Charlie
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Dal 1928 una perdita dell’81%. La rivincita delle obbligazioni
MILANO - Nel lungo periodo l’investimento in azioni è sempre vincente? Lo hanno sostenuto (e lo sostengono) in molti. Ma, se questo può essere vero a Wall Street, certo non lo è a Milano. A mettere in discussione una delle teorie più diffuse tra gli economisti ci ha pensato Mediobanca, il cui ufficio studi ha esaminato l’andamento della Borsa attraverso l’elaborazione di una serie di dati, che arrivano fino al giugno scorso. Ebbene, dal 1928 a oggi l’indice di Piazza Affari, depurato dell’inflazione, ha perso l’81,7%. Chi, insomma, avesse messo 100 lire in Borsa 74 anni fa se ne troverebbe oggi soltanto 18,3. Se il confronto viene fatto invece con il 1960, tenendo conto oltre che dell’andamento delle quotazioni anche dei dividendi distribuiti, il calo si riduce al 14,9% (senza il reimpiego dei dividendi la flessione salirebbe al 72,9%). Arrivare a queste conclusioni non è stato facile: è stato infatti necessario «armonizzare» diversi indicatori che in un così lungo periodo hanno subìto variazioni. Senza contare che nel tempo lo stesso listino ha cambiato volto attraverso numerose uscite e ancor più numerose «new entry». Va comunque detto che i risultati variano se si modificano i termini temporali. Così, è andata bene a chi ha comprato azioni alla fine del 1979, in piena crisi industriale; e a chi lo ha fatto a fine ’95, quando il grado d’incertezza sull’ingresso dell’Italia nell’euro era massimo. Nel primo caso il guadagno sarebbe stato del 7,6% annuo, nel secondo dell’8%. A livello di singoli titoli (vedere grafici) Saipem ha ottenuto il rendimento migliore negli ultimi 18 mesi, mentre Sai vince, davanti a Sirti, la graduatoria riferita ai primi sei mesi di quest’anno. Bene anche, negli ultimi 18 mesi, le obbligazioni «corporate» e stabili (tra il 3,6 e il 3,9%) i Bot. In conclusione, l’investitore italiano guadagna solo se sa scegliere i tempi di ingresso e di uscita dal mercato. A perdere, insomma, a differenza di quanto comunemente si crede, è il «cassettista» di lunghissimo periodo.
Piccola nota finale: se il risparmiatore se la passa male, Borsa Italiana, la società che gestisce il mercato, è quella che fa più profitti: meglio di New York, Francoforte, Londra e Tokyo.
Giacomo Ferrari
Economia
Dal 1928 una perdita dell’81%. La rivincita delle obbligazioni
MILANO - Nel lungo periodo l’investimento in azioni è sempre vincente? Lo hanno sostenuto (e lo sostengono) in molti. Ma, se questo può essere vero a Wall Street, certo non lo è a Milano. A mettere in discussione una delle teorie più diffuse tra gli economisti ci ha pensato Mediobanca, il cui ufficio studi ha esaminato l’andamento della Borsa attraverso l’elaborazione di una serie di dati, che arrivano fino al giugno scorso. Ebbene, dal 1928 a oggi l’indice di Piazza Affari, depurato dell’inflazione, ha perso l’81,7%. Chi, insomma, avesse messo 100 lire in Borsa 74 anni fa se ne troverebbe oggi soltanto 18,3. Se il confronto viene fatto invece con il 1960, tenendo conto oltre che dell’andamento delle quotazioni anche dei dividendi distribuiti, il calo si riduce al 14,9% (senza il reimpiego dei dividendi la flessione salirebbe al 72,9%). Arrivare a queste conclusioni non è stato facile: è stato infatti necessario «armonizzare» diversi indicatori che in un così lungo periodo hanno subìto variazioni. Senza contare che nel tempo lo stesso listino ha cambiato volto attraverso numerose uscite e ancor più numerose «new entry». Va comunque detto che i risultati variano se si modificano i termini temporali. Così, è andata bene a chi ha comprato azioni alla fine del 1979, in piena crisi industriale; e a chi lo ha fatto a fine ’95, quando il grado d’incertezza sull’ingresso dell’Italia nell’euro era massimo. Nel primo caso il guadagno sarebbe stato del 7,6% annuo, nel secondo dell’8%. A livello di singoli titoli (vedere grafici) Saipem ha ottenuto il rendimento migliore negli ultimi 18 mesi, mentre Sai vince, davanti a Sirti, la graduatoria riferita ai primi sei mesi di quest’anno. Bene anche, negli ultimi 18 mesi, le obbligazioni «corporate» e stabili (tra il 3,6 e il 3,9%) i Bot. In conclusione, l’investitore italiano guadagna solo se sa scegliere i tempi di ingresso e di uscita dal mercato. A perdere, insomma, a differenza di quanto comunemente si crede, è il «cassettista» di lunghissimo periodo.
Piccola nota finale: se il risparmiatore se la passa male, Borsa Italiana, la società che gestisce il mercato, è quella che fa più profitti: meglio di New York, Francoforte, Londra e Tokyo.
Giacomo Ferrari
Economia