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Perchè in pensione a 70 anni?

Una delle riforme più discusse e contestate è quella dell’età pensionabile. Perché innalzare l’età pensionabile ad almeno 70 anni è un'opzione da prendere in seria considerazione.

14 novembre 2011 , ore 10:39 - 0 Commenti


Uno dei temi tradizionalmente più controversi del dibattito politico italiano è quello delle pensione; negli ultimi bollenti mesi ha avuto un ruolo chiave nel fallimento del Governo Berlusconi, perché la Lega si è travestita da Rifondazione Comunista e ha posto il veto a qualunque provvedimento riguardasse le pensioni. In effetti, sono tanti a sostenere che il meccanismo di pensionamento già riformato molte volte negli ultimi vent’anni non possa essere ulteriormente rivisto, ma sono numerosi anche coloro che sostengono sia necessario rivedere ulteriormente e sostanzialmente le modalità del ritiro dal lavoro.
IL CONTESTO – Lo stato sociale è stata una straordinaria intuizione di Otto Von Bismarck (poi rivista, in tempi più recenti, da Sir William Beveridge): crea una serie di tutele che garantiscono la soddisfazione di bisogni di primaria importanza a tutti i cittadini, redistribuendo risorse raccolte grazie alle imposte; l’effetto indiretto di questo meccanismo è la solidarietà concreta tra le generazioni, quella tra i più ricchi e i meno abbienti. Ma come ricordano Gaetano Megale e Sergio Sorgi nelle prime pagine di “Guida all’Educazione Finanziaria”, “da qualche tempo è finito il XX secolo e con esso il carico di cure che gli Stati potevano e volevano dedicare ai propri cittadini”.
La struttura familiare e sociale su cui era stato costruito il sistema del welfare non esiste più e quindi quel sistema di protezione è ormai inadeguato e non può più reggere: le famiglie numerose, primo nucleo di mutuo soccorso, sono ormai frazionate e formate in larga parte da massimo tre persone; una volta, si andava a lavorare in età giovanissima, spesso facendo lavori di fatica e quindi fortemente usuranti, mentre oggi si ottiene l’indipendenza economica – volenti o nolenti – molto più tardi, godendo d’altro canto di condizioni di lavoro e di diritti un tempo impensabili; infine, oggi si vive molto più a lungo e anche questo contribuisce a rendere obsoleto quel tipo di stato sociale.
A questi aspetti, dobbiamo aggiungere che dal secondo dopoguerra il concetto di welfare state è stato travisato e se n’è abusato, trasformandolo da concreto e funzionale aiuto ai cittadini a regno della clientela, dello scambio di favori, dell’acquisto di consenso politico. Il risultato non poteva essere altro che lo sfascio dell’ambizioso (e giusto) progetto iniziale, con effetti catastrofici sull’equilibrio finanziario dei paesi dediti allo spreco.
LE CONDIZIONI ATTUALI – Pare evidente, alla luce di questi fatti, che il contesto richieda sostanziose modifiche ed aggiornamenti per tornare ad un giusto equilibrio tra risorse e prestazioni erogate. Molte cose sono state fatte negli anni, ma l’unica vera grande riforma (quella che prende il nome di Lamberto Dini, che stabilì il passaggio dal regime retributivo a quello contributivo) risale a quasi venti anni fa e, successivamente, per quanto si pretenda di affermare il contrario, sono stati fatti pochi e superficiali ritocchi. Non è interessante cercare i colpevoli, è molto più interessante cercare di capire perché si è sempre evitato di completare il lavoro iniziato da Dini: la veduta corta di chi ci ha governato, spesso condizionata dal desiderio di non fare riforme sgradite per non perdere consenso elettorale (c’è sempre un’elezione alle porte), una visione falsa e distorta della situazione finanziaria degli Enti pubblici che erogano i servizi, su tutti l’INPS.
I CONTI DELL’INPS – Della veduta corta abbiamo già parlato più volte e non è il caso di occuparsene ancora. Per quanto riguarda l’INPS invece c’è molto da dire.
Quante volte si sente la storiella che è non è necessario toccare le pensioni perché il bilancio dell’INPS è in pareggio? Tante, troppe. La raccontano in televisione e sui giornali politici attaccati alla loro sedia e commentatori servili, la diffondono i cittadini – ignari ed ignoranti – sperando di esorcizzare il problema.
Eppure basterebbe spendere un po’ di tempo sul sito dell’INPS dove sono disponibili tutti i più recenti bilanci dell’Ente. Sono bilanci complessi di molte centinaia di pagine, ma basta sapere cosa cercare ed appaiono informazioni che svelano una realtà ben poco tranquillizzante. Nella tabella che segue possiamo leggere le somme che annualmente lo stato italiano trasferisce all’INPS (in grassetto i dati consuntivi, in corsivo quelli preventivi, viene indicata la pagina a cui si trovano i dati). Anche se è intuibile, preciso che si tratta di milioni di euro.

Ecco sfatato il mito dell’INPS con il bilancio in pareggio. È vero che a consuntivo il bilancio presenta un pareggio, ma solo dopo che lo Stato italiano ha trasferito all’Ente della Previdenza Sociale somme pari a diverse finanziarie lacrime e sangue. Tutti gli anni e con un preoccupante trend in crescita: negli ultimi cinque anni un totale di quasi 420 miliardi di euro, un quinto del debito pubblico italiano.
Si pensi quale sospiro di sollievo rappresenterebbe per le casse dello Stato, per il nostro debito pubblico, per la nostra solidità riuscire a bloccare il trend o addirittura arrivare alla riduzione di questa voce così onerosa.
LE PROSPETTIVE FUTURE – Credo che con i dati appena riportati abbiamo già dato un’ottima ragione per capire la necessità di un intervento serio e profondo sui meccanismi del pensionamento. Ma non è finita perché ci sono tre aspetti che peggioreranno ulteriormente le cose.
Il primo è la struttura della popolazione: ho tradotto un articolo di dshort.com che sottolineava la struttura non più piramidale della società italiana e poneva un accento particolare alla concentrazione di popolazione nella fascia compresa tra i 35 e i 49 anni. L’articolo evidenziava che questa struttura potrebbe essere il miglior propellente per la ripresa economica italiana, ma nell’ottica che stiamo esaminando questo vuol dire che con le regole attuali un numero elevato di cittadini italiani (i cosiddetti baby boomers) andrà in pensione in un lasso di tempo compreso tra il 2020 e il 2040 senza adeguato ricambio tra la popolazione attiva. L’effetto sui conti dell’INPS sarà traumatico e i trasferimenti dallo Stato incrementeranno esponenzialmente.
Il secondo è l’aumento della longevità: l’aumento della vita media è un dato di fatto e Massimo Livi Bacci, uno dei più importanti demografi mondiali, sostiene che la vita media cresce di tre mesi ogni anno (pag. 3). Quindi se questo trend venisse confermato, quando i trentacinquenni di oggi avranno raggiunto l’età pensionabile di 65 anni, l’età media sarà aumentata di 7,5 anni, arrivando attorno a 90 anni. Anche in questo caso, l’effetto finanziario non sarà affatto trascurabile: mediamente dopo il pensionamento oggi un maschio vive circa 15 anni e una femmina 24. In termini percentuali un incremento di sette anni e mezzo è del 50% per gli uomini e del 31% per le donne e genererà un analogo incremento del costo finanziario a carico dello Stato. Il tutto senza considerare gli effetti di scoperte scientifiche (ormai non lontane) che abbiano un impatto diretto sulla longevità delle persone.
Il terzo, meno imponente ma da non trascurare, è il trasferimento all’INPS delle casse previdenziali di categoria: già da qualche anno alcune casse previdenziali sommerse dai debiti, come INPDAI, sono state accorpate all’INPS. La situazione di quasi tutte le casse di categoria è molto negativa: le prestazioni erogate già superano le entrate e nel giro di qualche anno il patrimonio delle casse sarà azzerato e quindi sarà inevitabile l’accorpamento; a salvarsi, per il momento, sono soltanto quella dei farmacisti e quella dei notai. Anche in questo caso, la conseguenza sarà un peggioramento progressivo del carico finanziario che ricadrà sullo Stato.
Se i 90 miliardi annui di oggi sono già una somma esorbitante, è semplice comprendere quanto la situazione possa peggiorare col passare del tempo: è un costo insostenibile, che avrà gravi conseguenze sociali e che testimonia una volta di più che ognuno dovrà essere responsabile di sé stesso, che lo stato mamma è già morto, anche se non ce ne siamo ancora resi conto. Per frenare questo fenomeno le leve su cui agire sono due: si possono tagliare le prestazioni, si può imporre un pensionamento in età più avanzata (a condizione che lo si faccia seriamente: il pensionamento a 70 anni raggiunto nel 2050 come stimato dal Tesoro non risolve nulla, un’altra operazione di maquillage). Non agire è in ogni caso drammatico: si arriverà davvero a quel default che oggi viene impropriamente e inutilmente sbandierato con tanta disinvoltura, con l’aggravante che coglierebbe tutti impreparati. Agire per tempo sul meccanismo di pensionamento ha vantaggi molteplici, ridurrà lo sbilancio dell’INPS e quindi i trasferimenti dallo Stato, rendendo consapevole per tempo il cittadino che avrà tempo per trovare soluzioni alternative, senza imporgli una vita lavorativa interminabile visto che l’accesso al mondo del lavoro avviene sempre più frequentemente ad un’età superiore ai trent’anni.
COSA FARE – Premesso che alcune tipologie di lavoro come le attività usuranti non dovrebbero rientrare in questo innalzamento, premesso anche che l’impatto dell’INPS sui conti pubblici verrebbe ridotto dall’emersione dell’economia sommersa (il cui valore è stato quantificato in circa 350 miliardi di euro, che genererebbero circa 70 miliardi di contributi annui), dovrebbe essere più chiaro il senso dell’innalzamento dell’età pensionabile, anche se è una soluzione comprensibilmente sgradita a molti lavoratori.
Certo, non deve essere un modo semplice e superficiale per fare cassa, ma credo che le posizioni di rigido rifiuto di alcune parti politiche e di alcune parti sociali siano tutt’altro che votate alla protezione dei cittadini, ma alla ricerca di un facile ed irresponsabile consenso. Una seria, ma profonda revisione dei meccanismi del pensionamento è impopolare oggi, ma responsabile e coerente con la ricerca del bene comune, il risparmio che ne scaturirà troppo importante ai fini della stabilità finanziaria del Paese.

di Stefano Lovato


Bravo Carca :up:
ottimo articolo
indovinate qual'è il partito che si è opposto alla riforma delle pensioni?
 

il carcarlo

only etf
IRAN: LA GRAN BRETAGNA NON ESCLUDE OPZIONE MILITARE (ASCA-AFP) - Bruxelles, 14 nov - Contro l'Iran ''tutte le opzioni devono restare sul tavolo''. Lo ha dichiarato il ministro britannico degli Affari Esteri William Hague, sottolineando pero' che al momento non si prende in considerazione o si preme per un'azione militare contro l'Iran in ragione del suo controverso programma nucleaere.

''Non prendiamo in considerazione l'intervento militare in questo momento, ne' lo raccomandiamo - ha detto a margine di una riunione con i suoi omologhi europei a Bruxelles -. Allo stesso tempo, diciamo che tutte le opzioni dovrebbero restare sul tavolo''.
 

luzzogno

Forumer storico
NO
apertura in gap
ritracciamento fino a chiudere il gap
dopo le aste si riparte...
Ciao Svezia,concordo aspettiamo dopo le aste e vediamo.
Dobbiamo aspettare anche le nomine non che lopsiconano&1-2 ICTUS non faccino qualche giochino.Qualcuno comincia a piangere che non ha soldi e deve chiederli alla moglie GALAN.
M5S ci saremo anche noi
:ciao::ciao::ciao:
belli&brutti
 

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