SINIBALDO
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Fazio e Maranghi sul ring
di Renzo Rosati
11/2/2003
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La storica banca d'affari e investimenti che fu di Enrico Cuccia sta per dotarsi di un nuovo statuto. Dal quale usciranno ridefiniti i poteri dell'amministratore delegato.
Un passaggio decisivo della guerra che da mesi sconvolge gli equilibri finanziari del Paese. Coinvolti: Bankitalia, Intesa, Capitalia, Unicredit...
La Mediobanca, la storica banca d'affari e investimenti che fu di Enrico Cuccia e che ora è guidata da Vincenzo Maranghi, sta per dotarsi di un nuovo statuto.
Dal quale usciranno ridefiniti i poteri dell'amministratore delegato, cioè di Maranghi stesso.
Detta così potrebbe essere una notizia assolutamente insignificante, una delle tante d'ordinaria amministrazione nel mondo della finanza.
Invece a occhi più attenti si rivela un passaggio decisivo della guerra che da mesi sta sconvolgendo gli equilibri finanziari, industriali e perfino politici del Paese:
quella tra la Mediobanca e i tre maggiori istituti di credito italiani, Intesa, Capitalia e Unicredit, al quale si aggiunge il San Paolo-Imi.
COME LA MULETA DAVANTI AL TORO
Alle spalle di questi istituti di credito c'è infatti la Banca d'Italia, con il suo ruolo di vigile assegnato dalla legge, ma anche di arbitro delle partite finanziarie, che la legge non assegna ma che Bankitalia si è preso comunque.
E nel mondo degli affari tutti sanno che in questo momento nominare Maranghi al governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, è come agitare la muleta davanti al toro.
Il perché di tanto antagonismo affonda le radici nella storia, quando la Mediobanca rappresentava la finanza laica (e aveva come alleate la
Comit e il Credito Italiano) e la Banca d'Italia era considerata più sensibile agli spifferi del potere romano e tutelava appunto la Banca di Roma.
Ma questa è appunto archeologia.
Oggi le cose si sono ingarbugliate.
Capitalia e Unicredit sono i due maggiori azionisti della Mediobanca (Intesa e la controllata Comit ne uscirono fragorosamente) e le loro quote sono vincolate in un patto di sindacato che comprende il vecchio e nuovo gotha finanziario, dalla Fiat a Ligresti, da Pirelli a Mediolanum.
Al tempo stesso, però, Cesare Geronzi, presidente di Capitalia, e Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit, sono avversari di Maranghi e del suo potere.
Inutile dire che punto di riferimento di Geronzi (e in parte di Profumo) è Fazio.
PARTITA FIAT
Gli esiti di questa ruggine si vedono nelle grandi partite che di volta in volta vengono giocate sui tavoli dell'industria e della finanza.
Ultimo esempio, la vicenda Fiat.
Tra le banche creditrici del Lingotto ci sono appunto Capitalia e Unicredit, assieme a San Paolo e Intesa.
Il loro interesse è mantenere in vigore l'attuale piano industriale elaborato da Paolo Fresco e Alessandro Barberis.
Ma contro questo progetto si sono fatti avanti via via Roberto Colaninno ed Emilio Gnutti, sempre con Mediobanca alle spalle.
Fazio si è mosso dietro le quinte per tutelare gli interessi delle banche, ovvero i crediti congelati nella Fiat.
Risultato: finora una sostanziale paralisi del gruppo torinese e del suo management.
Lo stesso braccio di ferro ha riguardato di volta in volta l'Hdp-Rcs, con il controllo strategico del Corriere della sera, le Assicurazioni Generali, la Sai-Fondiaria, la Telecom.
Ogni volta gli interessi di Mediobanca si scontrano con quelli di Capitalia e Unicredit; ogni volta Maranghi entra in collisione con Fazio.
ROTTURA DELLA TRADIZIONE ALLE GENERALI
In particolare sotto la lente c'è la situazione delle Generali, al tempo stesso azionista e controllata da Mediobanca, dove il presidente Antoine Bernheim appare di volta in volta alleato o infido agli occhi di Maranghi.
Uno stato di cose peraltro sotto gli occhi di tutti, considerando che Bernheim, rompendo una tradizione di secolare riserbo che avvolgeva la compagnia triestina, ha dichiarato che le sue mosse dipenderanno dal rinnovo del mandato.
C'è chi sostiene che la vera posta in gioco sia il potere nella definizione di una serie di affari, Fiat in testa, nei quali gli interessi di Mediobanca si scontrano frontalmente con quelli delle banche.
Altri ritengono che si tratti di uno scontro tra deboli: da una parte il sistema bancario italiano pesantemente esposto con i maggiori gruppi
industriali e debolissimo all'estero, dall'altra Mediobanca con i suoi alleati, che non ha né le dimensioni né la forza per competere con le maggiori banche d‘investimento mondiali.
La classica guerra dalla quale rischiano di uscire tutti sconfitti; o meglio, colonizzati da qualche colosso straniero.
(CONTINUA)_____________________________________________________
SINIBALDO
di Renzo Rosati
11/2/2003
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La storica banca d'affari e investimenti che fu di Enrico Cuccia sta per dotarsi di un nuovo statuto. Dal quale usciranno ridefiniti i poteri dell'amministratore delegato.
Un passaggio decisivo della guerra che da mesi sconvolge gli equilibri finanziari del Paese. Coinvolti: Bankitalia, Intesa, Capitalia, Unicredit...
La Mediobanca, la storica banca d'affari e investimenti che fu di Enrico Cuccia e che ora è guidata da Vincenzo Maranghi, sta per dotarsi di un nuovo statuto.
Dal quale usciranno ridefiniti i poteri dell'amministratore delegato, cioè di Maranghi stesso.
Detta così potrebbe essere una notizia assolutamente insignificante, una delle tante d'ordinaria amministrazione nel mondo della finanza.
Invece a occhi più attenti si rivela un passaggio decisivo della guerra che da mesi sta sconvolgendo gli equilibri finanziari, industriali e perfino politici del Paese:
quella tra la Mediobanca e i tre maggiori istituti di credito italiani, Intesa, Capitalia e Unicredit, al quale si aggiunge il San Paolo-Imi.
COME LA MULETA DAVANTI AL TORO
Alle spalle di questi istituti di credito c'è infatti la Banca d'Italia, con il suo ruolo di vigile assegnato dalla legge, ma anche di arbitro delle partite finanziarie, che la legge non assegna ma che Bankitalia si è preso comunque.
E nel mondo degli affari tutti sanno che in questo momento nominare Maranghi al governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, è come agitare la muleta davanti al toro.
Il perché di tanto antagonismo affonda le radici nella storia, quando la Mediobanca rappresentava la finanza laica (e aveva come alleate la
Comit e il Credito Italiano) e la Banca d'Italia era considerata più sensibile agli spifferi del potere romano e tutelava appunto la Banca di Roma.
Ma questa è appunto archeologia.
Oggi le cose si sono ingarbugliate.
Capitalia e Unicredit sono i due maggiori azionisti della Mediobanca (Intesa e la controllata Comit ne uscirono fragorosamente) e le loro quote sono vincolate in un patto di sindacato che comprende il vecchio e nuovo gotha finanziario, dalla Fiat a Ligresti, da Pirelli a Mediolanum.
Al tempo stesso, però, Cesare Geronzi, presidente di Capitalia, e Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit, sono avversari di Maranghi e del suo potere.
Inutile dire che punto di riferimento di Geronzi (e in parte di Profumo) è Fazio.
PARTITA FIAT
Gli esiti di questa ruggine si vedono nelle grandi partite che di volta in volta vengono giocate sui tavoli dell'industria e della finanza.
Ultimo esempio, la vicenda Fiat.
Tra le banche creditrici del Lingotto ci sono appunto Capitalia e Unicredit, assieme a San Paolo e Intesa.
Il loro interesse è mantenere in vigore l'attuale piano industriale elaborato da Paolo Fresco e Alessandro Barberis.
Ma contro questo progetto si sono fatti avanti via via Roberto Colaninno ed Emilio Gnutti, sempre con Mediobanca alle spalle.
Fazio si è mosso dietro le quinte per tutelare gli interessi delle banche, ovvero i crediti congelati nella Fiat.
Risultato: finora una sostanziale paralisi del gruppo torinese e del suo management.
Lo stesso braccio di ferro ha riguardato di volta in volta l'Hdp-Rcs, con il controllo strategico del Corriere della sera, le Assicurazioni Generali, la Sai-Fondiaria, la Telecom.
Ogni volta gli interessi di Mediobanca si scontrano con quelli di Capitalia e Unicredit; ogni volta Maranghi entra in collisione con Fazio.
ROTTURA DELLA TRADIZIONE ALLE GENERALI
In particolare sotto la lente c'è la situazione delle Generali, al tempo stesso azionista e controllata da Mediobanca, dove il presidente Antoine Bernheim appare di volta in volta alleato o infido agli occhi di Maranghi.
Uno stato di cose peraltro sotto gli occhi di tutti, considerando che Bernheim, rompendo una tradizione di secolare riserbo che avvolgeva la compagnia triestina, ha dichiarato che le sue mosse dipenderanno dal rinnovo del mandato.
C'è chi sostiene che la vera posta in gioco sia il potere nella definizione di una serie di affari, Fiat in testa, nei quali gli interessi di Mediobanca si scontrano frontalmente con quelli delle banche.
Altri ritengono che si tratti di uno scontro tra deboli: da una parte il sistema bancario italiano pesantemente esposto con i maggiori gruppi
industriali e debolissimo all'estero, dall'altra Mediobanca con i suoi alleati, che non ha né le dimensioni né la forza per competere con le maggiori banche d‘investimento mondiali.
La classica guerra dalla quale rischiano di uscire tutti sconfitti; o meglio, colonizzati da qualche colosso straniero.
(CONTINUA)_____________________________________________________
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