mondo stanno operando per risolvere (almeno temporaneamente) la grave crisi dei due Hedge Funds della banca di investimento americana Bear Stearns e stanno con grande professionalità cercando di coprire con un velo di silenzio la vicenda per evitare che si apra un dibattito sulla reale natura di molti nuovi strumenti finanziari. Ma dato che la soluzione di questa crisi si rivelerà molto probabilmente solo un rattoppo fatto per guadagnare tempo e dato che il problema posto investe gran parte delle attività dell’attuale mondo finanziario, in attesa della prossima puntata di questa o di altre crisi, è opportuno mettere in rilievo alcuni aspetti rilevanti che toccano tutti noi, poiché questi strumenti vengono spesso comprati da casse pensioni ed assicurazione che gestiscono i nostri risparmi previdenziali.
La crisi, come noto, scoppia circa due settimane orsono, poiché due Hedge Funds della Bear Stearns, attivi nel mercato delle obbligazioni costruite su pacchetti di crediti ipotecari, con 600 milioni di dollari di capitali propri, si ritrovano esposti per circa 20 miliardi di dollari grazie all’ampio ricorso alla leva, ossia all’indebitamento. E proprio le altre banche di investimento che avevano concesso questi crediti, non vedendo più onorati i cosiddetti «margin calls», hanno aperto la crisi, che è stata risolta nel giro di pochi giorni (con l’accordo di tutti) grazie alla messa a disposizione da parte della stessa Bear Stearns di 3,2 miliardi di dollari per salvare almeno uno dei due hedge funds. La crisi – questo il messaggio subliminale che viene diffuso – è chiusa: gli investitori devono rimanere tranquilli, perché in gioco non è solo il lucroso mercato dell' «impacchettamento» di miliardi di dollari di crediti ipotecari in grandi emissioni obbligazionarie da piazzare sul mercato, ma anche il finanziamento delle grandi scalate operate dai fondi di Private Equity e buona parte dei crediti commerciali, da quelli alle aziende in difficoltà al credito al consumo e così via. In pratica, in gioco sono, da un canto, gran parte delle attività più redditizie delle grandi banche di investimento, dall’altro, uno dei canali privilegiati del denaro facile e a basso costo (ossia dell’enorme liquidità in circolazione).
Anche se vi è più di una ragione per dubitare che questa crisi sia risolta, vogliamo oggi concentrarci su alcune «lezioni» messe in rilievo da questa vicenda.
Innanzitutto, i grandi della finanza, paladini del liberismo, hanno tirato un sospiro di sollievo proprio per essere riusciti a sottrarre al mercato la possibilità di stabilire il valore delle obbligazioni in pancia ai due hedge Funds della Bear Stearns. Infatti, questi strumenti come molti altri (ad esempio alcuni prodotti strutturati) hanno un prezzo (così come un rischio) stabilito in base a modelli matematici e non in base alla legge della domanda e dell’offerta. Ebbene, dato che gli strumenti usati da questi due Hedge Funds ed altri simili sono molto diffusi, la grande paura di Wall Street è stata che un’asta pubblica degli strumenti detenuti da questi due Hedge Funds avrebbe determinato un prezzo di mercato, sicuramente nettamente inferiore a quello calcolato in base a questi modelli matematici, costringendo le banche di investimento, gli Hedge Funds, molte compagnie di assicurazione e molti fondi pensione a dover correggere i propri bilanci, che oggi sono scritti in base a questi prezzi di fantasia. Si sarebbe trattato di un’operazione estremamente dolorosa che molto probabilmente è stata rinviata solo di qualche settimana.
La seconda considerazione riguarda gli stessi Hedge Funds. Questi strumenti vengono venduti sostenendo che assicurano una redditività superiore a quella dei mercati finanziari (detta in altri termini, ottengono risultati migliori di quelli di un indice di riferimento). Ebbene, questa tesi non è sostenuta dai fatti. Come ha messo in rilievo il Financial Times, nel 2004 e nel 2005 solo il 5% dei fondi di fondi hedge (un fondo che incorpora partercipazioni in diversi Hedge Funds) ha fatto meglio dei mercati, mentre il rimanente ha ottenuto risultati pari o inferiori ai mercati. Per l’anno scorso non sono disponibili ancora dati, mentre per l’anno in corso è molto probabile che il quadro complessivo si rivelerà ancora peggiore. Ma anche questi dati sono da prendere con le pinze, viste le modalità di determinazione dei prezzi di questi strumenti. È invece certo che se gli investitori si assumono un notevole rischio per risultati mediamente mediocri, ciò non vale per i gestori degli Hedge Funds e per l’industria finanziaria che li vende.
Questi sono solo alcuni problemi dei nuovi strumenti creati dall’industria finanziaria. Ben più importanti sono le conseguenze sugli equilibri macroeconomici, sociali e politici creati dalla finanza globale del giorno d’oggi. Infatti, il tema cruciale riguarda i vantaggi e gli svantaggi dell’attuale processo di finanziarizzazione dell’economia.
04/07/2007
CdT