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La chiave? In alcuni stati asiatici mascherine e uso dei big data.
di Claudio Del Frate - 26 ottobre 2020 | 15:36
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«L’intuizione fondamentale che ci ha aiutati nella lotta contro il Covid è la nozione di cluster di trasmissione», scrive Yosutoshi Nishimura, ministro incaricato della lotta al Covid. Cioè: pochi gruppi determinano una altissima contagiosità e dunque è necessario intervenire su quelli in maniera «chirurgica», isolandoli. Un criterio di mappatura e di incrocio dei dati che ha comportato un ampio impiego di nuove tecnologie di fronte al quale il Giappone non è stato colto impreparato.
«Gli esperti della sanità giapponese», prosegue il documento, «hanno utilizzato la tecnica del “tracciamento retrospettivo”», ricostruendo i movimenti del paziente molto precedenti il contagio. In secondo luogo si è cercato di prevenire le situazioni considerate a più alto rischio: spazi chiusi, spazi affollati, contatti ravvicinati. Il tutto facendo ampio ricorso a tecnologie informatiche ed intelligenza artificiale. «Il nostro “new deal digitale” - scrive ancora il ministro Nishimura - ha reso il lavoro da casa più facile promuovendo aggressivamente la tecnologia del telelavoro, liberando le persone dalla necessità di utilizzare i treni di Tokyo affollati di pendolari». La tecnologia si è rivelata infine un supporto indispensabile per la pratica dei test rapidi salivari e per gli anticorpi.
Corea: tracciamento e big data
Digitalizzazione e uso dei big data sono considerati la chiave del successo nella lotta al coronavirus anche in Corea del Sud. Qui all’inizio la situazione pareva sfuggire di mano: la curva epidemiologia era stata vertiginosa anche se i casi si concentravano principalmente nelle grandi aree urbane di Seul e Daegu.
Poi si sono adottate politiche di tracciamento massicce della popolazione attraverso app per smartphone ma anche facendo ricorso a raccolte di dati «a strascico» attraverso «tracce» lasciate da carte di credito o immagini di videocamere in luoghi pubblici. Una politica che ha suscitato perplessità dal punto di vista giuridico, a cui ha aperto la strada una riforma adottata dal governo coreano nel 2015 proprio per fronteggiare l’epidemia di Mers, scoppiata nel Paese in quel periodo.
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www.corriere.it
Taiwan è riuscita a mettere in fila 200 giorni consecutivi senza contagi interni da Covid-19 e ha evitato una seconda ondata del Coronavirus. Taipei ha saputo attuare un tracciamento rigoroso dei contatti, quarantene mirate e utilizzo diffuso della mascherina.
continua su: Come hanno fatto Taiwan e Corea del Sud a evitare la seconda ondata di Coronavirus
di Claudio Del Frate - 26 ottobre 2020 | 15:36
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«L’intuizione fondamentale che ci ha aiutati nella lotta contro il Covid è la nozione di cluster di trasmissione», scrive Yosutoshi Nishimura, ministro incaricato della lotta al Covid. Cioè: pochi gruppi determinano una altissima contagiosità e dunque è necessario intervenire su quelli in maniera «chirurgica», isolandoli. Un criterio di mappatura e di incrocio dei dati che ha comportato un ampio impiego di nuove tecnologie di fronte al quale il Giappone non è stato colto impreparato.
«Gli esperti della sanità giapponese», prosegue il documento, «hanno utilizzato la tecnica del “tracciamento retrospettivo”», ricostruendo i movimenti del paziente molto precedenti il contagio. In secondo luogo si è cercato di prevenire le situazioni considerate a più alto rischio: spazi chiusi, spazi affollati, contatti ravvicinati. Il tutto facendo ampio ricorso a tecnologie informatiche ed intelligenza artificiale. «Il nostro “new deal digitale” - scrive ancora il ministro Nishimura - ha reso il lavoro da casa più facile promuovendo aggressivamente la tecnologia del telelavoro, liberando le persone dalla necessità di utilizzare i treni di Tokyo affollati di pendolari». La tecnologia si è rivelata infine un supporto indispensabile per la pratica dei test rapidi salivari e per gli anticorpi.
Corea: tracciamento e big data
Digitalizzazione e uso dei big data sono considerati la chiave del successo nella lotta al coronavirus anche in Corea del Sud. Qui all’inizio la situazione pareva sfuggire di mano: la curva epidemiologia era stata vertiginosa anche se i casi si concentravano principalmente nelle grandi aree urbane di Seul e Daegu.
Poi si sono adottate politiche di tracciamento massicce della popolazione attraverso app per smartphone ma anche facendo ricorso a raccolte di dati «a strascico» attraverso «tracce» lasciate da carte di credito o immagini di videocamere in luoghi pubblici. Una politica che ha suscitato perplessità dal punto di vista giuridico, a cui ha aperto la strada una riforma adottata dal governo coreano nel 2015 proprio per fronteggiare l’epidemia di Mers, scoppiata nel Paese in quel periodo.
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Perché Giappone, Corea e Australia hanno contagi al minimo? Una chiave: i big data
Le autorità di Tokyo segnalano meno di 700 casi giornalieri, 61 quelle di Seul. Eppure in Asia il virus circola massicciamente. La chiave? Mascherine e uso dei big data
Taiwan è riuscita a mettere in fila 200 giorni consecutivi senza contagi interni da Covid-19 e ha evitato una seconda ondata del Coronavirus. Taipei ha saputo attuare un tracciamento rigoroso dei contatti, quarantene mirate e utilizzo diffuso della mascherina.
continua su: Come hanno fatto Taiwan e Corea del Sud a evitare la seconda ondata di Coronavirus
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