EURO - la BCE continuerà ad alzare i tassi... e le BANCHE? (1 Viewer)

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La Germania nella trappola della sua tirchieria – spiegato bene da Sacchetti​

Maurizio Blondet 29 Giugno 2023
Nei libri contabili della banca centrale tedesca c’è un buco di 650 miliardi di euro. I tassi alti che la Germania stessa voleva hanno finito per svalutare il valore degli stessi bund tedeschi. Adesso la Germania non riesce più a sfruttare l’euro artificialmente svalutato perché tutti i Paesi dell’eurozona sono schiacciati dalle politiche di austerità. La Germania ha finito dunque per segare il ramo sul quale era seduta. La fine dell’euro sembra sempre più vicina e alla fine di questa partita la Germania si ritrova come tutti gli altri. Si ritrova dalla parte degli sconfitti.

Il buco di 650 miliardi di euro della Bundesbank: la fine dell’euro più vicina?


IL BUCO DI 650 MILIARDI DI EURO DELLA BUNDESBANK: LA FINE DELL’EURO PIÙ VICINA?​

Inserito da La Cruna dell’Ago | Giu 29, 2023 | Notizie | 2 |
di Cesare Sacchetti
Alcuni lo hanno definito buco, altri ancora una voragine. I media italiani invece non sembrano aver dato nessun particolare rilievo alla notizia.
Le autorità federali tedesche hanno divulgato la situazione del bilancio della Bundesbank, la banca centrale tedesca.
Nella contabilità della Bundesbank risulta esserci una perdita astronomica pari a 650 miliardi di euro. La banca centrale che detiene la quota più rilevante della BCE ha la perdita più grossa dell’intero sistema europeo delle banche centrali.

Ciò è dovuto al risultato dell’aumento dei tassi di interesse e già questa circostanza potrebbe sorprendere diversi lettori.
Erano proprio i falchi tedeschi in passato a lamentarsi del fatto che i tassi di interesse della BCE fossero troppo bassi e che l’istituto di Francoforte stesse così “soffocando” i risparmiatori tedeschi.
Non si contano le volte che l’ex governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, aveva chiesto di mettere fine alla politica dei bassi tassi di interesse.
Adesso ciò che la Germania desiderava così ardentemente in passato ha finito per aprire la voragine in questione nei bilanci della sua banca centrale.
Il motto “stare attenti a quello che si desidera” non è uno di quelli che viene ricordato troppo spesso a Berlino,

ma per capire il meccanismo che ha prodotto tale enorme perdita occorre fare un passo indietro e tornare ai tempi
ai tempi del cosiddetto Quantitative Easing varato dalla BCE nel 2014.
Attraverso tale espressione sconosciuta a chi non è operatore del settore finanziario, si intende quella pratica con la quale una banca centrale compra il proprio debito pubblico per tenere bassi i tassi di interesse e aiutare così la ripresa dell’economia tramite prestiti a basso costo.

Dalle parti dell’Italia si chiamava “monetizzazione del debito” ed era una pratica standard fino a quando nel lontano 1981 l’allora ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta, e l’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, decisero d’imperio, senza nemmeno passare dal consenso del Parlamento, di vietare a palazzo Koch di comprare i titoli di Stato emessi del Tesoro.

Si consumava così il famoso “divorzio” tra Bankitalia e il Tesoro.

L’Italia stava iniziando a passare da un modello di economia mista di impronta keynesiana ad uno invece ispirato alla scuola neoliberale nella quale le banche centrali non sono istituti controllati dagli Stati ma piuttosto entità private indipendenti dalla cosa pubblica.

Banca d’Italia ha subito esattamente questa mutazione. È chiamata banca d’Italia ma non lo è come indica il nome dal momento che i suoi azionisti sono in larga parte banche private e tale istituto non emette nemmeno più una moneta nazionale da quando l’Italia è entrata nell’euro.
La BCE è fondata su principi del tutto identici. L’istituto di Francoforte non può comprare direttamente i titoli di Stato dei vari Paesi europei e fu Mario Draghi a ideare uno stratagemma per aggirare la lettera dei trattati europei attraverso l’acquisto indiretto dei titoli sul mercato secondario.
Esiste tuttora una controversia se tale scelta sia stata legale o meno ma ciò che rileva è che con tale politica l’ex governatore della BCE ha tenuto a galla l’euro condannando ovviamente alla recessione e alla crisi permanente l’eurozona, in particolare l’Italia.
Ora è noto che tale politica fu imposta contro il parere negativo della Germania che non voleva acquistare titoli di Stato ma la BCE scelse questa linea.
Ciò ha messo nella pancia della Bundesbank un ammontare di titoli di Stato pari al sinistro numero di 666 miliardi di euro di bond tedeschi.


I tassi alti che la Germania voleva hanno creato il buco della Bundesbank


L’acquisto dei titoli da parte della BCE si è interrotto già lo scorso anno ma ciò non ha impedito alla Bundesbank di totalizzare la perdita in questione.
L’aumento dei tassi di interesse ha portato ad una riduzione del valore di quei titoli. Nel mondo della finanza vige questa regola:
Quando un titolo di Stato ha un alto tasso di interesse il suo valore nominale è più basso perché tale titolo è considerato più a rischio.
Viceversa, quando il titolo ha un basso tasso di interesse è considerato più sicuro dai mercati e il suo valore nominale era più alto.
Quando quindi negli anni passati i tassi erano bassi i valori dei titoli tedeschi erano molto più alti. Adesso con l’aumento dei tassi voluto in passato proprio dalla Bundesbank il valore dei titoli sta scendendo e le perdite della banca centrale tedesca stanno aumentando.

C’è poi un altro aspetto che sta facendo perdere denaro alla Germania. È la differenza tra gli interessi pagati alle banche commerciali che hanno i conti presso la Bundesbank e il valore dei bund tedeschi in calo.
Mentre i primi sono saliti a causa del rialzo dei tassi imposto dalla BCE il valore dei secondi è sceso per il meccanismo spiegato in precedenza.

La Germania si trova in una sorta di cul de sac economico e ora si inizia a parlare esplicitamente della possibilità che la Bundesbank necessiti un salvataggio di Stato. [magari tramite il MES riformato?]
È stata la Corte dei Conti tedesca, che in Germania è nota con il nome di Bundesrechnungshof, a dire esplicitamente che la gravità della situazione potrebbe richiedere una ricapitalizzazione.

Non è questa la prima volta che la Bundesbank registra perdite sui suoi libri contabili. C’è un precedente nel lontano 1979 ma la differenza tra allora ed oggi è dovuta al fatto che la banca centrale tedesca all’epoca poteva permettersi quelle perdite perché era lei stessa a stampare moneta.

Oggi questa situazione non esiste più perché la Germania si ritrova esattamente nelle stesse condizioni degli altri Stati dell’eurozona. Non ha una propria moneta e non dispone di tutti i vantaggi di cui è possibile godere con la sovranità monetaria.

L’euro, la moneta costruita come un vestito su misura per l’industria mercantilista tedesca, non assegna più alla Germania il vantaggio competitivo di un tempo.

E’ certamente vero che l’euro è stato creato come strumento finanziario per comprimere i salari dei lavoratori europei, specialmente quelli italiani e greci, ma aveva anche il preciso scopo di gonfiare artificialmente le esportazioni tedesche attraverso un cambio “svalutato”.

La “virtuosa” Germania non ha fatto altro che truccare le regole del gioco.
Quando l’Italia uscì nel 1992 dallo SME, il precursore dell’euro, e quando la lira fu lasciata libera di fluttuare, l’economia italiana, nonostante la svendita dell’industria pubblica attuata da Draghi e i suoi epigoni, stava già crescendo di più di quella tedesca.
Negli anni 90 invece l’economia tedesca era sostanzialmente ferma. Fu la moneta unica a salvare la Germania e condannare l’Italia sempre grazie al contributo di una classe dirigente composta da esecutori degli interessi esteri.

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Il “dimenticato” articolo del Corriere del 1993 sul crollo della Germania dopo l’uscita dallo SME dell'Italia

Sono gli uomini citati prima che hanno fatto una folgorante carriera nelle istituzioni italiane tanto più questi infliggevano enormi danni all’economia del Paese. Sono i Ciampi, Prodi, Draghi e Amato.
Sono le quinte colonne della Germania e degli altri circoli finanziari che hanno preso il fiorente giardino dell’economia italiana e lo hanno trasformato in un campo di erbacce incolte.


L’euro: da motore della Germania a zavorra del Paese

Esiste però il rovescio della medaglia che ha portato il vincitore della competizione truccata nello stesso pantano nel quale si trovano gli altri Paesi dell’eurozona.
L’euro ha esaurito la sua forza propulsiva. Le esportazioni tedesche sono in perdita non solo in Europa ma in ogni parte del mondo.
La Germania è già entrata difatti nel territorio della recessione quando lo scorso mese il suo PIL ha registrato un altro segno negativo.
Ciò si spiega ancora una volta con la tendenza suicida della Germania. Berlino ha sempre fatto sua la linea del rigore ordoliberale. Tale linea imponeva a tutti di non attuare nessuna politica di spesa pubblica, Germania compresa, ma questa scelta si è rivelata suicida per la Germania.
I clienti della Germania sono rimasti schiacciati nella morsa dell’austerità e hanno dovuto ridurre le loro importazioni di prodotti tedeschi.

Il dato dello scorso marzo è incontrovertibile. -10,9% di ordini in meno per la Germania.

Ancora una volta si vede come la mentalità protestante tedesca sia alquanto priva di lungimiranza e intelligenza.

A questo si aggiunga che negli ultimi 3 anni ci sono stati i devastanti effetti della farsa pandemica che ha polverizzato ancora di più le già deboli economie dei Paesi europei, compresi quelli che compravano le merci tedesche.

L’unica maniera per contrastare seriamente gli effetti della crisi già in atto nel 2019 sarebbe stato quello di attuare massicce politiche di investimenti pubblici che ovviamente non sono state fatte.
Si è scelta la strada prediletta da Bruxelles e Berlino, ovvero quella dei prestiti del PNRR che non è nemmeno decollata ma si è piuttosto arenata anche per la scarsa volontà del governo Meloni di perseguirla per le ragioni che abbiamo spiegato in un precedente contributo.

Dunque la Germania ha finito inevitabilmente attraverso la sua sciocca ottusità per segare il ramo sul quale era seduta. L’euro da motore propulsore dell’economia teutonica è divenuto una palla al piede anche per la Germania.

Ci si chiede a questo punto se l’epilogo della moneta unica sia sempre più vicino.
Tutto lo lascia pensare.
La Germania è impelagata nella più grave crisi economica degli ultimi anni e i suoi indici di crescita sono tutti in caduta libera.
A questo poi deve aggiungersi il mutato quadro finanziario internazionale. Il contesto attuale è lungi dall’essere quello del 2013 quando alla Casa Bianca c’era Barack Obama e quando gli Stati Uniti avevano tutta l’intenzione di mantenere salda e intatta la struttura che regge il potere finanziario dell’anglosfera.
Tale potere si fonda sull’assoluta supremazia del dollaro come valuta di riserva globale e dell’euro come seconda valuta di riferimento nei mercati, ma questo ordine sta crollando rapidamente.

L’avanzata dei BRICS non sta solo ridisegnando rapidamente gli equilibri geopolitici ma anche quelli economici.
Sono sempre di più i Paesi che non stanno abbandonando solo il dollaro ma anche l’euro. E l’euro è indubbiamente persino più debole della valuta americana perché esso non è una moneta nazionale come il biglietto verde.
È una moneta transnazionale e come tale enormemente più fragile perché la sua emissione non è garantita da nessuno Stato nazionale.
Tutto lascia pensare quindi che la fase attuale sia veramente l’ultimo atto della moneta unica che ha aspettative di vita piuttosto brevi.
Non sarà probabilmente come il 1992 quando ci fu la fine dello SME che fu decisa dai poteri finanziari per poi passare alla fase successiva dell’euro.
Stavolta l’Europa marcia in una direzione diversa.
L’Unione europea in tale processo di cambiamento storico si ritrova debole e isolata e non è affatto da escludersi che in una situazione di così elevata fragilità la fine della moneta unica possa provocare la fine della UE stessa.

Alla fine di tale viaggio, viene in mente una riflessione che si era fatta qualche tempo fa. Nel gioco dell’euro alla fine non esistono vincitori ma solamente vinti.

E la Germania che credeva di aver vinto la partita si ritrova invece a sua volta dalla parte degli sconfitti.


 
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la riforma del MES serve alla GERMANIA


La Germania è di nuovo il “malato d’Europa”​

La politica economica della coalizione del semaforo ha conseguenze devastanti. La Germania sta scivolando sempre più in Europa e sta perdendo terreno. Specialisti e investitori migrano a frotte, l’industria delocalizza la produzione.
ANDRÈ JASCH
Mentre il resto del continente si sta gradualmente riprendendo dalle conseguenze della pandemia di coronavirus, la Germania si sta dirigendo verso una recessione. Gli alti prezzi dell’energia e le politiche economiche fallimentari stanno esacerbando una situazione già tesa. Ora le aziende e gli investitori voltano sempre più le spalle alla sede aziendale.
Più di recente, l’ indice ifo in Germania è sceso in modo insolitamente brusco , a 88,5 punti dai 91,5 punti del mese precedente. L’indagine dell’Ifo Institute di Monaco su 9.000 dirigenti nel paese misura le prospettive per il clima imprenditoriale. “La debolezza dell’industria, in particolare, sta mettendo l’economia tedesca in acque difficili”, ha dichiarato il presidente dell’Ifo, Clemens Fuest. L’umore è cupo in quasi tutti i settori. “È aumentata la probabilità che anche il prodotto interno lordo si riduca nel secondo trimestre”, ha affermato il capo dei sondaggi Ifo, Klaus Wohlrabe.

Il motivo della discesa della Germania​

I prezzi elevati dell’energia e l’inflazione costantemente elevata hanno causato un calo della domanda mondiale di beni. Ciò colpisce particolarmente duramente una nazione esportatrice come la Germania, il cui modello di business si è basato per anni sul gas a buon mercato proveniente dalla Russia e sulla fiorente esportazione di prodotti industriali. Questo modello di business sta ora subendo gravi crepe grazie alle sanzioni europee.....
Quando la domanda globale diminuisce (come nel caso degli alti costi dell’energia e dell’inflazione), questo modello diventa non competitivo. La produzione ad alta intensità energetica è stata colpita in modo particolarmente duro all’inizio della guerra in Ucraina e la produzione è diminuita drasticamente, mentre la produzione dell’area dell’euro è aumentata.

Per il 2023, le previsioni di crescita per la Germania sembrano fosche. A seconda dell’istituto economico, i tassi sono compresi tra lo 0,2% di crescita del PIL e talvolta anche negativi. Una recessione sembra difficilmente scongiurata. Nella zona euro, solo la piccola Estonia sta peggio. Mentre gli altri paesi dell’UE hanno raggiunto nuovamente il livello pre-coronavirus, la Germania continua a indebolirsi.

i problemi fatti in casa “Made in Germany”​

La coalizione del semaforo ha esacerbato inutilmente il declino con le sue politiche energetiche ed economiche. Il conseguente aumento dei costi energetici ha un impatto diretto sulla produzione industriale. I settori industriali ad alta intensità energetica come la produzione chimica – per anni una delle principali esportazioni della Germania – hanno ridotto la loro produzione a causa degli elevati costi energetici.

Inoltre, i problemi in Cina hanno colpito duramente l’industria tedesca. La Cina è un importante mercato di esportazione per la Germania. La Cina ha subito una recessione economica a causa della sua politica zero-Covid e si sta riprendendo più lentamente del previsto. A ciò si aggiungono gli alti costi della transizione energetica, che gravano sulla competitività dell’industria. Secondo il portale di comparazione Verivox, la Germania ha i prezzi dell’elettricità più alti al mondo con 31 centesimi per chilowattora, davanti a Danimarca (29 centesimi) e Belgio (16 centesimi).
La chiusura delle ultime tre centrali nucleari nella primavera di quest’anno dovrebbe presto riflettersi sul già elevato prezzo dell’elettricità non appena l’estate sarà finita. Quindi l’incerta fornitura di gas torna sul tavolo. Nel frattempo, i paesi dell’UE hanno unito le forze per formare un cartello del gas al fine di ottenere prezzi migliori sul mercato mondiale. Ma il costoso gas GNL è richiesto e l’Europa è in competizione con i paesi asiatici emergenti.

Se ne vanno investitori e professionisti​

Tutto ciò dipinge un quadro desolante che ora sta sempre più spaventando gli investitori. Secondo un recente studio dell’Istituto tedesco di economia (IW), nel 2022 sono usciti dalla Germania circa 125 miliardi di euro in più di investimenti diretti rispetto a quelli investiti in Germania. Di conseguenza, questi sono stati i più alti deflussi netti di capitali mai visti in Germania.

Inoltre, i lavoratori qualificati di cui c’è urgente bisogno nell’economia stanno lasciando la Germania a un ritmo sempre più veloce. L’anno scorso, 1,2 milioni di tedeschi hanno lasciato il paese ed sono emigrati principalmente in Svizzera, Austria e Stati Uniti. Questo continua una tendenza che va avanti dal 2016. Da allora, più di un milione di tedeschi hanno lasciato il paese ogni anno. Uno dei motivi potrebbe essere l’elevata tassazione in questo paese. Quando si tratta di tasse e imposte, la Germania è al secondo posto nel confronto OCSE (47,8% per i single). Solo in Belgio l’onere fiscale è ancora più elevato.

Ogni sesto posto di lavoro nell’industria migra​

Anche l’industria frena ulteriori investimenti in Germania. Non c’è da stupirsi, perché non c’è segno che gli alti prezzi dell’energia scendano presto, e questo determina in gran parte i costi fissi della produzione industriale. Secondo un sondaggio della Federazione delle industrie tedesche (BDI), il 16% delle aziende intervistate sta già attivamente trasferendo all’estero parte della produzione e dei posti di lavoro. Un altro 30% prevede di fare un simile passo.
In un sondaggio condotto dall’associazione di categoria VDMA , tre costruttori di macchine su quattro hanno affermato che l’attrattiva della Germania come sede commerciale è diminuita negli ultimi anni. Le società attribuiscono uno sviluppo simile (75%) solo alla Gran Bretagna. Solo un quarto dei partecipanti al sondaggio VDMA valuta le attuali condizioni quadro in Germania come buone o molto buone. Forniscono agli Stati Uniti, ad esempio, un rapporto molto migliore: il 74% ha descritto le condizioni come buone o molto buone.

Il governo sta cercando di contrastare questo con un tetto massimo per l’elettricità industriale, ma c’è ancora disaccordo sul percorso esatto. Il ministro dell’Economia Habeck vuole solo ridurre artificialmente il prezzo dell’elettricità per alcuni settori – come la chimica o l’acciaio – fino al 2030 al più tardi. La tariffa ridotta si applicherebbe all’80 per cento del consumo di base al fine di fornire un incentivo al risparmio. I costi per questo sono stimati tra i 25 ei 30 miliardi di euro, ovvero circa cinque miliardi all’anno.

E mentre il ministro dell’Economia Habeck e il ministro delle Finanze Lindner stanno ancora discutendo sul finanziamento del progetto, le aziende stanno già creando i fatti per rimanere competitive. Dopo due mesi consecutivi di calo degli ordini industriali, sempre più aziende si trasferiscono all’estero. Più di recente, il primo ministro della Bassa Sassonia Stephan Weil (SPD) ha lanciato l’allarme e ha invitato il governo ad agire rapidamente.
La costruzione di una nuova fabbrica di chip per il gruppo tecnologico Intel a Magdeburgo è solo una goccia nel secchio, che anche la Germania ha acquistato a caro prezzo. Lo Stato sta sovvenzionando la costruzione della fabbrica fino a dieci miliardi di euro, che dovrebbe creare fino a 3.000 posti di lavoro altamente qualificati a lungo termine. Si tratta di oltre 3 milioni di euro di sussidi per posto di lavoro creato.
 

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La visita di Baerbock in Brasile denota il tracollo diplomatico della Germania, nello stesso momento in cui il governo di Scholz, asservito all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e agli Usa, fa acqua al ritmo della recessione che si è abbattuta sull’economia, prendendosi il resto dell’Unione europea
 

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Bilancio Ue già esaurito: Orban chiede dove siano finiti i soldi​

Maurizio Blondet 2 Luglio 2023
DWN:

Il denaro che è stato a disposizione della Commissione Ue per sette anni sarebbe già stato speso in soli due anni. Il primo ministro ungherese Orban vuole sapere dove sono finiti i soldi e ha anche aspramente criticato i nuovi piani di spesa di Bruxelles.​

GREGORY UHLIG



“Dove sono finiti i soldi?”, ha chiesto giovedì il primo ministro ungherese Viktor Orban su Facebook e Twitter .......
la Commissione europea ha chiesto agli Stati membri di versare fondi aggiuntivi per decine di miliardi di euro a Bruxelles . Perché si sono aperti enormi divari nell’attuale bilancio.

“La domanda sorge spontanea: come si è arrivati a questa situazione e come avete portato l’Unione Europea sull’orlo della bancarotta?”, chiede Orban.

Vogliono 50 miliardi di euro dagli Stati membri da dare all’Ucraina, mentre non possono nemmeno rendere conto dei soldi che abbiamo dato loro finora. Vogliono più soldi dagli Stati membri in modo che possano pagare gli interessi sui prestiti del Unione Europea che hanno preso in prestito prima, che sono prestiti di cui Polonia e Ungheria non hanno visto un centesimo”, ha detto Orban.





io un'idea ce l'avrei.... andate a controllare quanti miliardi sono stati versati alle case farmaceutiche vacciniste
 
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oggi, dovrebbe preoccuparci l'inversione sulla curva 2-10 anni del Bund a -94 punti base, il massimo dal 1992. Altro annus horribilis, quantomeno per la Germania.

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questo ci riguarda direttamente, mentre lo scontro sul Mes pare assumere toni sempre più da conto alla rovescia non solo con l’Europa, ma anche all’interno dello stesso Governo?
Primo, il Nord Italia è dipendente in maniera sostanziale dal ruolo di subfornitura e fabbricazione macchinari per l’industria e la manifattura teutonica. Tradotto, il tonfo attuale arriverà come uno tsunami a fine estate sugli ordinativi. In piena contrazione del credito. E con l’Emilia-Romagna azzoppata, quindi con una voce del Pil che verrà a mancare nel suo ruolo di traino.
Secondo, ce lo mostra questa immagine finale: stando a un sondaggio Insa a livello nazionale e pubblicato due giorni fa, Alternative fur Deutschland è oggi seconda forza politica del Paese alla pari con l’Spd del Cancelliere in carica. E a soli 6,5 punti percentuali dall’Unione democratico-cristiana.
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La crisi mondiale del credito bancario​

di Alasdair Macleod
A livello mondiale sono ora improbabili ulteriori cali dell’inflazione dei prezzi al consumo e sono previsti ulteriori aumenti dei tassi d'interesse. I rendimenti obbligazionari sono già in aumento e si scatenerà una nuova fase della crisi bancaria.
Questo articolo esamina i fattori che si sono uniti per spingere i tassi d'interesse più in alto, destabilizzando l’intero sistema bancario mondiale. La contrazione del credito bancario è nelle sue fasi iniziali e questo da solo farà aumentare i costi degli interessi per i mutuatari. Abbiamo tra le mani una stretta creditizia vecchio stile.
Una nuova ondata d'inflazione dei prezzi, che più precisamente è un’accelerazione della diminuzione del potere d’acquisto delle valute fiat, porterà anche a tassi d'interesse più alti e ribassi nei valori finanziari e immobiliari.

I rischi bancari a livello mondiale sono in aumento
A poco a poco hanno cominciato a suonare i campanelli d’allarme sul credito.
Gli economisti monetaristi e della Scuola Austriaca stanno insistendo sul punto puntando il dito verso le misure ampie dell'offerta di denaro, che quasi ovunque si stanno contraendo. Anche l'economia della Cina sta avendo problemi di credito, con un altro grande promotore immobiliare, Country Garden Holdings, che ha mancato i pagamenti delle obbligazioni.

Una flessione ciclica mondiale del credito bancario è attesa da tempo ed è ciò che stiamo affrontando attualmente. L’evidenza empirica dei cicli precedenti, in particolare nel periodo 1929-1932, è che la paura può diffondersi a macchia d’olio attraverso le banche quando vengono tagliate le linee di credito interbancarie, i prestiti vengono chiamati indietro e le garanzie collaterali liquidate. La domanda che ci dobbiamo porre oggi è se l’attuale recessione sia più acuta di quelle affrontate sin dagli anni ’70, o se le tempestive espansioni delle passività delle banche centrali possano nuovamente metterci una pezza.

Il problema con l’utilizzo della politica monetaria per evitare una crisi finanziaria è che arriverà il momento in cui alla fine fallirà, in particolare quando è guidata da burocrati il cui punto di partenza è il presupposto che le banche siano adeguatamente capitalizzate per affrontare una recessione economica. Ciò ignora i debiti improduttivi dei cicli precedenti che si sono accumulati per formare un potenziale tsunami di bancarotte seriali.
E con i rendimenti obbligazionari di nuovo in aumento, ci sono buone ragioni per credere che sia ormai alle porte un punto di svolta.

Il credito, che è sinonimo d'imponenti montagne di debito, è tutta una questione di fiducia: nella politica monetaria, nella valuta e nella capacità di una controparte di mantenere gli impegni presi.

Prima di esaminare i rischi affrontati dalle valute fiat, vale la pena elencare alcuni dei fattori che possono portare al collasso di un sistema creditizio:

Contrazione del credito bancario. La contrazione del credito bancario è la conseguenza del fatto che i banchieri riconoscono che stanno aumentando i rischi di prestito. È grave quando la leva finanziaria dei bilanci bancari è alta, amplificandone la cancellazione del capitale degli azionisti a causa dei debiti inesigibili. Di conseguenza sia ai mutuatari normali che a quelli sovraindebitati, il cui flusso di cassa è stato colpito da tassi d'interesse più alti, vengono negati i prestiti, o almeno vengono razionati a un costo d'interesse più elevato. Pertanto le prime fasi di una flessione del credito vedono i tassi d'interesse salire ulteriormente portando al fallimento delle imprese. In sostanza, le banche centrali perdono il controllo sui tassi d'interesse.

Rischi di controparte interbancari. Esiste una lunga storia di banche che sospettano che una o più delle loro controparti sia sovraindebitata o mal gestita e costituisca quindi un rischio di controparte. Le banche hanno modelli analitici in comune per determinare questi rischi, quindi c’è il pericolo che la maggior parte delle banche condivida la stessa opinione su una particolare banca, portandola ad essere esclusa dai mercati all’ingrosso. Quando ciò accade, non può finanziare i deflussi di depositi, è costretta a rivolgersi alla banca centrale per ottenere supporto, oppure crolla improvvisamente. Di recente questo è stato il destino di Silicon Valley Bank. Un declassamento da parte di un’agenzia di credito, come S&P o Fitch, potrebbe innescare una crisi dei prestiti interbancari a livello locale o internazionale. E ora questi declassamenti sono iniziati.

Rendimenti obbligazionari in aumento. Le banche di solito accumulano debito pubblico, ridistribuendo i propri attivi quando sono caute nei prestiti al settore privato. Pertanto un aumento delle partecipazioni obbligazionarie tende ad essere anticiclico, con un’esposizione limitata a scadenze di solo uno o due anni. Questo schema è stato interrotto dalle banche centrali che hanno soppresso i tassi d'interesse fino o al di sotto dello zero in un momento di prolungata stagnazione economica. Ancora una volta Silicon Valley Bank serve da esempio di come tutto ciò possa andare terribilmente storto. È stata in grado di finanziare gli acquisti di obbligazioni statunitensi e delle agenzie governative a un tasso di finanziamento prossimo allo zero. Quando i tassi d'interesse sono stati rialzati, il conto profitti e perdite della banca ha subito un duro colpo e, allo stesso tempo, è sceso il valore di mercato dei suoi investimenti obbligazionari erodendone l'equity. La FED si è fatta carico di questo rischio creando il Bank Term Funding Program, in base al quale accetta titoli del Tesoro USA al loro valore di rimborso in cambio di contanti in uno swap di un anno. In sostanza, il problema negli Stati Uniti viene nascosto e si accumula invece nel bilancio della FED, anche se ciò non si riflette nelle pratiche contabili della banca centrale americana. Il ricorso a questa struttura ammonta attualmente a $107 miliardi ed è in aumento.

Stretta monetaria. Le principali banche centrali (FED, BCE, BoJ e PBOC) hanno ridotto i loro bilanci di circa $5.000 miliardi dall’inizio del 2022. Questa stretta monetaria è stata attuata non reinvestendo i proventi del debito pubblico in scadenza. Quasi tutta la riduzione dei bilanci delle banche centrali si riflette nelle riserve delle banche commerciali, ovvero saldi registrati nei loro conti come attivi. Di conseguenza il sistema bancario commerciale nel suo complesso si trova sotto pressione affinché le reinvesta in qualcos’altro, o riduca le sue passività combinate nei confronti di depositanti, obbligazionisti e azionisti. Inizialmente il sistema bancario commerciale può rispondere solo aumentando le disponibilità di buoni del Tesoro a tre e sei mesi, i quali rappresentano una base instabile per i finanziamenti pubblici.

Liquidazione delle garanzie. Tutti i grafici dei rendimenti obbligazionari nazionali ci gridano che stanno continuando a salire, invece di stabilizzarsi e infine scendere come sembra credere la maggior parte dei partecipanti al mercato. Inoltre, con i prezzi del petrolio e di altri prodotti energetici in forte aumento, la prospettiva di tassi d'interesse ancora più alti alimentati dalla contrazione del credito bancario (come spiegato sopra), insieme a una serie di altri fattori discussi in questo articolo, indicano rendimenti obbligazionari significativamente più alti e che innescheranno un mercato ribassista nelle attività finanziarie e nei valori immobiliari. Laddove le banche detengono garanzie collaterali a fronte dei prestiti, vi sarà una crescente pressione su di loro affinché svendano gli asset finanziari prima che il loro valore scenda ulteriormente.

Passività immobiliari. I prestiti bancari per immobili residenziali e commerciali dovranno assorbire sostanziali svalutazioni derivanti dalle conseguenze dei tassi d'interesse spinti al rialzo dall’inflazione dei prezzi e dalla contrazione del credito bancario. La crisi della Lehman riguardava i prestiti e la cartolarizzazione dei debiti ipotecari; questa volta tassi d'interesse più alti aggiungeranno gli immobili commerciali all’equazione.

Sistema bancario ombra. Le banche ombra sono definite come istituzioni che riciclano il credito anziché crearlo e per il quale è richiesta una licenza bancaria. Questo sistema comprende fondi pensione, compagnie assicurative, broker, società di gestione degli investimenti e qualsiasi altra entità finanziaria che presta e prende in prestito azioni o negozia derivati e titoli. Tutte queste entità presentano rischi di controparte per le banche e le altre banche ombra. Alcuni rischi possono emergere da trimestri inaspettati, come dimostrato dal crollo dei fondi pensione nel Regno Unito a settembre dello scorso anno.

Derivati. Le passività in derivati provengono dai mercati regolamentati mondiali, che secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali avevano un open interest di circa $38.000 miliardi lo scorso marzo, oltre a un’ulteriore esposizione nozionale di $60.000 miliardi in opzioni. I mercati dei derivati over-the-counter non regolamentati sono molto più ampi, con una stima di $625.000 miliardi alla fine del 2022, compresi contratti di cambio ($107.600 miliardi), contratti su tassi d'interesse ($491.000 miliardi), titoli azionari ($7.000 miliardi), materie prime ($2.300 miliardi) e credito compresi i default swap ($9.940 miliardi).
Tutti i derivati presentano catene di rischio di controparte. Abbiamo visto come una semplice posizione nei titoli del Tesoro statunitense abbia minato Silicon Valley Bank: un fallimento nei mercati dei derivati avrebbe conseguenze molto più ampie, soprattutto perché le autorità di regolamentazione non sono consapevoli della reale posizione di rischio dei derivati OTC dato che non rientrano nel loro mandato normativo.

Mercati pronti contro termine. In tutti i sistemi bancari, alcuni più di altri, le banche dipendono dai contratti di riacquisto per garantire la propria liquidità. Tassi d'interesse bassi e disponibilità delle garanzie collaterali richieste caratterizzano questa forma di finanziamento. In particolare in Europa, secondo l’International Capital Markets Association, le quantità totali dei pronti contro termine in varie valute hanno superato i €10.400 miliardi. Essenzialmente questi importi rappresentano squilibri all’interno del sistema finanziario, che essendo garantiti sono diventati molto più ampi dei tradizionali squilibri overnight regolati nei mercati interbancari. Anche se i pronti contro termine sono garantiti, è probabile che le conseguenze del fallimento di una controparte siano molto più preoccupanti per la stabilità del settore bancario nel suo complesso. E con tassi d'interesse più alti, un mercato ribassista dei valori collaterali è a prosciugare questa riserva di liquidità.

Bilanci delle banche centrali. Le banche centrali che hanno implementato il QE lo hanno fatto in concomitanza con la soppressione dei tassi d'interesse. Il loro successivo aumento ha portato a sostanziali perdite sui mercati, spazzando via più volte il loro capitale. Le banche centrali sostengono che ciò non è rilevante perché intendono mantenere i propri investimenti fino alla scadenza. Tuttavia, in qualsiasi salvataggio delle banche commerciali, il loro fallimento tecnico potrebbe diventare un ostacolo, minando la fiducia nelle relative valute fiat.

Considerando tutte queste potenziali aree di fallimento sistemico, è notevole che il forte aumento dei tassi d'interesse finora non abbia innescato una crisi bancaria più ampia. I fallimenti di Credit Suisse e di alcune banche regionali negli Stati Uniti sono probabilmente solo un riscaldamento prima dell'evento principale, ma quando arriverà quel momento diventerà una questione aperta se le banche centrali e i ministeri del Tesoro perseguiranno le procedure di bail-in o se ricorreranno ai bail-out come richiesto dagli aspetti pratici. La mancanza di coordinamento su questo tema tra le nazioni del G20 potrebbe mettere a repentaglio tutti i tentativi di salvataggio.

Inoltre, mentre i tecnici delle banche centrali hanno una certa conoscenza del credito e degli aspetti pratici del settore bancario, lo stesso non si può pretendere dai regolatori bancari. È raro che abbiano esperienza pratica nel settore bancario commerciale. Elaborano stress test, il cui presupposto di partenza è che le banche da loro regolamentate sopravviveranno, altrimenti mancano ai loro doveri di regolatori. È evidente come le ipotesi economiche alla base delle potenziali tensioni bancarie siano quasi sempre irrealisticamente moderate.
Senza contare che quando il fango viene a galla, l’imperativo burocratico è quello di scaricare tutta la colpa del fallimento sulle stesse banche commerciali e non sulla stessa incompetenza.



I punti deboli del sistema bancario americano
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