baleng
Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Vorrei esprimermi senza riferimenti polemici, senza tirare in ballo chi qui non c'è, ma solamente a livello di critica e di cultura, cioè trattando di una situazione oggettiva anche se esterna a questo forum, come "esterni" sono le aste di Christie o i disegni di Picasso. Penso che certi 3d somiglino a delle liturgie soprattutto perché per gustare certi autori viene appunto richiesto un atteggiamento liturgico.
Mi spiego.
Già per gustare un'opera d'arte occorre mettersi e metterla in una certa condizione, quella del "distacco" artistico, quella che fa sì che il quadro di un omicidio non ci provoca la stessa impressione che avremmo assistendo ad un omicidio vero. Quella per cui accetto le convenzioni dell'opera lirica senza pretendere che l'azione sulla scena sia verosimigliante come un film western. Ma sappiamo che nella sua storia l'arte ha mescolato questo atteggiamento, criticamente precisatosi solo nel XX secolo, con altri atteggiamenti, rispondenti ad altre funzioni. Per esempio, la funzione devozionale, quella per cui un quadro della Madonna acquista importanza religiosa anche se privo di particolari qualità artistiche; o la funzione politica, vedi Realismo Socialista e i monumenti nelle piazze; quella educativa-informativa, quando gli affreschi nelle chiese servivano a far conoscere al popolo la storia religiosa; quella magico-terapeutica, per cui l'opera d'arte agisce direttamente sulla persona. Dunque, spesso la visione di un'opera e il giudizio su di essa risultano determinati da finalità non inerenti la pura estetica.
Chiusa la premessa, veniamo a Griffa (e, naturalmente, non solo a lui, prendiamolo solo come caso indicativo). Ho l'impressione che tutto l'impianto teorico si riduca infine ad una forma di meditazione sul gesto del fare pittura (non arte, pittura). Benissimo, perché no? Questo ritornare, se così si può dire, sui propri passi può avere grande valenza culturale, ma poi occorre vedere nel campo artistico che succede.Io percepisco in Griffa il senso del comprendere il proprio limite, il senso quindi dell'incompiuto, se vuoi anche dell'inanità dello sforzo umano così come della dignità di compierlo comunque, questo sforzo. Tutto questo è sottilmente magico, ottenuto più con silenzi che con suoni, e non è vero che parli solo alla mente. Però non va percepito con i criteri con cui si legge un'opera di Monet o di Caravaggio, che sono diversi, ma ambedue inerenti all'atteggiamento del distacco artistico e del "lasciare lavorare il pittore su di me". Con Griffa il pittore "lavora" ben poco, in certo senso egli si ritrae, si nasconde, il lavoro lo debbo fare io andando a cercare il messaggio, e per fare questo debbo assumere un atteggiamento ben diverso. E' come, se mi si passa il buffo paragone, se nella sala di un museo, fossero spariti tutti i quadri e io, entrando, invece di potermeli godere, cominciassi ad interrogarmi "Che cosa è successo? Sarà un messaggio occulto? Saranno passati i ladri?" e magari assumessi in tal modo un atteggiamento indagatore.Certo che l'artista (che ha nascosto i quadri) ottiene una risposta da me! Ma non la ottiene più nell'ambito del distacco estetico, bensì in quello del coinvolgimento. Sono entrato dietro lo specchio di Alice, sono cambiati i parametri. Oggi ciò è proprio quanto ci viene proposto, ma occorrerebbe più chiarezza ed equanimità da parte dei proponenti. Per esempio, dico sempre che l'arte povera può fare un certo effetto in una casa di ricchi, per contrasto, ma nel terzo mondo ci può dare solo l'effetto discarica.
Ecco in cosa consiste l'atteggiamento che, per brevità, ho chiamato liturgico. L'opera non conta di per sé, ma come feticcio riferito ad altro, che io debbo conoscere, se possibile. A questo punto, la Madonna del Bellini o quella di Peppino Scassabarconi quasi si equivalgono, anzi, magari il secondo colpisce di più il fedele.
Chiaro che tutto questo comincia con l'operazione di Duchamp, che aveva, non dimentichiamolo, intenzioni nichilistiche. Duchamp ci mostra come influisca il contesto sul nostro atteggiamento di osservatori, ma questa è operazione NON artistica, bensì ESTETICA. In seconda battuta ci mostra anche come certe cose abbiano in sé una bellezza non sempre riconosciuta, e questa è una operazione NON artistica, ma CRITICA.
Le due cose le ritroviamo, mutatis mutandis, in Griffa. Che dunque ci sollecita ad essere critici e ad interrogarci su quanto vediamo. Questa è una forma di liturgia obbligata, ricorda l'ingresso in chiesa con il segno della croce, il togliersi il cappello entrando in casa altrui, e tutto ciò si riflette anche sul comportamento dei "difensori" (o meglio, attaccanti ): amico, sei entrato in chiesa senza toglierti il cappello! Con altro esempio, anche il più pacato degli umani può andar fuori di testa quando parla della sua squadra preferita, soprattutto volendo determinare i binari della discussione. Che, ovviamente, ai seguaci del tennis può non interessare, e ai filosofi può risultare semplicemente una occasione per scrutare le follie di questo pazzo pazzo mondo.
Mi spiego.
Già per gustare un'opera d'arte occorre mettersi e metterla in una certa condizione, quella del "distacco" artistico, quella che fa sì che il quadro di un omicidio non ci provoca la stessa impressione che avremmo assistendo ad un omicidio vero. Quella per cui accetto le convenzioni dell'opera lirica senza pretendere che l'azione sulla scena sia verosimigliante come un film western. Ma sappiamo che nella sua storia l'arte ha mescolato questo atteggiamento, criticamente precisatosi solo nel XX secolo, con altri atteggiamenti, rispondenti ad altre funzioni. Per esempio, la funzione devozionale, quella per cui un quadro della Madonna acquista importanza religiosa anche se privo di particolari qualità artistiche; o la funzione politica, vedi Realismo Socialista e i monumenti nelle piazze; quella educativa-informativa, quando gli affreschi nelle chiese servivano a far conoscere al popolo la storia religiosa; quella magico-terapeutica, per cui l'opera d'arte agisce direttamente sulla persona. Dunque, spesso la visione di un'opera e il giudizio su di essa risultano determinati da finalità non inerenti la pura estetica.
Chiusa la premessa, veniamo a Griffa (e, naturalmente, non solo a lui, prendiamolo solo come caso indicativo). Ho l'impressione che tutto l'impianto teorico si riduca infine ad una forma di meditazione sul gesto del fare pittura (non arte, pittura). Benissimo, perché no? Questo ritornare, se così si può dire, sui propri passi può avere grande valenza culturale, ma poi occorre vedere nel campo artistico che succede.Io percepisco in Griffa il senso del comprendere il proprio limite, il senso quindi dell'incompiuto, se vuoi anche dell'inanità dello sforzo umano così come della dignità di compierlo comunque, questo sforzo. Tutto questo è sottilmente magico, ottenuto più con silenzi che con suoni, e non è vero che parli solo alla mente. Però non va percepito con i criteri con cui si legge un'opera di Monet o di Caravaggio, che sono diversi, ma ambedue inerenti all'atteggiamento del distacco artistico e del "lasciare lavorare il pittore su di me". Con Griffa il pittore "lavora" ben poco, in certo senso egli si ritrae, si nasconde, il lavoro lo debbo fare io andando a cercare il messaggio, e per fare questo debbo assumere un atteggiamento ben diverso. E' come, se mi si passa il buffo paragone, se nella sala di un museo, fossero spariti tutti i quadri e io, entrando, invece di potermeli godere, cominciassi ad interrogarmi "Che cosa è successo? Sarà un messaggio occulto? Saranno passati i ladri?" e magari assumessi in tal modo un atteggiamento indagatore.Certo che l'artista (che ha nascosto i quadri) ottiene una risposta da me! Ma non la ottiene più nell'ambito del distacco estetico, bensì in quello del coinvolgimento. Sono entrato dietro lo specchio di Alice, sono cambiati i parametri. Oggi ciò è proprio quanto ci viene proposto, ma occorrerebbe più chiarezza ed equanimità da parte dei proponenti. Per esempio, dico sempre che l'arte povera può fare un certo effetto in una casa di ricchi, per contrasto, ma nel terzo mondo ci può dare solo l'effetto discarica.
Ecco in cosa consiste l'atteggiamento che, per brevità, ho chiamato liturgico. L'opera non conta di per sé, ma come feticcio riferito ad altro, che io debbo conoscere, se possibile. A questo punto, la Madonna del Bellini o quella di Peppino Scassabarconi quasi si equivalgono, anzi, magari il secondo colpisce di più il fedele.
Chiaro che tutto questo comincia con l'operazione di Duchamp, che aveva, non dimentichiamolo, intenzioni nichilistiche. Duchamp ci mostra come influisca il contesto sul nostro atteggiamento di osservatori, ma questa è operazione NON artistica, bensì ESTETICA. In seconda battuta ci mostra anche come certe cose abbiano in sé una bellezza non sempre riconosciuta, e questa è una operazione NON artistica, ma CRITICA.
Le due cose le ritroviamo, mutatis mutandis, in Griffa. Che dunque ci sollecita ad essere critici e ad interrogarci su quanto vediamo. Questa è una forma di liturgia obbligata, ricorda l'ingresso in chiesa con il segno della croce, il togliersi il cappello entrando in casa altrui, e tutto ciò si riflette anche sul comportamento dei "difensori" (o meglio, attaccanti ): amico, sei entrato in chiesa senza toglierti il cappello! Con altro esempio, anche il più pacato degli umani può andar fuori di testa quando parla della sua squadra preferita, soprattutto volendo determinare i binari della discussione. Che, ovviamente, ai seguaci del tennis può non interessare, e ai filosofi può risultare semplicemente una occasione per scrutare le follie di questo pazzo pazzo mondo.