Falsi su Prodi, fascicoli sui pm. I dossier segreti del Sism

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Senza parole :rolleyes:

da www.corriere.it:

Falsi su Prodi, fascicoli sui pm. Ecco i dossier segreti del Sismi
Migliaia di file e carte negli armadi custoditi nell'attico di via Nazionale a Roma

ROMA - L'attuale presidente del Consiglio, Romano Prodi. L'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Edmondo Bruti Liberati. E molti altri pm come Stefano Dambruoso, il primo ad aprire l'inchiesta sul sequestro del suo indagato Abu Omar. Ecco le prime vittime accertate delle variegate attività che gli inquirenti etichettano come «disinformazione», «inquinamento delle indagini», «dossieraggio» e «spionaggio abusivo».

Principale accusato è Pio Pompa, il dipendente del Sismi, fedelissimo del generale comandante Niccolò Pollari, che gestiva l'ufficio del servizio segreto militare scoperto dagli inquirenti milanesi in via Nazionale 230, nel palazzo di fronte alla questura di Roma. Negli armadi pieni di carte e materiale informatico, che ora sono sotto sequestro, magistrati e polizia hanno trovato numerosi fascicoli personali intestati a giornalisti e soprattutto a magistrati considerati «nemici» del Sismi. Tra documenti e computer (almeno 5) è spuntato anche il dossier contro Prodi che l'agente Pompa avrebbe inviato ai due giornalisti di Libero ora indagati per favoreggiamento dei sequestratori di Abu Omar.

Il vicedirettore del quotidiano, Renato Farina, sarebbe stato anche pagato dal Sismi: nell'archivio segreto gestito da Pompa sono state trovate le ricevute di almeno due versamenti, che il giornalista firmava con il suo nome in codice di informatore «Betulla». Le somme: 2.000 e 5.000 euro, che per gli inquirenti sono l'indizio di un rapporto «stabile, organico e, dunque, retribuito», col Servizio segreto. Un esempio? Il 9 giugno scorso Libero annuncia «rivelazioni» in prima pagina: sarebbe stato Prodi, quand'era presidente della Commissione europea, ad autorizzare i voli segreti della Cia in Italia. L'articolo è firmato da Farina e dal redattore Claudio Antonelli, che obbedisce al primo (sentendosi presentare al Sismi come «il mio uomo») e che ieri ha concesso ai pm un interrogatorio che è stato segretato. L'accusa a Prodi non ha trovato alcuna conferma nelle indagini internazionali.
Ma nell'ufficio di via Nazionale gli inquirenti milanesi hanno trovato l'originale del dossier trasmesso da Pompa a Farina, che corrisponde esattamente all'articolo poi pubblicato, quando Prodi era già presidente del Consiglio.

Un altro obiettivo dell'attività sotterranea degli uomini del Sismi intorno al rapimento di Abu Omar era spostare l'indagine da Milano a Brescia. Come? Tentando di coinvolgere nella vicenda l'ex pm milanese Stefano Dambruoso, titolare dell'inchiesta sul sequestro fino alla primavera del 2004. Secondo la ricostruzione degli attuali pm, l'incontro del 22 maggio scorso tra Renato Farina e i procuratori aggiunti Spataro e Pomarici, avvenuto «simulando un interesse meramente giornalistico», seguiva un preciso disegno: «Porre specifici quesiti (suggeriti da Pompa al giornalista) in modo da poter apprezzare il grado di conoscenza degli inquirenti sul coinvolgimento del Sismi nella vicenda». E soprattutto «sviare gli accertamenti» della Procura fornendo ai pm «false informazioni (anche in questo caso suggerite al giornalista dal Pompa) circa presunte responsabilità organizzative nel sequestro del dr. Stefano Dambruoso e del personale della Digos di Milano».
Qualunque accertamento sull'ex inquirente milanese avrebbe costretto i magistrati a cedere l'inchiesta ai loro colleghi di Brescia. Nello stesso atto d'accusa notificato a Farina e Pompa, inoltre, si sostiene che «sempre il Pompa suggeriva a vari altri giornalisti con i quali era in stretto contatto la pubblicazione di articoli tendenti ad accreditare l'ipotesi di responsabilità del dr. Dambruoso e della Digos di Milano nell'organizzazione del sequestro». Nell'ufficio di Pompa, gli investigatori hanno trovato anche i due «rapporti» trasmessi da Farina e dal suo redattore sul colloquio con Spataro e Pomarici, che si aprì con queste domande: «Il Sismi c'entra col sequestro di Abu Omar? Voi che cosa ne sapete?».

Giovanni Bianconi
Paolo Biondani
 
«Direttore, ho istruito Betulla» Così Pollari veniva informato

ROMA — I resoconti erano puntuali e dettagliati. Dell’attività di depistaggio messa in atto, Pio Pompa informava in tempo reale il direttore del Sismi Nicolò Pollari. Le intercettazioni telefoniche allegate all’ordinanza di arresto per Marco Mancini e Gustavo Pignero delineano il ruolo del generale. Dimostrano che era a conoscenza di quanto i suoi uomini facevano. E che lo condivideva. Ma non solo. Gli accertamenti compiuti dai magistrati rivelano che le riunioni organizzate per concordare la linea da tenere sul sequestro di Abu Omar furono organizzate e in alcuni casi dirette dal capo del suo gabinetto. E infatti nella sua ordinanza il gip afferma: «Mancini e Pignero potrebbero aver taciuto al direttore quanto andavano tramando, organizzando e quanto hanno poi realizzato con uomini di sua fiducia allo stato ancora sconosciuti. In alternativa è possibile solo ipotizzare un concorso anche del direttore del Servizio generale Pollari nei reati ascrivibili a Mancini e a Pignero, per aver nascosto alla polizia giudiziaria e all’autorità giudiziaria le notizie ricevute in ordine al progetto e al sequestro di Abu Omar».
La bugia
Il primo giugno, al termine dell’interrogatorio davanti al pm, Pignero chiama Mancini per raccontare come è andata. «Ho riferito gener i c a - mente m a ho tenuto fuori il number one. Capito?...». Al magistrato Pignero ha raccontato la versione di comodo concordata con Mancini. E cioè che su Abu Omar e altri «obiettivi operativi» furono fatti accertamenti come richiesto dalla Cia. Lo stesso dice a Pollari quando lo chiama l’8 giugno per relazionarlo sul suo interrogatorio.
Pignero: Buonasera direttore.
Pollari: mi dica.
Pignero: Volevo solo dirle se quando lei ha qualche minuto per potermi ricevere, vorrei dirle qualcosa che attiene a un altro colloquio che ho avuto con quello di Milano e preferirei parlarne a voce...
Pollari: Vabbè fammi capi’... tanto noi non abbiamo niente da nascondere.
Pignero: No è che io ho voluto precisare... chiarire gli esatti termini dell’impiego del collega (Mancini ndr) per evitare che venga fatto oggetto di una lapidazione... ho chiarito gli esatti termini del problema di tipo operativo istituzionale, cioè che lui effettivamente ha effettuato degli accertamenti...
Pollari: Però ecco forse, accertamenti in che senso scusami?
Pignero: Accertamenti su chi fosse questa persona che effettivamente era un personaggio di interesse...
Pollari: Però queste attività sono comunque coperte da segreto anche l’attività e il merito... l’unico titolare a dire queste cose è il presidente del Consiglio, deve autorizzare noi non possiamo raccontare che tipo di attività facciamo... anche se a noi giova dirlo no, questo è un fatto positivo, però in merito alla nostra attività noi senza permesso del presidente del Consiglio non possiamo farlo, no...». Poi i due si accordano per vedersi.
La talpa
Con il passare dei giorni cresce la preoccupazione per quanto sta accadendo a Milano. Pompa commissiona al vicedirettore di Libero Renato Farina, nome in codice «Betulla» la finta intervista ai magistrati nel tentativo di carpire informazioni sull’inchiesta. Etiene costantemente informato il direttore del Servizio che mostra di essere perfettamente a conoscenza dei piani e dell’identità della «fonte». Il primo contatto è del 22 maggio 2006. Sono le 13.26.
Pollari: Pio, dimmi.
Pompa: Direttore, Betulla alle 17 s’incontra con il titolare di Milano... è una cosa importante.
Pollari: Perché?
Pompa: Si incontra perché... tramite... gli ha accordato di vederlo sulla questione famosa quindi dopo ci risentiamo in modo che gli ponga pure qualche domanda che ci può essere utile...
Pollari: Sì, ma lui sa cosa dire?
Pompa: Sa cosa dire ma è il caso che ripassi la lezione insieme a noi perché è un’occasione preziosissima.
Pollari: Sì certo.
Alle 15.31 Pompa parla con Farina: «Devi capire se... devi fare la parte di chi riceve l’informazione o se puoi stabilire un dialogo, capito... certo, ci sono delle cose particolari che magari si potrebbero chiedergli per avere dei chiarimenti». Il giornalista va dai magistrati che conoscono perfettamente le sue intenzioni e registrano l’intervista. Pompa avverte Pollari che «Betulla è a colloquio». Appena esce dal palazzo di Giustizia Farina chiama Pompa e gli riferisce il contenuto della conversazione con i pubblici ministeri. Alle 19.07 Pompa telefona a Pollari.
Pompa: Betulla mi ha chiamato, le riferisco?
Pollari: Sì. Pompa: La sua impressione è che su quanto ci riguarda non hanno niente.
Pollari: Ma è ovvio che non c’hanno niente perché non c’è niente... che cosa devono avere?
Pompa: Eh mentre invece c’è la assoluta difesa ed esaltazione dell’operato della Digos... poi dice che hanno chiesto più volte al Copaco di avere le sue audizioni... sull’aspetto specifico dice che non gliele hanno mai date... Dice che noi sappiamo che lui si è pronunciato in questa direzione ma nonostante le nostre reiterate richieste queste carte non ci sono... i verbali insomma.
Pollari: E perché glieli devono dare, scusa... cosa sono atti giudiziari quelli? sono atti secretati del comitato... atti parlamentari...
Pompa: Dice che comunque hanno raggiunto livelli altissimi e insperati... Poi avrò un resoconto più dettagliato ma diciamo che le cose principali sono queste...
Pollari: Ma tu che idea ti sei fatto?
Pompa: Mah... che l’articolo ha colpito nel segno.
Le riunioni
Le preoccupazioni per l’inchiesta milanese emergono già un mese prima. Scrive il giudice: «Il Sismi, appena saputo della convocazione da parte del pubblico ministero di tutti gli appartenenti al centro di Trieste, si è preoccupato di convocarli a Roma o a Trieste per dare loro indicazioni sulla necessità di opporre il segreto di Stato ove necessario a seguito delle domande dell’autorità giudiziaria». Il 23 maggio il capocentro di Trieste comunica a un tale Luciano «mi ha chiamato qualche minuto fa Gianvigio, il vicario nostro dicendomi che domani... di far stare pronti alcuni componenti del Centro di Trieste, devono trovarsi a Trieste in ufficio perché arrivano delle persone del Gabinetto...». Ascoltando una conversazione del giorno dopo, i magistrati si rendono conto che—come sottolinea il Gip — «le preoccupazioni del Sismi non erano collegate unicamente ai limiti del segreto di Stato opponibile al pubblico ministero, tanto che si sono preoccupati di parlare su un telefono non intercettabile».
Curti: Ciao Pilli scusa se ti disturbo... il capo di gabinetto avrebbe bisogno di parlare con il centro, ergo con te, ehh mi chiedeva su quale linea è attestato il giocherello che permette la chiacchiera.
Pillinini: Solo che io non sono al centro adesso, capisce? Sono a casa... se è urgente torno in ufficio e se no lo chiamo dal mio fisso non c’è nessun problema.
Curti: No... ma lui... tu lo sai stai parlando col capo di Gabinetto che ha... capito? una certa idea della situazione.
I politici
Appena dieci giorni prima Mancini era stato «congedato » da Pollari. La versione concordata era che prendesse un permesso per malattia, ma il pubblico ministero sottolinea «il forte risentimento di Mancini nei confronti del direttore per la mancata assunzione di responsabilità da parte di costui in ordine all’ammissione di avere effettivamente ricevuto dalla Cia la richiesta di cooperare al sequestro di Abu Omar. Atteggiamento bollato da Mancini come "codardia" che lo esponeva al ruolo di "capro espiatorio" ». Per questo Mancini cerca altri appoggi. Scrive il gip: «Sono state registrate una serie di conversazioni da cui risulta che Mancini, con l’aiuto di Marco Iodice, ha sollecitato ed effettuato alcuni incontri con eminenti personalità politiche, tenute all’oscuro del reale svolgimento della vicenda, nella verosimile prospettiva di sollecitare possibili interventi a proprio favore presso il direttore del Sismi. Mancini anzi non si fa scrupolo di comunicare ad altri tali suoi contatti ».
Il 18 maggio Iodice «gli comunica che si sta recando da un’altra eminente personalità politica per procurargli un incontro. Più tardi gli riferisce l’esito dell’incontro ».
Iodice: Sono uscito in questo momento... Sono stato tre ore... ha voluto sapere tutto nel dettaglio... Intanto sono rimasti sbigottiti, senza parole soprattutto per quel che riguarda il comportamento... eh massima solidarietà con te, piacere di vederti quanto prima e ovviamente... veramente hanno dimostrato grande affetto.
Mancini: Gli hai detto che io non ho fatto niente?
Iodice: ma assolutamente, guarda gli ho spiegato esattamente qual è stata la dinamicama lui non aveva neanche dubbi perché io gli ho detto... quando in pratica è arrivata questo tipo di richiesta noi ci siamoguardati in faccia, c’è stato un momento di riflessione, poi dopo ci siamo detti in Italia una cosa del genere non è proprio possibile farla, cioè è proprio al di là (si mette a ridere)... lui ha condiviso pienamente, quindi gli ho spiegato che c’è stata questa richiesta a cui poi dopo abbiamo chiuso dicendo... Allora Marco ti aspetta praticamente... sabato mi dice come sta messo. Dovrebbe essere o lunedì o martedì... ti faccio sapere sabato... però veramente di grande, grande vicinanza.
Mancini: E del comportamento codardo di altri?
Iodice: Sì, sì, no di quello soprattutto è rimasto veramente...
Mancini: Ah ecco.
Iodice: No quello è stato ovviamente tutto oggetto di riflessione, di analisi, di valutazione... mmmveramente è senza parole proprio in tutti i sensi... io poi dopo comunque ho corredato tutti gli aspetti possibili, compreso anche il capo di gabinetto...
Mancini: Non dubitavo... del mio comportamento ha detto che ho fatto bene a fare...
Iodice: No ha detto che diciamo quello che ti consiglierà è di andare subito a Milano.
Mancini: vabbè adesso parlerò con il mio avvocato e poi vediamo...
Fiorenza Sarzanini
08 luglio 2006
 
«In motorino andai a rapire Abu Omar»
Le confessione di carabinieri e funzionari del Sismi «Mancini si era offerto alla Cia come agente doppio»

ROMA— La mattina del 17 febbraio 2003 il maresciallo Ludwig, al secolo Luciano Pironi, carabiniere attualmente in servizio presso l’ambasciata italiana a Belgrado, dopo aver partecipato al sequestro di Abu Omar si preoccupò del cane che lo stava aspettando a casa. L’egiziano rapito in via Guerzoni a Milano, che Ludwig aveva fermato chiedendogli i documenti, era stato appena caricato a forza su un furgone. Il carabiniere si guardò intorno, con il passaporto dell’imam in mano, e vide il furgone fare manovra e scomparire verso piazza Dergano.
«L’uomo che mi aveva prelevato in piazzale Maciachini mi gridò: "Che fai? Sali!", insomma, sollecitandomi a salire. Così feci, e anche la nostra auto si diresse nella stessa direzione del furgone, di cui però persi la vista... Appoggiai nella macchina, forse sul cruscotto, i documenti di Abu Omar e il telefonino, e lì li lasciai. Senza parlare, e attraverso un percorso che non ricordo, l’uomo mi riportò in piazzale Maciachini, dove ripresi la mia moto. Attorno all’una o poco dopo ero in piazza Tricolore per andare a casa a dare da mangiare al mio cane. Non rividi più l’uomo della macchina e, per un po’ di tempo, neppure Bob».
Il ruolo di Ludwig
Bob è Robert Seldon Lady, capo centro della Cia a Milano, che il maresciallo Pironi conobbe tra la fine del 2000 e l’inizio del 2001, quando lavorava anche lui dalle parti del Duomo, in forza al Ros dei carabinieri. E’ lo stesso Ludwig a spiegarlo ai magistrati, nell’interrogatorio del 14 aprile scorso, quando ammette di aver collaborato al rapimento di Abu Omar. Con una premessa: «Ero convinto di partecipare a un’operazione di intelligence che, secondo quanto mi era stato detto da Robert Lady, era stata organizzata e preparata d’intesa con il Sismi e il ministero dell’Interno, al fine di reclutare Abu Omar come fonte informativa...». A Lady, Pironi aveva confidato che gli sarebbe piaciuto lavorare nel mondo delle spie, e lui gli garantì che l’avrebbe presentato al capocentro del Sismi di Milano. Poi gli parlò di Abu Omar, «un personaggio molto importante e pericoloso; diceva che si trattava di uno dei capi delle organizzazioni terroristiche islamiche in Europa».
E mentre gli assicurava che la sua assunzione nel Servizio segreto militare sarebbe andata a buon fine, lo arruolò per sequestrare l’egiziano: «Mi spiegò quale sarebbe stato il mio ruolo nell’operazione congiunta d’intelligence con il Sismi... Io avrei dovuto rivestire il ruolo di fermare per la strada, nei pressi di casa sua, Abu Omar, simulare una sorta di identificazione di polizia, in modo da consentire alle altre persone di avvicinarlo e prelevarlo... Io osservai che sapevo che la Digos stava in quel momento lavorando su Abu Omar, ma Bob Lady mi disse che la Cia aveva avuto assicurazioni del ministero dell’Interno che in quel periodo Abu Omar non sarebbe stato pedinato da alcuno. Bob intendeva dire che dal centro, cioè dal ministero o da vertici della polizia, sarebbero state impartite disposizioni perché in quel periodo fossero interrotti i servizi di pedinamento ».
Le cose andarono come previsto. La mattina del 17 febbraio Pironi svolse il suo regolare lavoro al Ros, e intorno alle 11.30 uscì col motorino fino al luogo dell’appuntamento. Un’auto gli passò accanto, si abbassò un finestrino, qualcuno lo chiamò: «Ludwig, sono l’amico di Bob, sali!». Considerazioni di Ludwig: «Si espresse solo in italiano corretto, non notai alcuna inflessione e dedussi che era un italiano, o uno straniero che parlava molto bene l’italiano». In macchina si avvicinarono alla zona del sequestro, poi una telefonata li fece muovere fino a via Guerzoni, dove all’improvviso spuntò Abu Omar. Pironi scese, chiamò l’uomo, gli chiese i documenti, quello glieli diede, il carabiniere lo fece avvicinare a un furgone bianco parcheggiato su un lato della strada. «Mentre esaminavo i documenti, passavano dei secondi senza che nulla succedesse e allora presi tempo... Finalmente si spalancò con una certa violenza lo sportello anteriore destro del furgone e un uomo, senza scendere, con mezzo busto fuori, gridò: "Ma cosa state facendo?"... Immediatamente si aprì rumorosamente anche il portellone laterale destro, due uomini che erano nel furgone sporsero le braccia e afferrarono Abu Omar e lo tirarono violentemente dentro, chiudendo il portellone».
Mancini e la Cia
Operazione compiuta. Ludwig fu riaccompagnato al motorino e pensò al cane. L’assunzione al Sismi però non andò in porto. E quando un anno e mezzo più tardi si sparse la voce che sul rapimento di Abu Omar erano in corso delle indagini, Lady gli disse che non c’era di che preoccuparsi. «Parlava di coperture governative», ricorda Pironi che descrive un colloquio in cui l’americano lo tranquillizzò: «Avvenne una volta che tornavo dal mare con miamoglie e ci fermammo a pranzare con lui in un ristorante dell’Astigiano... Ovviamente, quando parlammo di queste cose mia moglie non era presente; era fuori con il cane».
Anche all’ex capo centro del Sismi diMilano, il colonnello Stefano D’Ambrosio, Bob Lady parlò del progetto di sequestrare Abu Omar. Madicendogli che lui era contrario. Gli disse che era un accordo preso a Romatra i loro due Servizi, la Cia e il Sismi: «Non mi chiese alcun tipo di assistenza », ha spiegato D’Ambrosio ai magistrati. Aggiungendo che di quel colloquio lui riferì, alla fine del 2002, al suo diretto superiore, Marco Mancini, «pregandolo vivamente di informare il direttore di divisione, cioè Pignero... Mancini mi ascoltò in silenzio, senza manifestare alcuna forma di reazione. Era però profondamente colpito per il fatto che Lady mi avesse messo al corrente del piano. Mi chiese appunto "Ma proprio Lady te l’ha detto?"». Poco tempo dopo D’Ambrosio fu rimosso da Pignero, e dovette lasciare Milano.
Al suo posto subentrò lo stesso Mancini, «che si trovò a reggere contemporaneamente i centri di Bologna, Milano, Genova, forse Firenze e Torino. Era come se fosse diventato il responsabile di tutto il Centro o Nord Italia».Masul carabiniere in forza al Sismi ora finito in carcere, D’Ambrosio fa ai magistrati anche un’altra rivelazione: «Sempre nell’autunno del 2002 Lady mi disse che Mancini più di una volta si era offerto alla Cia come agente doppio. Cioè per poter continuare a operare nel Sismi, ma in realtà facendolo come agente doppio, nell’interesse della Cia. La cosa era talmente rilevante che avrei anche potuto presentarmi a rapporto dal direttore Pollari per riferirla, se solo avessi avuto elementi probatori insuperabili.
Lady mi assicurò circa il fondamento della notizia, dicendomi che esisteva nel loro sistema informatico traccia di tutto ciò». D’Ambrosio chiese la stampa di quei riferimenti, maLady rispose che era impossibile, dai computer sarebbero risaliti a lui. «Aggiunse comunque che la Cia aveva rifiutato questa offerta per un duplice motivo: da un lato temevano fosse una provocazione, dall’altro temevano che Mancini fosse un personaggio troppo venale... Dunque, mai ho riferito ai miei superiori o ad altri tale circostanza».
«Siamo stati noi»
Un altro capo centro Sismi all’epoca del sequestro, il responsabile di Trieste Lorenzo Pillinini, secondo l’accusa è coinvolto con altri colleghi nel rapimento di Abu Omar. Tra gli elementi a suo carico c’è la testimonianza di una impiegata civile del Servizio segreto militare, il perito informatico Roberta S., che ai magistrati ha raccontato un episodio avvenuto nei giorni successivi alla scomparsa dell’imam egiziano: «Capitava spesso, a noi appartenenti al Centro Sismi di Trieste, di trovarci a prendere il caffè insieme alla macchina "a cialde" che abbiamo in una cucina del Centro stesso. Orbene, proprio il giorno in cui la notizia era stata pubblicata su la Repubblica, ci trovammo a prendere il caffè io, il dottor Pillinini e il maresciallo Franco Gallo... Fui io stessa a introdurre il discorso del sequestro di questo Abu Omar ... Lo feci con una frase normale del tipo "Avete visto che è successo a Milano?". Ebbene, mentre stavamo parlandone, il dottor Pillinini pronunciò delle frasi il cui esatto tenore lessicale non posso ricordare, ma che facevano inequivocabilmente riferimento a una partecipazione del Sismi al fatto.
Disse cioè una frase del tipo "siamo stati noi" o "abbiamo partecipato noi" o qualcosa del genere che, ripeto, lasciava capire che lui fosse al corrente della partecipazione del nostro Servizio. Aggiungo che questo possibile ruolo del Sismi non fu in alcun modo precisato... Ripeto che parlò solo genericamente della "nostra partecipazione"... Dopo un primo momento di mia sorpresa e incredulità lasciai immediatamente cadere il discorso e dunque, anche per una formamentis acquisita nel Servizio, evitai di porre domande e non le feci neppure in seguito... Naturalmente, il Pillinini nel pronunciare quella frase non stava certo facendo una battuta. Era una frase non pronunciata certo in tono scherzoso».
Giovanni Bianconi
08 luglio 2006
 
Dall'ordinanza emergono incontri per stabilire le cose da dire a Spataro
Il successore di Mancini: se il pm vi chiede qualcosa opponete il segreto di Stato

"Mentite così al pm scemo di Milano"
Il giudice: gli 007 hanno depistato le indagini
di CARLO BONINI

ROMA - Con gli uomini del Sismi, la Procura di Milano non ha finito. Perché a mentire non sono stati soltanto quei funzionari che cercavano disperatamente di proteggere le proprie responsabilità e il proprio coinvolgimento diretto nel sequestro di Abu Omar (Marco Mancini; il generale Gustavo Pignero; l'ex capo-centro di Trieste Lorenzo Pillinini; l'ex capo-centro di Padova Marco Iodice; il dirigente del centro di Milano Maurizio Regondi; il maresciallo Giuseppe Ciorra). Nelle pagine dell'ordinanza del giudice Enrico Manzi, è una galleria di bugiardi, dove alcune menzogne brillano più di altre. Per l'approssimazione dilettantesca con cui vengono cucinate. Per l'arroganza con cui vengono proposte al procuratore aggiunto Armando Spataro.

L'incontro di Palazzo Baracchini. Il 13 maggio, a Palazzo Baracchini, sede del ministero della Difesa, Marco Mancini aspetta con una qualche impazienza il colonnello Giuseppe Gerli e il funzionario Maurizio Regondi. Li ha fatti convocare il pomeriggio precedente. Con una certa sollecitudine. Gerli è il capo-centro del Sismi di Milano, Regondi uno dei suoi ufficiali. Il Sismi ha un problema assai serio. Nel giro di due giorni, Gerli e Regondi sono attesi dall'interrogatorio del pm Armando Spataro. Regondi, che nel sequestro di Abu Omar è coinvolto, sa bene cosa dire. Chi preoccupa Mancini, invece, è quel Gerli. E' un ufficiale della Guardia di Finanza (il suo ultimo comando è stato il Nucleo Provinciale di Novara) che Pollari ha voluto personalmente al Servizio, dove è arrivato nell'agosto del 2003, sei mesi dopo il sequestro. Ma è, soprattutto, l'ufficiale che ha ereditato direttamente da Mancini il comando del centro Sismi di Milano.

Cosa i tre si dicano quel giorno al riparo delle mura di Palazzo Baracchini, la Procura non sa. Ma conosce le telefonate che precedono e seguono quell'incontro. "Sul telefono di Regondi sono state registrate numerose conversazioni con il colonnello Gerli e Mancini circa le possibili strategie investigative del pm. I tre ne hanno spesso discusso e i due dirigenti del centro di Milano hanno costantemente tenuto informato il Mancini dei loro colloqui con il pm". Gli esiti della riunione, del resto, appaiono chiari la mattina del 15 maggio, nell'ufficio del procuratore aggiunto Spataro.

Le patacche di Gerli. Seduto nell'ufficio di Armando Spataro, l'esordio di Giuseppe Gerli è un programma. Chiede il pm: "Quando lei è arrivato a Milano a dirigere il Centro Sismi, chi era stato il suo predecessore?". "Il reggente era sicuramente il dottor Regondi, ma non so con quale qualifica formale". E' una bugia rotonda che mette Spataro di pessimo umore. Il colonnello, che farebbe meglio a correggersi, insiste: "Prendo atto che le pare strano che io non conosca la qualifica di Regondi... Sì, formalmente Mancini era effettivamente il responsabile del centro di Milano, ma era anche capo della prima divisione e dunque stava anche a Roma... Non so spiegare come questo potesse accadere, ma era la situazione".

Gerli, in realtà non sa spiegare nulla, perché è stato istruito a non dire nulla. Meglio, è stato istruito a scavare un solco profondo tra Marco Mancini, le attività del centro Sismi di Milano e il sequestro di Abu Omar. Con uno Spataro sempre più spazientito che gli chiede "Ma scusi, lei nel Sismi di che si occupava prima di arrivare a Milano?", preferisce fare la figura del fesso: "Fui impegnato in attività di addestramento, poi subii un intervento chirurgico, poi ci furono le vacanze natalizie...". E' uno spettacolo penoso, che deve tuttavia ancora conoscere il suo climax.

Il pm: "Quale capo centro ha potuto verificare se agli atti del suo ufficio vi fossero informazioni sul sequestro di Abu Omar?". "Per come è organizzata la nostra struttura io non avevo accesso fisico alle informazioni raccolte prima del mio arrivo a Milano e dunque non ho mai verificato se esistessero informazioni precedenti sul fatto". Anche un bambino farebbe fatica a bersela. Osserva il pm: "Sembra strano che il capo centro di Milano non possa avere accesso alle informazioni raccolte su una vicenda ancora di interesse". Gerli capisce che è nei guai. Chiede: "Posso assentarmi per una telefonata e chiedere il permesso di spiegarle le ragioni di quanto le ho detto?".

La telefonata furba. Il colonnello (G) crede di essere un gran furbo. Non sa che la persona che sta chiamando, Marco Mancini (M), ha il telefono sotto controllo. Gerli non deve chiedere nessun permesso. Deve soltanto capire se il copione che sta recitando è gradito a chi glielo ha commissionato.
G: "Direttore... sono Gerli. Io sono qui dal..., adesso sono uscito dalla stanza, perché mi ha chiesto se avevo qualcosa sulla nota vicenda... e io gli ho risposto...".
M: "Non lo ricordi?".
G: "No, no. Lui mi chiede se ho potuto verificare questa cosa con i Presidenti... Gli atti del Centro... Io ho detto: "Guardi, non ho potuto farlo perché fisicamente non avevo accesso perché non abbiamo un archivio". Giusto?".
M: "Esatto".
G: "Posso dirgli che il Centro non ha un archivio?".
M: "Chiedilo a Scandone (il capo di gabinetto del Sismi ndr.)".
Gerli rientra nella stanza di Spataro e fa quel che deve. Annuncia serio serio: "Ho effettuato la telefonata e posso dirle che presso il centro Sismi di Milano non esiste un archivio". Chiosa il pm: "Le faccio presente che questa circostanza mi appare incredibile, anche ai fini dell'efficienza del Servizio".

Curti, un nuovo capo al lavoro. La menzogna è bussola che orienta le mosse dell'intera catena gerarchica del Servizio. Non solo i "vecchi". Ma anche i "nuovi". A metà maggio, Mancini è stato "posato" da Nicolò Pollari, che lo ha costretto a fingere un congedo per malattia. L'ufficiale che il Direttore ha scelto personalmente perché ne prenda il posto al comando della prima Divisione si chiama Gian Vigio Curti e ricomincia il lavoro di inquinamento esattamente dove lo ha lasciato chi lo ha preceduto. Il 23 maggio, Curti è al telefono con Lorenzo Pillinini, capo centro a Trieste. Il problema da risolvere è evitare che in Friuli qualcuno si metta in testa di parlare. Osserva il Pm: "Dopo aver saputo della convocazione da parte del pm di tutti gli appartenenti del centro di Trieste, il nuovo capo della prima divisione, Gian Vigio Curti, si preoccupa di convocarli tutti a Roma o a Trieste per dare loro indicazioni sulla necessità di opporre il segreto di Stato di fronte alle domande del pm".

"Lo scemo grosso di Milano". Il 24 maggio, Curti (C) è al telefono con il generale Gustavo Pignero (P). Spataro sta facendo progressi e al Sismi si è deciso di modificare in corsa la favola raccontata sin lì ("Mai saputo nulla del sequestro di Abu Omar"), in una nuova storiella che così riassume il pm: "La nuova tesi consiste nell'ammettere che il Sismi aveva ricevuto dalla Cia la richiesta di partecipare al sequestro, ma l'aveva rifiutata".

Il senso della conversazione di Curti e Pignero è chiaro. Esattamente quanto la considerazione in cui tengono il pubblico ministero Armando Spataro.
C: "Volevo solo dirle che mi sto muovendo perché hanno chiamato qualche ragazzo di Trieste a fare una gita...".
P: "A Milano".
C: "Esatto... Lei è riuscito a parlare con quello scemo?".
P: "Si, sì, con lui ho parlato... ah, no... con lui no...".
C: "No... con lo scemo grosso".
P: "Eh, no, non ho parlato...".
C: "Eh".
P: "Però stamattina ci riprovo, eh...".
C: "Esatto".
P: "Eh... chiaro".
Con "lo scemo grosso" si sa come è finita. Sembra di capire che come andrà con Gian Vigio Curti e Giuseppe Gerli si vedrà presto.

(9 luglio 2006)
 

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