gli Afgani sono motivati da un profondo e costante disprezzo per la civiltà occidentale. (1 Viewer)

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Forumer storico
“Gli afgani commettono più stupri di tutti gli altri profughi”
Maurizio Blondet 24 Agosto 2021

L’esperienza austriaca
Poche settimane fa, la città austriaca di Tulln ha dichiarato un punto fermo a qualsiasi ulteriore ammissione di rifugiati. Come ha chiarito il sindaco, quella decisione era rivolta agli afgani, ma per motivi legali e amministrativi non poteva che essere promulgata in modo generale. Il punto di svolta, dopo una serie di incidenti inquietanti tutti provenienti da afgani, è stato il brutale stupro di gruppo di una ragazza di quindici anni, strappata dalla pubblica via mentre tornava a casa, trascinata via e abusata in serie da rifugiati afgani.
“Tempo prima, a Vienna, una giovane studentessa turca che era lì in scambio culturale era stata inseguita in un bagno pubblico da tre rifugiati afgani. Hanno bloccato la porta e hanno proceduto ad attaccarla selvaggiamente. Afferrandola per il collo, le hanno sbattuto ripetutamente la testa contro un water di porcellana per metterla KO. Quando ciò non è riuscito a spezzare la sua disperata resistenza, si sono alternati nel tenerla ferma e violentarla. La giovane ha avuto bisogno di un ricovero in ospedale, dopodiché – troppo traumatizzata per riprendere gli studi – è fuggita a casa in Turchia, dove continua a essere depressa e infelice, incapace di elaborare quanto accaduto e incapace, in una società musulmana conservatrice, di parlare di la sua esperienza a chiunque.
“Da Österreich, il quotidiano distribuito gratuitamente sui mezzi pubblici e quindi letto, in fondo, da quasi tutti. Prima pagina: Afghano (diciotto anni) attacca una giovane donna al Festival del Danubio. “Ancora una volta c’è stato un tentativo di stupro da parte di un afghano. Una turista slovacca di ventun anni è stato assalita e palpeggiata da un gruppo di uomini. È riuscita a scappare, ma è stata inseguita da uno di loro, un richiedente asilo afghano che l’ha catturata e trascinata tra i cespugli. Poliziotti in borghese nelle vicinanze hanno notato la colluttazione e sono intervenuti per impedire lo stupro all’ultimo momento”.
Pagina dieci: “Un afgano di venticinque anni ha tentato di violentare una giovane donna che stava prendendo il sole nel parco. Quattro coraggiosi passanti hanno trascinato via l’uomo dalla vittima e l’hanno trattenuto fino all’arrivo della polizia”.
Pagina dodici: “Due afgani sono stati condannati per aver tentato di violentare una donna su un treno a Graz. Gli uomini, che vivono in una residenza per richiedenti asilo, hanno prima insultato la giovane donna con commenti verbali oscene prima di aggredirla. Quando ha gridato per chiedere aiuto, i passeggeri di altre parti del treno si sono precipitati in suo aiuto”.
“….Attacchi feroci e senza preamboli a ragazze e donne casuali, spesso commessi da bande o branchi di giovani uomini. All’inizio, gli incidenti furono minimizzati o messi a tacere: nessuno voleva fornire all’ala destra un pretesto, e la speranza era che si trattasse di casi isolati causati da un piccolo gruppo problematico. Con l’aumentare degli incidenti, e poiché molti di essi si sono svolti in pubblico o perché il pubblico è stato coinvolto nel fermare l’attacco o nell’aiutare la vittima in seguito, e perché i tribunali hanno iniziato a emettere sentenze mentre i casi venivano portati in giudizio, la questione non poteva più essere nascosta sotto il tappeto del politicamente corretto. E con il riconoscimento ufficiale e il resoconto pubblico, è emersa una nota strana e sconcertante. La maggior parte degli assalti sono stati commessi da rifugiati di una particolare nazionalità: gli afgani.”
Sono alcuni degli episodi riportati da Cheryl Benard nel lungo articolo Ho lavorato con i rifugiati per decenni. L’ondata di crimini afghani in Europa è sbalorditiva”, apparso su The National Interest. “Non è stato facile per me scriverlo”, dice: “Ho lavorato su questioni relative ai rifugiati per gran parte della mia vita professionale, dai campi pakistani durante l’occupazione sovietica dell’Afghanistan allo Yemen, Sudan, Thailandia, Etiopia, Gibuti, Libano, Bosnia, Nicaragua e Iraq, e nutro profonda simpatia per il loro difficile destino. Ma da nessuna parte avevo incontrato un fenomeno come questo. Avevo visto rifugiati intrappolati in circostanze che li rendevano vulnerabili allo stupro, da guardie del campo o soldati. Ma perché i profughi diventassero autori di questo crimine nel luogo che aveva dato loro asilo? Era qualcosa di nuovo”.
Perché sta succedendo? – si chiede l’autrice – E perché gli afghani? .
Questi giovani, secondo una teoria, provengono da un paese in cui le donne sono semplici sagome scure completamente nascoste sotto burqa pieghettati. Di fronte a ragazze in canottiera e pantaloncini corti, perdono la presa sulla sanità mentale e i loro ormoni scappano con loro. Questa teoria non regge. Di nuovo, la stessa reazione dovrebbe poi essere mostrata anche da altri giovani provenienti da società islamiche rigide dove la segregazione di genere è la norma; perché solo gli afgani dovrebbero reagire in questo modo? E come si spiegano casi come quello della pensionata settantadue anni, a spasso con il cane quando è stata aggredita, picchiata e violentata da un giovane afghano? O lo scolaro, rapito e stuprato di gruppo in Svezia da un gruppo di afgani?
Una altra teoria, più convincente e piuttosto inquietante, quella che avanza il mio amico afghano, il traduttore per i tribunali. Sulla base delle sue centinaia di interazioni con questi giovani nella sua opera professionale negli ultimi anni, crede di aver scoperto che sono motivati da un profondo e costante disprezzo per la civiltà occidentale.
Per loro gli europei sono il nemico e le loro donne sono un legittimo bottino, come tutte le altre cose che si possono prendere loro: alloggio, denaro, passaporti. Le loro leggi non contano, la loro cultura non è interessante e, alla fine, la loro civiltà sta per morire sotto l’orda di cui loro sono l’avanguardia. Non c’è bisogno di assimilarsi, integrarsi, o lavorare sodo, o cercare di costruirsi una vita decente qui: questi europei sono troppo molli per punirti seriamente per una trasgressione.

E non sono solo i crimini sessuali, osserva il consulente dei tribunali. Questi possono agitare di più il sentimento pubblico, ma l’abuso deliberato e lo sfruttamento disonesto del sistema di welfare è altrettanto causato da un simile disprezzo. I rifugiati afgani, dice, hanno una particolare propensione a giocare il sistema: mentire sulla loro età, mentire sulle loro circostanze, fingere di essere più giovani, essere portatori di handicap, appartenere a una minoranza etnica quando anche l’occhio stanco di un giudice austriaco sa distinguere le delicate fattezze di un Hazara da quelle di un Pashtun.

“Nel corso della mia ricerca –continua la Benard – ho incontrato trentenni con famiglia in Austria che si spacciavano per “minori non accompagnati”.
Ho incontrato persone che hanno esibito le cicatrici di un vecchio incidente stradale come prova che erano stati torturati. So di una famiglia afgana emigrata in Ungheria vent’anni fa; i bambini sono nati lì e hanno frequentato le scuole ungheresi. Quando è scoppiata la crisi dei rifugiati, allettata dalla notizia di tutti i benefici associati, questa famiglia ha deciso di assumere una nuova identità e di dirigersi verso la Svezia con la scusa di essere nuovissimi rifugiati. Affermando di aver perso i documenti durante il loro “volo”, si sono registrati con nuovi nomi falsi e hanno ridotto l’età dei loro figli; la madre si dichiarò vedova. Ora sistemati in un comodo alloggio libero. Col marito, fatto passare per “zio”.

I sistemi legali occidentali sono procedurali, operano sulla base di regole e diritti e forme e documenti e ti considerano innocente fino a prova contraria. Non c’è voluto molto ai rifugiati per capire come sfruttare questo a loro vantaggio. “Stanno lì, calvi, grigi alle tempie, e insistono sul fatto che hanno diciotto anni”, mi ha detto un esasperato pubblico ministero austriaco.
Avendo “perso” i loro documenti, l’unico modo per confutare anche l’affermazione più palesemente assurda è attraverso costosi test di laboratorio. Una volta messo piede in Europa, sarà quasi impossibile liberarsi di te; infatti, puoi letteralmente commettere un omicidio. Se un tribunale ti dichiara colpevole di stupro, devi solo sostenere che se vieni rimandato a casa, la tua società conservatrice ti ucciderà per l’atto disonorevole—allora non puoi essere spedito fuori, perché la legge dell’UE vieta l’estradizione se così facendo a rischio la vita dell’individuo. E gli assassini non possono essere rimandati in paesi che hanno la pena di morte o un sistema giudiziario noto per essere duro.

L’articolo di Cheryl prosegue con un invito alla “ sinistra deve riflettere un po’, ad essere meno calorosi, confusi e sentimentali” di fronte al problema dei profughi afghani. “Ogni rifugiato e richiedente asilo in arrivo deve essere sottoposto a un rigoroso controllo dei fatti della sua storia, inclusa la convalida dell’età dichiarata mediante test di laboratorio in caso di dubbio. Sì, è fastidioso e costoso, ma non così fastidioso e costoso come far entrare le persone sbagliate sistemare centinaia di migliaia di stranieri in modo permanente con il sussidio a cui non hanno diritto. E i paesi europei devono condividere tra loro i dati risultanti e le identità devono essere collegate alle impronte digitali, non a documenti di dubbia autenticità o addirittura a nessun documento”.

L’articolo di Cheryl Benard, molto lungo, può essere letto integralmente qui:
I've Worked with Refugees for Decades. Europe's Afghan Crime Wave Is Mind-Boggling.

Una lettura che vorremmo consigliare ai politici: qui siamo di fronte a un tipo di rifugiato, direi ad un tipo umano, di scorza ancor più dura, feroce ed estranea dai “nostri valori” dei maghrebini o africani. Senza nessun interesse a lasciarsi “integrare”.
Questa “specialità” dei giovani afghani come violentatori di massa spiega due cose:
Una, che il premier austriaco Sebastian Kurz è stato il primo a gridare: NO AD ALTRI RIFUGIATI AFGHANI!
Sono assolutamente contrario! “L’Austria ha dato un contributo sproporzionato”. Infatti, l’Austria ospita “44.000 afgani dall’inizio della crisi migratoria, il che significa che abbiamo una delle più grandi comunità afgane pro capite al mondo dopo Iran e Pakistan”, ha aggiunto.
Ma ciò spiega il motivo profondo del burka, del perché in Afghanistan, e solo lì fra i paesi islamici anche rigoristi, sia stata imposta alla donna la copertura del volto e la grata che non lascia vedere gli occhi. C’è qualcosa di più duro, primodialmente violento, nel carattere delle etnie afghane, che esige una simile “protezione” della sessualità femminile?
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E’ tornata Rita Katz!
Maurizio Blondet 27 Agosto 2021

Cosa dicono i russi dell’Isis-Khorassan
“Daesh-K è stato importato in Afghanistan a bordo di aerei cargo noleggiati in Ucraina dalla CIA per costituire un contrappeso ai talebani ma anche per seminare il caos lì per camuffare gli orribili soprusi dell’unità fantasma 373 composta da elementi delle forze speciali di diversi paesi NATO che agiscono in totale illegalità e al di fuori delle regole di ingaggio.
Gli elementi di Daesh-K non hanno mai resistito ai talebani, in particolare a Helmand, ma con il caos dell’evacuazione, mantenuto e sfruttato per far ripartire una nuova Hybrid War su nuove basi, il riutilizzo di Daesh-K conferma il rilancio del conflitto e la trasformazione della sconfitta subita dall’Impero in questo Paese in una nuova opportunità di caos che impedirà ogni avanzata di Cina e Russia in quest’area. Una scommessa molto rischiosa su una strategia del peggio di un attore che sembra non saper più salvare la faccia.

Il video del reclamo diffuso dall’agenzia Aamaq (“Depths” in arabo) che mostra un certo Abderrahman Loghari (originario di Loghar?), l’attentatore suicida che avrebbe scatenato la prima esplosione ad Abbey Gate, offre tutti gli elementi visivi della comunicazione utilizzato da Daesh in Iraq e Siria e solleva molti interrogativi su un probabile coinvolgimento della CIA o di un subappaltatore dei servizi britannici”.
(Strategika 51)

Agenzia Amaq? Ricorda qualcosa? Ho un vuoto di memoria… ma sì!
Ecco di nuovo Rita Katz, come la definisce Il Tempo “ la più grande esperta al mondo di terrorismo islamico, pubblica sul suo profilo Twitter la foto del kamikaze che si è fatto esplodere [è proprio lui, sicuro]. L’esperta scrive che “L’Isis ha rivendicato gli attentati all’aeroporto di Kabul dicendo che i suoi combattenti hanno ucciso e ferito 160 persone.
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I talebani si sono liberati delle più gigantesche forze armate della storia, ma non si sono liberati del Deep State. La vera guerra comincia ora.

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Dietro le quinte delle vicende afghane

Dailytimes


Afghanistan: il più grande fallimento (apparente) di Biden è il più grande successo di Trump contro il Nuovo Ordine Mondiale
La prima sensazione che si prova se si guarda la copertura mediatica sull’Afghanistan è quella di trovarsi di fronte ad una macchina del falso in preda all’isteria e del tutto fuori controllo.
Per avere un’idea della proporzione della propaganda, si consideri questa storia pubblicata dalla giornalista di Fox News, Lara Logan. La Logan ha affermato che i talebani si starebbero recando casa per casa per prelevare i dissidenti e giustiziarli sulla pubblica via.
Altre storie ancora sostengono che i talebani starebbero persino uccidendo i bambini e violentando le donne.
Questo blog ha avuto l’occasione di parlare con delle fonti affidabili che si trovano a Kabul e che sono in contatto con varie istituzioni governative internazionali.
Nulla di tutto quello che si legge sui media corrisponde al vero. A Kabul la situazione è perfettamente stabile. Non ci sono massacri per le strade e i talebani stanno persino offrendo assistenza e aiuto agli occidentali che si trovano sul posto.
Quella che è in corso è una falsificazione assoluta della situazione in Afghanistan. La crisi in Afghanistan si può definire in larga parte un fenomeno mediatico per ragioni che verranno trattate successivamente.
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Questa falsificazione è piuttosto simile a quella riscontrata ai tempi della guerra in Siria quando i media occidentali accusavano falsamente il presidente siriano Assad di aver dato vita a immaginari attacchi chimici.
Lo stesso fenomeno si verificò durante la seconda guerra del Golfo del 2003 quando il mainstream mediatico americano ed europeo raccontava dell’esistenza delle immaginarie armi di distruzione di massa in Iraq.
L’Occidente è pertanto sempre fermo allo stesso punto di venti anni fa. È fermo al punto della propaganda mediatica orchestrata dalle lobby sioniste e neocon che sono in larghissima parte proprietarie dei più importanti mezzi di comunicazione americani e internazionali.
La vera storia della guerra in Afghanistan è in realtà la storia di una tremenda sconfitta da parte del deep state americano.
È allo stesso tempo la storia di una “amicizia” finita tra i talebani e il deep state americano.


Gli anni’80: il tempo della “amicizia” tra i talebani e il deep state
Per poter comprendere però come si è giunti a questa situazione è necessario fare un passo indietro e tornare al dicembre del 1979.
Era in quell’anno che il regime sovietico su richiesta del governo diretto dell’allora partito dominante del PDPA, acronimo che sta per partito democratico popolare dell’Afghanistan, invadeva il Paese.
Il governo afghano dell’epoca era piuttosto impopolare. Il suo approccio marxista contro la pratica della religione in un Paese profondamente legato all’Islam aveva portato larghe fasce della popolazione a detestare il PDPA e a chiedere la sua fine.
Fu allora che nacquero i leggendari mujaheddin, i combattenti islamici che volevano porre fine al regime marxista nelle mani dell’URSS. E Washington in quel periodo era il più solido alleato dei combattenti islamici.
Fiumi di denaro arrivarono dagli Stati Uniti alle opposizioni islamiche che volevano respingere l’invasione di Mosca.
Secondo le stime, l’operazione Cyclone orchestrata dalla CIA per finanziare l’insurrezione afghana è stata tra le più costose della storia dell’agenzia di intelligence fino a raggiungere i 600 milioni di dollari all’anno di costi.
Tra i beneficiari c’era anche il principe saudita Osama bin Laden già profondamente disilluso all’epoca dalla monarchia dei Saud che bin Laden giudicava essere troppo prona agli interessi del deep state USA.
Bin Laden però in quel periodo non era considerato ostile a Washington. Collabora attivamente con le agenzie di intelligence americane, quali la CIA, e il capo stazione dell’agenzia a Islamabad, Milton Bearde, aveva una profonda stima per il principe saudita.
Quello che veniva dunque definito dai servizi segreti americani come il “principe del terrore” non è null’altro che un prodotto degli stessi servizi americani.
La storia della guerra sovietica in Afghanistan è importante perché i mujaheddin degli anni’80 sono a tutti gli effetti gli antenati dei talebani degli anni’90. Tra le loro fila c’era anche il famoso Mullah Omar che diventerà poi il leader della fazione islamista che governerà il Paese.


I talebani iniziano a diventare una minaccia per il deep state
La storia d’amicizia tra i talebani e Washington termina proprio nel 1996 quando il Mullah Omar guida i suoi uomini alla conquista dell’Afghanistan.
I talebani all’epoca erano un gruppo estremamente rigido e fanatico nell’applicazione della sharia, la cosiddetta legge islamica, ma al tempo stesso avevano un tremendo “difetto”.
Non erano in vendita. Non potevano e non possono concepire il fatto di essere al servizio di potentati stranieri che vogliono utilizzare il loro Paese come una base per traffici internazionali illeciti.
È per questa ragione che talebani decisero di distruggere tutti i campi di oppio che si trovavano nel Paese per mettere fine al narcotraffico. All’epoca, l’Afghanistan era il primo produttore di oppio al mondo. Il 90% di questa sostanza era prodotto qui, e l’oppio è estremamente importante perché serve a sua volta a raffinare l’eroina.
L’Afghanistan dunque rivestiva un ruolo strategico nel traffico di droga internazionale.
La decisione dei talebani di mettere fine alla coltivazione dell’oppio manda su tutte le furie gli enormi interessi che gravitano attorno al narcotraffico.
I talebani hanno sfidato a viso aperto la finanza di New York e Londra che ha un ruolo di primo piano nel gestire e riciclare l’enorme flusso di denaro generato dalla droga.
Non deve pertanto destare sorpresa il fatto che i talebani finirono immediatamente in cima alla lista nera dello stato profondo di Washington.
Non di certo perché maltrattavano le donne o erano dei fanatici nell’applicazione della sharia, ovvero la legge coranica.
L’Arabia Saudita era, ed è tuttora, persino più radicale nella sua applicazione dell’islam wahabita sunnita.
Nessuno però aveva e ha nulla da ridire al riguardo dal momento che i sauditi sono stretti alleati dell’Unione europea, della NATO e della stessa Israele alla luce della stretta collaborazione tra l’erede al trono, Mohammed bin Salman, e il governo israeliano.
Nel mondo occidentale quindi sembra valere questa regola.
La dottrina liberale dei diritti umani si applica solo con i nemici. Per gli amici, si interpreta.
Agli inizi degli anni 2000 si arriva allo strappo definitivo tra gli Stati Uniti e l’Afghanistan quando i talebani si oppongono alla costruzione del gasdotto della corporation americana UNOCAL.
Il deep state allora prende la sua decisione definitiva e decide di dichiarare guerra al Paese. Tutto questo accade prima degli attentati dell’11 settembre.
Il presidente Bush, membro della società segreta occulta “Teschi e Ossa” ed espressione delle lobby neocon, aveva i piani dell’invasione del Paese pronti sulla sua scrivania già prima degli attentati alle Torri Gemelle.
Attentati con i quali i talebani comunque non avevano nulla a che fare. La versione ufficiale fornita dalle agenzie di intelligence americane non è stata nemmeno in grado di provare il coinvolgimento di bin Laden negli attacchi.
La storia di bin Laden come responsabile degli attacchi e come movente per giustificare l’invasione dell’Afghanistan che allora presumibilmente ospitava il leader di Al-Qaeda era solo una cartina di tornasole.
Occorreva dare in pasto all’opinione pubblica mondiale “l’uomo nero” del terrorismo islamico e allo stesso tempo occorreva tenere lontana l’attenzione da tutto ciò che dimostrava il ruolo del deep state di Washington nell’esecuzione degli attacchi.
La presidenza Bush quindi accusa pubblicamente bin Laden di aver orchestrato gli attentati dell’11 settembre, e l’allora capo di Stato in pectore del Paese, il Mullah Omar, un tempo amico di Washington, non ha obiezioni a consegnarlo agli Stati Uniti.
Ad una condizione, però. I talebani chiedono di vedere le prove del suo coinvolgimento negli attacchi terroristici contro il Pentagono e le Torri Gemelle.

Le prove non vengono mostrate e Washington procede ad un attacco che in realtà era stato già deciso da tempo per tutte le ragioni citate precedentemente.
Queste sono le vere radici del conflitto ventennale in Afghanistan. Il deep state ha invaso il Paese perché il governo dell’epoca era semplicemente una minaccia intollerabile per tutti gli enormi interessi che gravitano attorno all’Afghanistan.

L’elezione di Trump manda all’aria i piani della cabala
I piani del governo occulto di Washington sull’Afghanistan però iniziano ad andare in fumo nel 2016.
Fu allora che accadde l’imprevisto. Alla Casa Bianca non entra la candidata designata dai vari circoli del mondialismo quali il Consiglio per le Relazioni Estere, finanziato da Rockefeller, o dal gruppo Bilderberg.
Alla Casa Bianca entra Donald Trump, un uomo che vuole separare l’America dai piani del mondialismo.
Per la prima volta, dopo molti decenni, a Washington viene eletto un presidente che non è espressione del deep state.
Trump vuole al tempo stesso mettere fine all’occupazione militare del Medio Oriente che è servita sostanzialmente all’avanzamento del piano sionista di espansione dei confini dello stato di Israele.
Trump è stato impropriamente, e spesso in malafede, accusato di essere un “sionista” quando il solo fatto di aver deciso di ritirare le truppe dal Medio Oriente ha separato gli Stati Uniti da Israele.
A Tel Aviv i malumori nei confronti di un presidente che piuttosto che perseguire gli interessi di Israele persegue quelli dell’America aumentano notevolmente.
Tutto questo per la lobby sionista e per i circoli mondialisti era intollerabile. Viene presa la decisione di rovesciare Trump attraverso quella che si può definire la più grossa frode elettorale della storia per impedire al presidente di restare alla Casa Bianca, e portare così a termine il definitivo divorzio degli Stati Uniti dalla cabala.
La rivista Time stessa ha rivendicato il successo di questa operazione seppure parlando di “trionfo della democrazia.”
Occorre sempre ricordare che nel linguaggio della cabala globalista tutto è rovesciato. Il male è bene, il nero è bianco e viceversa.
Il broglio riesce perché si arriva all’instaurazione della presidenza Biden. Nel corso dei mesi successivi di questa amministrazione accadono però fatti inspiegabili che non sarebbero affatto dovuti accadere sulla carta.
Biden non smantella minimamente la politica estera di Trump. Al contrario, la porta avanti. Il ritiro delle truppe dall’Afghanistan non viene annullato. Le sanzioni alla Cina vengono inasprite e vengono persino tolte le sanzioni alla Russia sul gasdotto Nord Stream 2.
La cosiddetta amministrazione Biden non colpisce quello che viene considerato il Paese più nemico del potere mondialista, la Russia, ma piuttosto colpisce il Paese che viene considerato il “modello” di riferimento del Nuovo Ordine Mondiale, la dittatura comunista cinese.

Non viene nemmeno portata avanti l’agenda del Grande Reset. Biden, fino a questo momento, non ha dato l’accelerazione prevista al piano del forum di Davos come aveva affermato un altro membro della società segreta “Teschi e Ossa”, John Kerry, già ex segretario di Stato sotto l’amministrazione Obama.
A differenza dell’Unione europea, gli Stati Uniti non hanno approvato alcun certificato vaccinale come fatto ad esempio dai governi di Macron e Draghi, entrambi espressione della finanza internazionale.
La spiegazione di queste enormi anomalie potrebbe risalire allo scorso gennaio, quando sembra essere accaduto qualcosa che ha spogliato l’amministrazione Biden della sua effettiva capacità decisionale.
Secondo quanto sostenuto da diverse fonti militari, Trump avrebbe firmato l’atto contro le insurrezioni e consegnato così il potere alle forze armate.
L’amministrazione Biden sarebbe pertanto commissariata in attesa della conclusione delle perizie elettorali. Anche se si hanno riserve riguardo a questo scenario, tuttavia continua ad essere quello più consistente con quanto accaduto.
Il quotidiano di riferimento della finanza internazionale, il Financial Times di Londra, ha chiaramente scritto che Biden non avrebbe dovuto completare il ritiro delle truppe americane, ma piuttosto avrebbe dovuto invertire la decisione presa da Trump.
Il presidente (?) americano non ha fatto nulla di tutto questo.
A questo punto, la domanda che viene naturale porsi è chi sia veramente al comando degli Stati Uniti.
A giudicare da come Biden agisce, non sembra essere certo il deep state perché il presunto comandante in capo non sta eseguendo gli ordini prescritti.
Gli ordini erano quelli di continuare con l’occupazione militare dell’Afghanistan per poter continuare a tenere sotto controllo questo Paese strategico.
Una volta che i media si sono resi conto che Biden non gli rispondeva è iniziata l’isteria mediatica che narra di un presunto caos nel corso dell’evacuazione delle truppe.
Allo stesso modo, sono iniziate a circolare le storie prive di ogni riscontro citate in precedenza dei talebani che ucciderebbero i bambini per le strade.
La reazione del sistema è stata pertanto quella di scatenare tutta la sua rabbia e frustrazione. Non avendo altre opzioni per recuperare l’Afghanistan, il deep state ha iniziato a dare vita ad una massiccia campagna di disinformazione per screditare il più possibile i talebani agli occhi dell’opinione pubblica occidentale.
Qui però si inizia ad intravedere il capolavoro di strategia geopolitica di Trump. Trump sa perfettamente che non c’è nessun caos in corso a Kabul, e ha probabilmente stretto un accordo con i talebani prima di lasciare il Paese.
È stato lo stesso presidente americano a rivelarlo lo scorso febbraio del 2020. Trump in quell’occasione disse testualmente che i talebani avrebbero ucciso i terroristi islamici.
Questo passaggio è fondamentale perché Trump non associa i talebani ai terroristi, ma mette i primi in netta contrapposizione ai secondi.
L’obbiettivo di Trump era quello di portare gli Stati Uniti fuori dal Paese e di disimpegnare l’America da un’occupazione militare pensata espressamente per portare avanti gli interessi del traffico di droga legati strettamente a quelli della finanza internazionale.
L’obbiettivo dei talebani invece era quello di liberare il Paese dall’occupazione straniera e mettere fine all’utilizzo dell’Afghanistan come una centrale internazionale per il traffico di droga.
Entrambe le parti hanno raggiunto gli obbiettivi che si erano prefissati.
I termini dell’accordo tra Trump e i talebani sono con ogni probabilità questi.
L’osservazione che alcuni stanno facendo di un Afghanistan piombato nelle mani della Cina appare prematura e sotto certi aspetti anche approssimativa.
Questa osservazione non tiene conto di due elementi. Il primo è che Trump non è affatto uno sprovveduto. Sapeva perfettamente delle mire espansionistiche della Cina sull’Afghanistan. Sapeva perfettamente che Pechino avrebbe cercato di portare il Paese dentro la Via della Seta, una trappola del debito concepita dalla Cina per poter sommergere di prestiti il Paese firmatario e poi successivamente impadronirsi delle sue infrastrutture chiave.
Se Trump ha chiuso un accordo con i talebani appare improbabile pensare che abbia lasciato fuori il contenimento dell’avanzata economica della Cina, un obbiettivo che ha segnato tutto il suo mandato presidenziale.
Il secondo elemento è che si dà per scontato che i talebani corrano tra le braccia della Cina e consegnino tutte le risorse minerarie del Paese alla dittatura comunista cinese.
Questa osservazione però trascura completamente quella che è la natura politica dei talebani. Questo gruppo religioso non ama nessuna ingerenza straniera, sia che provenga dalla NATO o dalla Cina. Pertanto se la Cina vorrà fare affari con Kabul si troverà di fronte gli stessi problemi davanti ai quali si trovò di fronte il deep state americano alla fine degli anni’90.
Trump pertanto non ha lasciato nulla al caso. Ora una volta preso atto che i media hanno iniziato a dare vita a questa massiccia campagna di disinformazione facendo passare l’evacuazione di Kabul come “caotica” o “fallimentare” ha giocato ancora più d’astuzia.
Ha scaricato sulle spalle di Biden il presunto disastro raffigurandolo come un totale incapace, quando in questo gioco Joe Biden riveste solo la parte dell’utile idiota che si limita a fare ciò che è stato deciso da altri.
Trump sta demolendo l’amministrazione fantoccio di Joe Biden che non ha alcun potere operativo e sta compiendo un capolavoro politico. Sta portando dalla sua parte persino gli elettori democratici che hanno votato per Biden.
La fine della guerra in Afghanistan è stata pertanto una tremenda sconfitta per il deep state che ormai è in preda all’isteria cronica perché a parte orchestrare massicce campagne di disinformazione non è più in grado di vincere la partita sul grande e vero scacchiere globale.
C’è un formidabile giocatore di scacchi là fuori che sta portando la più grande beffa di tutti i tempi.
Portare avanti la demolizione del Grande Reset attraverso una amministrazione che avrebbe dovuto rispondere ai piani alti del mondialismo.
Questa è la storia della fine della guerra in Afghanistan.
È la storia del più grande apparente fallimento di Joe Biden che è il più grande successo di Donald Trump contro il Nuovo Ordine Mondiale.
Cesare Sacchetti
Fonte
 

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Forumer storico
- La marcia per la libertà non si ferma
- Hezbollah: “gli USA esportano l’ISIS in Afghanistan” di Brian Curto
- Strage di Kabul ad opera degli USA? di Fabio Belli
- I talebani vietano l’eroina? di Fabio Belli
- Biden ha fornito ai Taliban una lista di collaborazionisti di Brian Curto
- I diplomatici USA abbandonano l’Afghanistan di Fabio Belli
- Tutti contro Biden di Brian Curto
- La Russia diventa protagonista della rivoluzione verde di Brian Curto
- Viaggio nella galassia M66

A cura di Margherita Furlan
Con la collaborazione di Jeff Hoffman, Fabio Belli, Brian Curto
Editing di Gennaro Gargiulo

 

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Forumer storico
Il paradosso scandinavo: quando diventi un campione di accoglienza, ma poi scopri che non ti piace
14:16 10.09.2021 (aggiornato: 14:48 10.09.2021)


Alessio Trovato
Tutti i materiali
I paesi scandinavi, liberisti e progressisti, campioni di accoglienza, integrazione e sempre presi ad esempio dalle sinistre europee, improvvisamente rivelano il loro lato conservatore e iniziano a prendere provvedimenti di chiusura nei confronti dell’immigrazione che fino a poco fa sarebbero stati considerati di destra. Ma che sta succedendo?
Chi l’avrebbe mai detto, per dire, che un giorno il governo danese, guidato dalla Ministro di Stato del Regno, Mette Frederiksen, a capo di una coalizione decisamente di sinistra (Sinistra Radicale, Partito Popolare Socialista e Lista dell’Unità), avrebbe pensato di imporre 37 ore di lavoro settimanali obbligatorie agli immigranti che volessero continuare a beneficiare dei sussidi, avrebbe inviato una lettera alla Commissione Europea, chiedendo di poter continuare ad espellere i profughi afghani richiedenti asilo, nonostante quello che stava accadendo a Kabul, avrebbe approvato una legge per spedire i migranti in paesi terzi in attesa dell’esito delle richieste di asilo e avrebbe introdotto addirittura la richiesta di rispondere ai “valori danesi” per poter ottenere l’approvazione della richiesta di cittadinanza.

Tra l’altro, la pratica di spedire i richiedenti asilo in paesi terzi, in attesa di elaborare la pratica, è una cosa copiata dall’Australia, che sono anni che manda i migranti a Nauru o Papua e dove c’è il Generale Campbell che martella tutti i giorni con la campagna NO Way (“non c’è verso, lasciate perdere”, rivolto ai migranti), ma lì c’è un governo decisamente di destra, per altro sempre molto criticato dai nostri progressisti europei.


E chi l’avrebbe detto poi che in Svezia, dove c’è il socialdemocratico Kjell Stefan Löfven (Partito Socialdemocratico dei Lavoratori di Svezia – simbolo un garofano rosso stilizzato), un bel giorno, proprio all’indomani della capitolazione di Kabul e di tutti i guai in cui noi occidentali siamo andati a mettere i poveri afghani che ci hanno creduti, questi sarebbe andato a dire:“Una cosa su cui dobbiamo essere molto chiari: non torneremo mai più nel 2015. La Svezia non ci finirà più", riferendosi al grande flusso migratorio avuto in quell’anno.


Se lo sarebbe mai aspettato nessuno che in Finlandia, dove governa il partito Socialdemocratico finlandese, quello che in origine si chiamava Partito Operaio di Finlandia, e dove a capo ora c’è la giovanissima Sanna Marin, nel 2019 il numero degli ordini di espulsione sarebbe aumentato dell’80%?

 

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