Uscire dall’euro? Esiste addirittura un piano segreto!

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USCIRE DALL’EURO? ESISTE ADDIRITTURA UN PIANO SEGRETO! MARIO GIORDANO: VI SPIEGO IN COSA CONSISTE E PERCHE’ A NOI CONVIENE

USCIRE DALL'EURO? ESISTE ADDIRITTURA UN PIANO SEGRETO! MARIO GIORDANO: VI SPIEGO IN COSA CONSISTE E PERCHE' A NOI CONVIENE - basta casta

Il piano segreto per uscire dall’euro

Per gentile concessione, pubblichiamo stralci di «Non vale una lira. Euro, sprechi, follie: così l’Europa ci affama»(Mondadori, 166 pagine, 17 euro), il libro di Mario Giordano in vendita da oggi. Il testo è diviso in tre parti:

«Perché bisogna uscire dall’euro»,

«Perché il sogno europeo è già finito» e

«Perché questa Europa non ci piace».


Lo stralcio che offriamo ai lettori di «Libero» è tratto dalla prima parte: al capitolo «E intanto le banche si preparano al “collasso”» il nostro editorialista rivela alcuni report redatti dai più importanti istituti finanziari italiani e non che teorizzano apertamente uno scenario di break-up dell’eurozona. Perché, si chiede l’autore, queste ipotesi non informano anche il dibattito politico e l’opinione pubblica, chiusa in dogmi e reciproci estremismi?
di Mario Giordano

La situazione, se non fosse tragica, sarebbe persino ridicola. Infatti, mentre pubblicamente è quasi vietato parlare di uscita dall’euro perché appena uno la nomina viene sommerso dai fischi e dai pomodori, in privato, nei sotterranei dei grandi istituti e nei caveau delle banche, si preparano tutti i piani dettagliati per far fronte all’ipotesi che viene ritenuta qualcosa di più di un’ipotesi.
Almeno una probabilità. Vietato dirlo, però: il popolo bue, come al solito, viene mandato al macello nella più totale ignoranza. «Non bisogna diffondere il panico» è la parola d’ordine. Per carità, il panico non va mai bene. Ma davvero esso nasce dalla conoscenza dei fenomeni? O piuttosto dall’ignoranza? Oggi, per dirne una, sappiamo come si formano i fulmini, e per questo essi ci fanno meno paura di quanta ne facevano agli antichi, che al contrario non ne conoscevano la natura. E allora: perché, in materia economica, c’è qualcuno che ci vuol riportare all’oscurantismo di Giove Pluvio?
il report
Nell’ottobre 2013, per esempio, Mediobanca ha preparato un rapporto di 122 pagine che è rimasto finora completamente riservato. Mai stato pubblicato. In Italia non ne ha parlato nessuno. L’unico a farne un accenno è stato il quotidiano inglese «Telegraph» in un articolo del 30 ottobre. Eppure si tratta di un documento esplosivo perché sostiene, in pratica, che l’Italia è vicina al capolinea, che il sistema sta per esplodere e che il nostro Paese sarà costretto a uscire dall’euro.
Si badi bene: Mediobanca non lo auspica, non chiede un ritorno alla lira, continua stoicamente a considerare la disciplina monetaria europea come l’unica possibile. Però non può fare a meno di prendere atto che staremmo assai meglio se fossimo fuori dall’euro. E che saremo costretti a uscirne se gli Stati del Nord Europa continueranno con la loro politica economica aggressiva nei confronti degli Stati del Sud.
Il passaggio chiave di questo documento riservato, che ho modo di consultare mentre scrivo, è a pagina 35-36 quando gli analisti di Mediobanca citano il cosiddetto «ciclo di Frenkel», cioè i sette passaggi chiave attraverso i quali un sistema a cambi fissi che non funziona si avvia alla distruzione. È uno degli argomenti principi di tutti i teorici del no-euro, perché il calvario di un’unione monetaria in difficoltà si manifesta sempre allo stesso modo, in tutte le crisi mondiali, dal Cile all’Argentina, e si conclude con l’ultima delle sette fasi, cioè quella del «collasso», in cui tutto salta per aria. Ecco, secondo Mediobanca, uno degli istituti finanziari più autorevoli del nostro Paese, il «ciclo di Frenkel si applica perfettamente» all’Europa del Sud (pagina 35) e dunque quello che ci aspetta è inevitabilmente il settimo punto del «ciclo» (pagina 36): «Il collasso: un attacco speculativo costringe i Paesi a lasciare il sistema a tassi fissi e a svalutare la moneta».
Ma perché dobbiamo aspettare il giorno del giudizio universale senza sapere nulla? Perché dobbiamo restare nell’ignoranza? Il «Telegraph», nel riferire del documento Mediobanca, sottolinea che per l’Italia il crash non sarebbe così disastroso: abbiamo un debito estero inferiore agli altri Stati del Sud, ancora molti risparmi privati, un avanzo primario in bilancio. «L’Italia può lasciare l’euro quando vuole, ed è abbastanza grande da superare lo shock.» Ma perché di tutto ciò non si può parlare apertamente? Perché si tengono i loro studi nei cassetti? «C’è paura ad affrontare questi temi, soprattutto ad affrontarli apertamente, ma sono all’ordine del giorno sulle piazze finanziarie» ci confessa una voce raccolta nel fondo di un caveau. E ci dà qualche indicazione per raccogliere la prova di quel che dice.
I report di questo genere, in effetti, abbondano. E tutti prendono in considerazione il crollo della moneta unica. «Uscita dall’euro e break-up» è il documento pubblicato dalla banca d’affari Nomura nel novembre 2012, «Risposta a 10 domande sull’Euro break-up» è il documento pubblicato da J.P.Morgan nel dicembre 2011, «Piano per un ordinato break-up dell’Unione monetaria europea» è lo studio realizzato da Jens Nordvig e Nick Firoozye sempre per Nomura nel gennaio 2012. Nel luglio del medesimo anno è la volta della Merrill Lynch: secondo il report della banca d’affari, l’Italia avrebbe «tutto l’interesse» a uscire ordinatamente dall’euro, a patto che lo faccia prima degli altri (Grecia e Spagna). A perderci sarebbe soltanto la Germania.
uscire o morire
Della stessa opinione anche un centro studi molto quotato nella City londinese, il Lombard Street Research, che nell’elaborare un report dedicato all’Olanda e all’euro (marzo 2012), a pagina 18 ipotizza, fra le altre, anche la possibilità che esca dalla moneta unica solo l’Italia, aggiungendo che di tutte le uscite questa sarebbe una delle meno costose. «L’Italia potrebbe tornare rapidamente a crescere» sostengono gli analisti. Anzi: il ritorno alla vecchia moneta sarebbe per il nostro Paese quasi una passeggiata, soprattutto se paragonato a ciò che ha passato negli ultimi dieci undici anni. Ma il report prende in considerazione anche altre possibilità: che lascino la moneta unica solo la Grecia e il Portogallo, oppure la Spagna, oppure l’Olanda con la Germania, oppure anche l’Olanda da sola. Sembra quasi una partita a poker: chi farà la prima mossa? E soprattutto: chi rimarrà fregato con le carte (inutili) dell’euro in mano?
Comunque, al di là delle singole e molto tecniche questioni affrontate da questi studi, quello che a noi interessa è sottolineare che il tema dell’uscita dall’euro, negli uffici dell’alta finanza, è all’ordine del giorno. Se ne parla nei corridoi, nei sottoscala, nei bunker riservati dei grandi centri direzionali. Lo conferma l’economista Eugenio Benetazzo, definito il Roubini italiano, uno dei pochi che aveva previsto in anticipo la crisi del 2008 con un best seller (Duri e puri) assai controcorrente. Nel suo Neurolandia Benetazzo parla degli «eurokiller», e cioè di quei «grandi operatori istituzionali, banche d’affari, amministratori di risparmio gestito, fondi pensione, che ritengono che l’euro abbia gli anni contati per ragioni strutturali e socioeconomiche». E perciò «stanno attivando politiche per trarre beneficio dal previsto default».
silenzio, si crepa
Ma perché nulla di questo dibattito trapela? Perché non viene alla luce del sole? Perché devono prepararsi a trarne beneficio solo i grandi operatori istituzionali e le banche d’affari? Se davvero l’Italia ha la possibilità di salvarsi uscendo dall’euro prima degli altri (come dice Merrill Lynch), perché questo non viene spiegato anche agli italiani? Perché, al contrario, ogni volta che si pone la questione dell’euro si viene liquidati con un’alzata di spalle e un’occhiata di disprezzo?
La Greenwich Treasury Advisors, società di consulenza che ha fra i suoi clienti le più grandi multinazionali, dalla Ibm alla Siemens, dalla Monsanto alla General Motors, segue con attenzione lo sviluppo della situazione anche perché, scrive nel suo report, «in democrazia non possono essere sostenuti piani di austerità per molti anni consecutivi» e dunque la rottura del patto dell’euro da parte di qualche Paese che non ce la fa più a reggere la situazione è da mettere in conto. Anche questa relazione, ovviamente, è rimasta sconosciuta agli europei (non certo alle multinazionali). L’unico documento di questo genere di cui si è avuta notizia è quello realizzato nel settembre 2011 dall’Ubs, l’Unione delle banche svizzere, perché è piuttosto catastrofico nelle sue stime e prevede costi altissimi per i cittadini europei in caso di uscita dall’euro. Eppure anche questo rapporto, tanto caro agli europeisti, comincia così: «L’euro ha creato più costi economici che benefici ai suoi membri. E per questo potrebbe non esistere più»…
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FONTE:
http://www.liberoquotidiano.it/news/economia/11566328/Il-piano-segreto-per-uscire-dall.ht
 
Soros: "Ue potrebbe appartenere ormai al passato"

Ormai è "una confederazione frazionata di stati caratterizzati da una sbalorditiva disoccupazione e da un forte risentimento contro la Germania".

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George Soros ha scritto un nuovo libro sull'Ue: "The Tragedy of the European Union".






NEW YORK (WSI) - L'Unione europea potrebbe essere una cosa del passato". E' quanto ha affermato l'investitore miliardario George Soros, nel corso di un evento che si è tenuto in mattinata a Londra.

Nel suo nuovo libro "The Tragedy of the European Union," ovvero "La Tragedia dell'Unione europea", Soros si chiede se per caso non sia troppo tardi riuscire ad assicurare la sopravvivenza dell'Ue.

"Nell'ultimo decennio, l'Ue si è trasformata da un potere globale a una confederazione frazionata di stati, caratterizzati da una sbalorditiva disoccupazione e dal risentimento verso una Germania riluttante" a fare qualcosa.

Soros ha sottolineato che, in caso di collasso dell'Unione europea, ci sarebbero "gravi conseguenze politiche ed economiche" sia per gli Stati Uniti che per il resto del mondo, e ha avvertito che, in assenza di decisioni politiche che alimentino il ritorno all'erogazione del credito da parte delle banche e una ulteriore integrazione, l'Europa intera farebbe fronte a 25 anni di stagnazione, della gravità di quella che ha caratterizzato il Giappone.
 
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ALLACCIAMO LE CINTURE DI SICUREZZA


12 marzo 2014
1 Commento




Una rischiosa e inutile partita a «rubamazzetto»: a questo si riduce l’architettura economica dell’Unione europea. A tracciare il quadro di «un gioco a somma zero», in cui gli unici risultati positivi si ottengono rubando risorse al proprio vicino di casa («beggar-thy-neighbour», letteralmente rubamazzo) non è il solito euroscettico, ma un pool di autorevoli economisti di Mediobanca, che lo scorso ottobre ha pubblicato un dettagliato report sulla situazione italiana e sui guai provocati dall’euro. Un lavoro di cui quasi nessuno si è occupato tranne, allora, il quotidiano «The Telegraph» e, oggi, Mario Giordano, che nel suo ultimo libro «Non vale una lira. Euro, sprechi, follie: così l’Europa ci affama» (Mondadori), inserisce lo studio in un lungo elenco di analisi con cui negli ultimi anni le grandi banche d’affari avevano previsto l’opportunità per l’Italia di liberarsi dalla gabbia europea.
Al centro del corposo report (123 pagine) realizzato dal team di esperti guidato da Antonio Guglielmi c’è il cosiddetto ciclo di Frenkel, dal nome dell’economista argentino Roberto Frenkel che nel 1983, sull’esperienza di quanto era successo in Cile e nel suo stesso Paese, elaborò un modello in sette passaggi su quello che accade quando un Paese debole lega il suo cambio a quello di un’economia più competitiva. La sequenza descrive in maniera impressionante quanto accaduto all’Italia con l’ingresso nella moneta unica.

Primo passaggio: la creazione di un’unione monetaria.

Secondo: i Paesi più forti fanno shopping di aziende (da noi Parmalat, Bulgari, Gucci e via elencando) sfruttando alti tassi di interessi e la certezza del cambio fisso.

Terzo: «Grazie all’iniezione di nuova liquidità, il livello di consumo interno e della domanda determinano un aumento del Pil e dell’occupazione, l’inflazione comincia a salire» (come accaduto fino al 2007).

Quarto: la competitività inizia a peggiorare ma i flussi di liquidità continuano a drogare il Paese, favorendo l’indebitamento privato e gonfiando il prezzo dei beni, a partire da quelli immobiliari (come successo fra il 2000 e il 2007).

Con il quinto passaggio iniziano i guai: gli investitori fiutano il vento e bloccano i flussi. Esplode la bolla immobiliare, crollano i consumi e il Paese precipita (e siamo ai giorni nostri).

Ed è qui, sesto, che entra in gioco la gabbia monetaria: il tasso di cambio bloccato impedisce l’assorbimento dello shock e le tensioni si scaricano tutte sui titoli di Stato.

L’ultimo passaggio è quello dell’Armageddon: gli attacchi speculativi mettono in ginocchio il Paese.

L’unica strada per evitare il collasso è quella di rompere le sbarre e uscire dalla gabbia.

Secondo gli esperti di Mediobanca siamo alla fase 5.

Se la sequenza di Robert Frenkel è corretta [ricordiamo che per lo studio del ciclo gli è stato assegnato il premio Nobel] stiamo per arrivare alla sesta e alla settima posta del calvario. Allacciamo le cinture di sicurezza.
 

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