Eolico
omenica 8 novembre è stato record in Spagna
Affari al Sud
Calabria, la truffa dell’energia eolica
Un territorio già massacrato da abusivismo, alluvioni e incendi rischia di essere sacrificato. Altra balla quella del lavoro che viene dal vento. I parchi eolici installati nel subappennino calabro al massimo impegnano quattro o cinque lavoratori
di Mauro Francesco Minervino*
(da
Il Mese) Pale, pale ovunque. “Aerogeneratori” si chiamano, per la tecnica e la burocrazia. Fino a due anni fa non c’era niente, non ne spuntava neanche uno. Adesso le turbine turbano. Adesso da lontano i mulini a vento possono sembrare i bracci di enormi ventilatori a pale messi lì a soccorso di noi poveracci di pendolari, phon enormi e torreggianti su aste bianche, bacchette magiche di una misericordia impotente a smuovere la fila di autobus e macchine che come formichine ogni mattina cuociono al sole sfilando lentamente sui rettifili d’asfalto torrido della strada dei due mari, da Lamezia a Catanzaro. I mulini crescono e si moltiplicano. Il vento non manca da queste parti. I mulini a vento girano bene, ma le pale non sempre mulinano. Altre torri eoliche, più grandi, bianche ed enormi, piantate come candeline su una torta di compleanno, sono spuntate sui contrafforti verdi delle Serre, appena sopra la valle dell’Angitola, verso la costa di Pizzo, ben visibili a chilometri dall’autostrada.
La piantagione di mulini si vede pure dall’aereo quando sul Tirreno fa un mezzo giro dal mare per prendere di petto la terra prima di mettere le ruote sulla pista di Lamezia. Proprio un bel colpo d’occhio. Un prato di bianchi steli di margheritone pop. In Calabria adesso è tutto un fiorire di progetti per l’installazione di torri eoliche. L’eolico è davvero una gara selvaggia, una nuova frontiera del Far West nostrano. Può un territorio come quello calabrese, già massacrato in lungo e in largo da decenni di abusivismo, di dissesti e alluvioni, incendi estivi e saccheggi ambientali consumati dal mare fino ai monti e fin dentro alle aree protette e i parchi nazionali, essere sacrificato sull’altare del business eolico? Credo che la corsa all’oro dei mulini a vento può distruggere del tutto quel poco che resta di uno tra i paesaggi più belli d’Italia. L’affare è nelle mani di nuovi improvvisati magnati del vento e del solito sottogoverno politico-mafioso che da noi fa il bello e il cattivo tempo. Opporci è un altro dei doveri civici a cui manchiamo. Infatti contro i mulini a vento non ho visto levarsi molte proteste in giro. Non sono stati certo gli “ambientalisti” nostrani a opporsi a questi progetti, anzi. Mi chiedo poi a che serve l’eolico in una regione senza industrie che di energia ne ha già da vendere.
La “bolla” speculativa dei certificati verdi, il sistema degli “sviluppatori” e tanti altri aspetti tetri e inquietanti di questo business in Calabria sono stati scoperti e messi in luce di recente anche dalle inchieste della magistratura, dalla Procura di Paola. È una strana tribù postmoderna quella degli “sviluppatori”, autentici sciamani dell’intermediazione dell’eolico in Calabria. Ma il troppo stroppia. I loro troppi miracoli col vento a un certo punto si sono impigliati e sono finiti nel mirino della Procura di Paola. Insieme ai loro referenti politici. Il pm Eugenio Facciolla ha iscritto nel registro degli indagati ex assessori e funzionari regionali. A metterli nei guai è stato un altro imprenditore del settore, il rampante Mario Nucaro. Personaggio da basso impero delle cronache locali, che conosce bene il sistema delle facilitazioni perché ne è stato un protagonista. Nucaro, nel periodo d’oro delle sue mutevoli intraprese che lo portarono anche a diventare presidente del Cosenza calcio, è riuscito a firmare addirittura una convenzione con la Regione Calabria che stabiliva una corsia preferenziale per la sua società, la Cesp. Leggendola si apprende che in meno di tre anni la Cesp aveva ottenuto autorizzazioni per 230 megawatt. “Facilitate” dall’intermediazione locale e poi tutte girate al colosso italo-spagnolo Erg-Cesa. Non solo. Cesp dichiarava di avere in ballo altri progetti per ulteriori 500 megawatt. Invece di interrogarsi su questo mostro che stava crescendo sotto i suoi occhi, la Regione Calabria quel giorno si impegna con la convenzione ad aiutare Nucaro a realizzare tutti i suoi progetti: praticamente una selva di turbine pari a un terzo di quelle esistenti in Italia. Poi Nucaro ha fatto bancarotta, ha perso pure il Cosenza calcio, e dopo aver litigato con i suoi referenti politici ha raccontato tutto al pm di Paola. Il risultato di questo dispiego di carte e inchieste è il solito: la Calabria produce la miseria 4 mila kwh sui 4 milioni prodotti in tutta Italia. E per giunta verificabili solo sulla carta. La scusa è quella che l’eolico comunque crea lavoro in una regione affamata di lavoro. Erano stati promessi posti di lavoro a mucchi. Che naturalmente non ci sono stati.
Altra balla quella del lavoro che viene dal vento. Tutti sanno che i parchi eolici installati nel subappennino calabro al massimo impegnano quattro o cinque lavoratori veri. Per un motivo molto semplice: le pale eoliche non richiedono manutenzione, arrivano già belle e pronte su enormi tir, vengono issate sui cocuzzoli e l’unico intervento importante da fare dopo averle piantate è quello di realizzare sui terreni le strade di servizio. Altra speculazione, altre brutture che sfregiano il paesaggio in modo definitivo. Ci sono meccanismi chiari che spiegano bene tutto questo interesse. Le sovvenzioni all’eolico in Italia sono le più alte e le più ricche d’Europa. Il prezzo dei certificati verdi è il più generoso del Continente. E così da noi, e in Calabria soprattutto, gli impianti eolici sono diventati un affare. Che attrae grandi aziende internazionali. Ma anche la criminalità che controlla i territori.
Non è la prima volta che vanno a braccetto amministrazioni compiacenti e interessi malavitosi. Politica e interessi malavitosi si saldano specie quando il potere in Calabria si baratta con le risorse pubbliche, con i beni indisponibili dell’ambiente e della natura, con la terra di un demanio su cui dominano e spadroneggiano i prepotenti. Anche i privati proprietari dei suoli dove sono ubicate le turbine traggono dai mulini un reddito superiore a quello che ricaverebbero dai raccolti o dal pascolo. Una data da ricordare è quella del 6 agosto del 2007. Quella mattina il Wall Street Journal raccontava che il colosso dell’energia britannico Ip, International Power, aveva comprato al prezzo enorme di un miliardo e 830 milioni di euro una parte dei parchi eolici sviluppati nel Mezzogiorno dal principale operatore italiano: la Ivpc (Italian Vento Power Corporation), un gruppo imprenditoriale di Avellino, ma di proprietà italoamericana, molto attivo nel settore dell’energia, dato che il 49 per cento della produzione eolica italiana è roba sua. Per avere un ordine di grandezza, nella classifica dei dieci affari più importanti del 2007, la cessione Ivpc figurava al nono posto, mentre all’ottavo c’era un contratto dello stilista Valentino, valutato 2,1 miliardi. Tutto il mondo conosce lo stilista-pensionato Valentino, pochi sanno cos’è questa Ivpc che in soli 15 anni ha costruito un impero in uno dei settori più importanti per il futuro dell’ambiente e che detiene la leadership della costruzioni dei parchi eolici in Campania, Marche, Molise, Puglia e Calabria. Sul sito di Ivpc si legge questa bella dichiarazione di intenti ambientalisti post-Kyoto, che in Calabria non suona tanto concerned: “Ivpc si è sempre posta l’obiettivo strategico di perseguire la miglior integrazione possibile delle centrali eoliche con il paesaggio. E questo per due ragioni: l’autentica sensibilità della proprietà e del management verso l’ambiente; il ruolo decisivo che il consenso delle comunità locali svolge nel processo di accettazione”. In realtà il parere della popolazione che un bel giorno vede piantarsi davanti i mulini a vento dell’Ivpc non c’è mai stato e, se c’è, non conta niente.