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Le principali economie occidentali dopo la lunga recessione, a partire dalla seconda metà dello scorso anno, sono tornate a crescere, toccando l’apice nel quarto trimestre del 2009, con una crescita del Pil Usa di oltre il 5%, a cui ha fatto seguito un progressivo rallentamento. L'eccessivo ricorso al quantitative easing ha prodotto effetti deleteri per il sistema, che richiedono interventi strutturali per il superamento.
RITORNANO I TIMORI SULL’ECONOMIA: La stessa Fed si è dichiarata “spiazzata” dal rallentamento economico in realtà ampiamente prevedibile, da imputare alla fine del ciclo di ricostituzione delle scorte. La crescita maturata nei mesi precedenti in realtà non trova risposta nei fondamentali ma è figlia del sistema “drogato” dalle politiche espansive delle banche centrali. Una crescita senza consumi infatti non può proseguire all’infinito. L’attuale rallentamento non deve sorprendere più di tanto e potrebbe proseguire anche nei prossimi trimestri. La crisi attuale non è congiunturale ma strutturale. L’economia Usa ha un deficit pubblico ed un consumo eccessivo che implica un indebitamento privato insostenibile e per reggersi in piedi ha necessità di forti investimenti stranieri. Proprio il “braccio corto” delle banche, molte delle quali salvate dalla mano pubblica non hanno offerto il proprio indispensabile contributo al sistema. L’intervento delle banche centrali non ha risolto alla radice i problemi che hanno causato la recessione, ma li ha soltanto traslati: ad oggi le imprese di grandi dimensioni mediamente godono di ottima salute e sono tornate a fare i profitti del periodo pre-crisi. A pagarne le conseguenze è la finanza pubblica, il cui debito è alle stelle, in alcuni casi insostenibile.