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MILANO (MF-DJ)--Giorni cruciali per i destini di Karachaganak, il giacimento di gas in quota al consorzio Kpo operato da Eni e British Gas in Kazakhstan, ciascuna con una quota del 32,5%, e partecipato da Chevron e Lukoil.
Alle solite, scrive MF, il pungolo di Astana si fa sentire anche se il Production sharing agreement con le compagnie petrolifere e' blindato fino al 2037. Stavolta il pomo della discordia e' rappresentato dalla stima dei costi relativi alla terza fase del progetto di sviluppo del giacimento, forse la piu' impegnativa visto che prevede il raddoppio della produzione.
Il fatto e' che ai padroni di casa kazaki i 23 miliardi di dollari stimati da Eni e BG sono sembrati troppi. Le loro contro-stime, infatti, sono decisamente inferiori e si fermano a 13,5 miliardi di dollari. Per questa ragione a fine aprile il ministro del Petrolio e del Gas, Sauat Mynbayev, aveva improvvisato una conferenza stampa, sventolando le diverse previsioni di spesa e invitando le parti al confronto sui numeri per meta' maggio. Non si vede pero' quale sia l'interesse di Astana nel tenere sotto controllo i costi del progetto, a meno che non ci sia dietro la consueta manovra per far entrare anche a Karachaganak l'onnipresente KazMunaiGaz, che con l'acquisizione di una quota del consorzio si vedrebbe poi obbligata a sostenere la sua parte di investimenti.