tontolina ha scritto:
naturalmente usufruiranno del decreto legge sull'INDULTO
da tempo abbiamo capito che il centro destra ha votato questa legge solo per evitare la galera agli amici
grazie naturalmente a quello "spendido" Mastella e compagni di merende
Comunque i nomi sono i soliti
http://213.215.144.81/public_html/articolo_index_28256.html
UN BAGAGLINO PIENO DI GUAI PER LOR SIGNORI: QUATTRO ANNI A COLANINNO, MARCEGAGLIA E LONATI. VENTI MESI A GERONZI, GRONCHI E SACCHETTI - E ADESSO PER IL PRESIDENTE DI CAPITALIA, DI NUOVO AZZOPPATO, RIPARTE IL RISIKO: ABN AMRO O UNICREDIT?...
Luigi Ferrarella per il Corriere della Sera
Tredici anni all'imprenditore Mario Bertelli, individuato (dopo 250 udienze in due anni di dibattimento a Brescia) come il principale artefice del crac della sua holding immobiliare turistico-alberghiera «Italcase», inghiottita nel novembre 2000 da un «buco» di 600 milioni di euro (circa 1200 miliardi di lire).
Ma se il castello societario di Bertelli (a lungo legato al marchio «Bagaglino») è crollato sotto il peso di questa spaventoso sbilancio, non è stato soltanto perché al piano terra operavano appunto Bertelli e la decina di suoi amministratori ora pure condannati per associazione a delinquere finalizzata a bancarotta, falso in bilancio, evasione fiscale e emissione (secondo il capo di imputazione) di 1138 miliardi di lire di fatture per operazioni inesistenti tra il 1995 e il 1998.
È stato, invece, anche perché al piano superiore, quello teoricamente più nobile, quello degli istituti di credito finanziatori del gruppo come Banca di Roma (oggi Capitalia), Banca Agricola Mantovana (controllata dal Monte dei Paschi di Siena) e Banca Nazionale dell'Agricoltura (incorporata in Antonveneta), i banchieri avrebbero cercato di fare gli interessi dei propri istituti ai danni di quelli degli altri creditori.
Per questo ieri a notte fonda — dopo una camera di consiglio iniziata 8 giorni fa, e con una sentenza-thrilling prima prevista per martedì, poi rinviata a ieri pomeriggio, quindi annunciata per le 21, e infine letta soltanto a mezzanotte —, il Tribunale di Brescia, tra i 63 imputati e i vari consiglieri d'amministrazione delle tre banche all'epoca, ha ritenuto colpevoli del reato di «bancarotta semplice» anche il presidente della Banca di Roma e oggi di Capitalia, Cesare Geronzi (pur assolto dalla bancarotta preferenziale), condannato a 1 anno e 8 mesi, più la sanzione accessoria dell'incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualunque impresa per due anni; l'amministratore delegato della Banca Popolare Italiana, Divo Gronchi, stesse pene (e analoga assoluzione parziale); il presidente della Piaggio, Roberto Colaninno, 4 anni e 1 mese, più interdizione dai pubblici uffici per 5 anni; l'industriale Steno Marcegaglia, stessa pena come il finanziere Ettore Lonati; l'ex vicepresidente Unipol, Ivano Sacchetti, 1 anno e 8 mesi, come l'ex direttore general Mps, Pierluigi Fabrizi. Cinque anni ai consulenti della «Lab», Carlo Maria Colombo e Mario Santaroni; 4 anni e 6 mesi all' ex amministratore delegato de I viaggi del Ventaglio, Marco Maria Colombo.
Nella ricostruzione proposta dal pm Silvia Bonardi al Tribunale presieduto dal giudice Enrico Fischietti, su 40 miliardi di lire concessi a Italcase nel luglio 1998 dal pool di banche per avviare un piano di risanamento secondo il progetto predisposto dai consulenti della «Lab», 36 miliardi sarebbero andati a ripianare proprio le esposizioni delle banche. Che, in più, avrebbero richiesto garanzie ipotecarie pari a quasi la totalità del patrimonio del gruppo e a oltre il 400% della somma fra precedenti prestiti e nuovi impegni. Così, pur essendo già consapevoli nel 1998 dello stato di insolvenza del gruppo, ne avrebbero prolungato artificialmente il collasso per trasformarsi e da creditori chirografari in creditori privilegiati e consolidare le ipoteche a scapito degli altri creditori. Specialmente delle decine di fornitori e piccole imprese sarde incaricate, ad esempio, della costruzione (500 ville e 6mila posti letto) del «Country Village» a Stintino.
Le tre banche, che nel corso del processo hanno raggiunto transazioni per 50 milioni di euro con il curatore fallimentare e i creditori, si sono difese ritenendo «indiscriminata» una imputazione a loro avviso basata «su elementi erronei e contrastanti con precisi dati documentali», e per la quale «non si comprende come la condotta del ceto bancario abbia potuto ledere la par condicio dei creditori». E ieri notte l'unico a commentare a caldo la condanna è stato Colaninno, «molto amareggiato poiché ritengo il mio comportamento, quale consigliere di amministrazione non esecutivo della Bam, sia sempre stato orientato, in completa buona fede, a una positiva soluzione che garantisse i fornitori e i creditori in generale. Convinto della correttezza e regolarità delle decisioni a cui ho partecipato in base a informazioni e proposte presentate al consiglio dagli organi esecutivi della banca, confido in una assoluzione in appello».
Tra sospensione condizionale delle pene (anche accessorie), indulto e prescrizione già a metà dell'anno prossimo, per i condannati che oggi nelle banche siano amministratori o sindaci o direttori generali la sentenza rischia di pesare, più ancora che per le pene, per gli effetti legati al regolamento del ministero del Tesoro che individua i «requisiti di onorabilità e professionalità» dei vertici delle banche e «le relative cause di sospensione».
Tra esse c'è proprio il caso di condanna non definitiva (come questa di primo grado): i consigli di amministrazioni di Capitalia e Bpi (azioniste anche di Rcs) dovranno prenderne atto rispetto a Geronzi e Gronchi, in attesa che le assemblee dei soci decidano poi se confermare o revocare la fiducia ai vertici.
Dagospia 08 Dicembre 2006