Gli asini non volano se non nelle nostre menti...

Roberto.M

Forumer storico
L'umanità sta vivendo un "tutti contro tutti" assurdo e autodistruttivo. Tutti vogliamo emergere, star meglio, prevaricare, aggiudicarci un pezzo di benessere a qualsiasi costo.
Tutti passiamo la maggior parte del nostro tempo a rincorrere una qualche forma di successo incuranti dei costi che altri in altre parti del mondo pagano e altri in futuro pagheranno per noi e per il nostro benessere attuale.
Pochissimo tempo è dedicato al pensare come salvaguardare ciò che ci consente di vivere e di esistere come specie.
Il pensare e progettare come preservare e difendere a tutti i costi la terra, l'atmosfera e le forme di vita in essa presenti dovrebbe occupare gran parte del nostro tempo invece, a qualsiasi livello di benessere si arrivi tutti vorremmo di più.
Ed è sicuro che questo modo di essere miopi unito al menefreghismo, l'arrivismo, il voler raggiungere e mantenere il potere e la ricchezza a qualsiasi costo non porterà lontano l'umanità.
Continueremo in un susseguirsi di cicli economici positivi e negativi sempre più disordinati e frenetici. Insensati ma, da altri giustificati. Ogni crescita e ogni ciclo sarà sempre più esasperato e assurdo perché assurda è la realtà che viviamo. Assurda la realtà che perseguiamo e basata su valori che non sono veri valori.
Un tutti contro tutti.
Individui, stati e continenti.
Se ci fossero altri nostri simili su pianeti vicini posso essere certo che potrei scrivere "tutti contro tutti anche gli abitanti dei vari pianeti".
Quasi una condanna a essere così oserei dire.
Quasi come questo modo di essere fosse scritto nei nostri geni e non ci fosse consentito essere diversi.

La realtà è triste cari.

E non saranno certo una menzogna in più di qualche politico o banchiere, una ripresa in più, un nuovo ciclo economico positivo a cambiarla.
Tutto si basa su interessi, ricchezza, prevaricazione e rendite di posizione. Sullo sfruttamento di chi può e sa meno. Sul consumismo sfrenato e indotto in qualsiasi modo e a qualsiasi costo.
Abbiamo una scusa per ogni errore, una giustificazione a ogni nefandezza che commettiamo.

Auguri a tutti noi. Ne abbiamo e soprattutto ne avranno tremendamente bisogno in futuro.

Ora vediamo se come penso riusciranno a farci vedere gli asini che volano. Ancora.
Gli americani vedono volare ormai tutta la fattoria.
Magari ora buttano qualche carota in cielo così anche noi vedremo volare qualche asino.

L'importante, in qualsiasi ciclo economico si stia vivendo è aver ben chiaro che gli asini non volano.
Che ogni ciclo economico non è altro che la preparazione al trasferimento di ricchezza nelle tasche di pochi individui che inevitabilmente avverrà.


Con tutti i difetti che abbiamo almeno cerchiamo di non essere troppo fessi o troppo illusi. Creduloni.
Gli asini oltre a non essere affatto stupidi come molti credono non volano neppure.
Si può far finta di vederli volare per convenienza e questo fa di noi degli ottimi ipocriti e possiamo dire di essere umani a tutti gli effetti e a pieno titolo.
 

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...

se non c'è da ridere con ste fregnacce non si ride mai più... :wall: :wall: :wall:
 

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si, ok, bla bla bla :D ma sei short o long ?:rolleyes:

Long, ovvio.

Una volta diversificato non cambio idea su nulla piscialetto. :D


Perché?! Gli altri investimenti che tutti in un mondo "normale" fanno vanno bene?

E quindi?!

Si mantiene fino all'ultimo tutto.

O la va o la spacca. :up:


..................


Vorrei proprio vedere se "la spacca"...
Io le @@ le ho ma certi smidollati...
Sai le risate piscialetto :lol:
 
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Dal Fatto.

A- A+Crisi, quelli che il mercato si regola da sé: il fallimento del macroeconomismo - Roberto Marchesi
Come era abbastanza prevedibile, il mio precedente articolo (‘Capitalismo, fa sempre più rima con egoismo‘) ha aperto un ampio seguito di dibattiti ed opinioni, tuttavia l’argomento, nonostante il semplicismo del titolo, era troppo vasto per poterlo comprendere nel breve spazio di un solo articolo da blog, così ho preso spunto dall’articolo “The failure of macroeconomics” (Il fallimento del macroeconomismo) che John H. Cochrane, professore di Economia finanziaria all’Università di Chicago, pubblicato sul Wall Street Journal del 2 luglio scorso, per svilupparlo ulteriormente.

Cochrane, in sintesi, pur concordando con i “keynesiani” sul fatto che per ridare slancio alla ripresa economica bisogna puntare sulla crescita, li critica però duramente perché a suo parere le ricette dei keynesiani contano troppo sugli stimoli monetari e finanziari per risolvere la crisi, ma in questo modo si crea solo una spinta provvisoria e un ulteriore indebitamento permanente. Lo si vede già ora (sempre a suo avviso): gli stimoli perdono presto di efficacia, il pesante indebitamento che ora grava in “pancia” alla Federal Reserve” avrà bisogno di tempi lunghi per essere “digerito”, quindi occorre pensare a interventi risolutivi che consentano la crescita insieme allo smaltimento del debito, non a soluzioni che lo incrementano. E nel dir questo chiama in causa anche Krugman, che invece ha sempre sostenuto gli incentivi.

Krugman però ha già smontato questa accusa sostenendo (fin dal 2009) che gli stimoli sono stati fatti, sì, ma sempre in ritardo e sempre limitati perché ostacolati dalla dura opposizione politica del partito conservatore. In questo modo, pur raggiungendo recentemente (dopo 6 anni!) un risultato di parziale soddisfazione, si è avuta tuttavia una sostanziale inefficacia degli stimoli. Se si fosse fatto tutto con tempestività adesso saremmo già del tutto fuori dalla crisi, è il suo parere (per esempio nel suo articolo “Why Economics Failed” del primo maggio scorso).

Comunque Cochrane si prolunga nel suo articolo, chiamando in causa altri economisti e facendo altri esempi, al fine di cercare di smontare le teorie dei “neo-keynesiani”. Lascio ai volenterosi l’onere di andarsi a leggere tutti i suoi ragionamenti. Per capire dove vuole arrivare basta leggere gli ultimi tre paragrafi.

“Distorcono il sistema della tassazione e avviano regole intrusive nel mercato. Questo vogliono i neo-keynesiani. Chi volete che investa il suo denaro in presenza di queste riforme? Logico che la ripresa tardi a venire!”. Queste, secondo Cochrane sono le vere cause della lentezza della ripresa economica.

Il “bello” viene però nel paragrafo successivo, dove alla diagnosi fa seguire la prognosi. Qual è la sua ricetta per la guarigione? Eccola qui di seguito nella sua versione integrale (segue la traduzione).

“They require us to do the hard work of fixing the things we all agree need fixing: our tax code, our cronyist regulatory state, our welter of anticompetitive and anti-innovative protections, education, immigration, social program disincentives, and so on. They require “structural reform,” not “stimulus,” in policy lingo.”

“Siamo richiesti di compiere il duro lavoro di riparare ciò che necessita riparazione: il sistema della tassazione, la parzialità del nostro sistema regolatorio, la confusionarietà anti-competitiva e anti-innovativa del nostro protezionismo, il sistema educativo, le norme per l’immigrazione, la disincentivazione dei programmi sociali, e così via. Occorrono “riforme strutturali, non stimoli”, detto in parole povere.”

Mi sbaglierò, ma mi sembra la stessa musica che ci hanno proposto per tre anni i nostri austeri manovratori europei (col risultato che sappiamo!). La logica di Mr. Cochrane è quella dei neo-capitalisti iper-liberisti che ormai conosciamo bene. Essa parte dal presupposto che l’economia per funzionare bene deve essere completamente libera di muoversi a suo piacimento, senza regole (salvo quelle che proteggono loro stessi) altrimenti ne soffre la capacità di competere sui mercati.

Ovvio che se al centro del nostro sistema esistenziale politico ed economico, come elemento di massimo interesse, dovessimo veramente mettere la “capacità di competere sui mercati” tutta quella roba che ha messo Cochrane nella sua ricetta anticrisi sarebbe adeguata, ma è ovvio anche che parte dal presupposto sbagliato. Perché al primo posto per una società non ci può essere il mercato. La libertà che vuole Cochrane è la stessa di quel pugile che lamenta di essere meno competitivo perché non può picchiare dove vuole e non può tirare pedate. Se gliela concedi non è più pugilato, è lotta selvaggia.

Il mercato, e la società nel suo insieme, sono come la boxe, ci confrontiamo e ci tiriamo anche i pugni, ma ci devono essere regole precise che tutti devono rispettare. E le regole non possono essere solo quelle che consentono a qualcuno di far più soldi, ma quelle che consentono ad una società di crescere con equilibrio. Ovvero il rispetto della democrazia, che declama il potere del popolo non di qualche oligarca multimiliardario. Questi “economisti” tutti schierati a favore del capitale, sembra che se lo siano dimenticati.

Per fortuna c’è ancora chi, come la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren che provvede a ricordare a costoro anche le altre priorità di una società evoluta.

“Nessuno diventa ricco per suo unico merito. Ha realizzato dal nulla una impresa? Buon per lui. Ma lui ha spostato le sue merci sulle strade che noi tutti insieme abbiamo pagato. Ha assunto lavoratori che noi tutti insieme abbiamo contribuito ad educare. Lui è sicuro e garantito nel suo ufficio o nelle sua fabbrica perché tutti noi abbiamo pagato per avere forze di polizia e vigili del fuoco efficienti. Questo è il contratto sociale che permette ad una società di funzionare per tutti”.

La Warren ha ragione da vendere. Senza giustizia ed equilibrio economico si può anche arrivare a realizzare il più potente sistema competitivo del mondo, ma quel cavallo presto scoppierà e lascerà tutti a piedi, neo-capitalisti compresi. Storicamente è già successo molte volte.




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Bell' articolo.


Ma secondo me quel che conta e quel che emerge dai fatti di secoli son sempre gli interessi di pochi e quei pochi faranno di tutto per mantenere i loro privilegi fino all'ultimo.

Il mercato non si autoregola, lo regolano in tutto e per tutto a loro piacere secondo me.
Fino a che non avverrà l'implosione del sistema sarà così. Piaccia o no.

Ora, lasciar cadere i mercati equivarrebbe ad ammettere che è un sistema alla frutta. (come in effetti è ma ammetterlo è dura soprattutto se non se ne conoscono altri).


In un momento dove tutto barcolla, tutto non rende, tutto è screditato, voglio proprio vedere a far crollare i mercati.
Voglio vederli a tramortire un moribondo che non ha più portafoglio da un pezzo.
Non ci credo manco se lo vedo.
I mercati sono imbalsamati perché costretti a mentire in attesa di salire ancora nonostante tutto.
In attesa di illudere e illudersi ancora.

È meglio si sbrighino a creare lavoro e si diano da fare a ridipingere i muri del sistema.
Altrimenti milioni di persone, o miliardi addirittura che iniziano a barcollare presto o tardi tirano giù anche loro dalle poltrone e dai loro scranni comodi.


Unica strada percorribile è: AVANTI!


Questa è LOGICA. Varrà poco ma vale almeno quanto le mille minkiate che si leggono su forum e giornali.

Quelle si che son "bla bla bla" inutili.

O si sale o si scende il cazzeggio non è previsto duri troppo.
E se si scende e per poter entrare a prezzi migliori. Ancora.
Ma poi... L'unica strada torna a essere la salita e la ripresa.
In caso contrario si ferma la giostra e son azzi per tutti anche per i vari fighetti che occupano posizioni comode e privilegiate.
 
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http://www.libreidee.org/2014/07/guido-rossi-conta-solo-il-denaro-la-democrazia-e-finita/

Guido Rossi: conta solo il denaro, la democrazia è finita lug 7th, 2014 @ 05:00 am › Giorgio Cattaneo ↓ Skip to comments omo del regime economico, non solo italiano ma europeo, che ci condiziona dagli anni ‘80», da quando cioè i mercati sono diventati «il valore di riferimento», e il denaro «la misura di tutte le cose». Tutto è denaro, quindi ogni bene pubblico è privatizzabile. Con tanti saluti allo Stato di diritto.C’è un sistema ideologico alla base delle politiche economiche, accusa Rossi in un editoriale sul “Sole 24 Ore” ripreso da “Micromega”: «Un erroneo concetto di libertà ha fatto sì che le scuole, gli ospedali e persino le prigioni possano essere privatizzate a scopo di lucro. E se così è, perché non dovrebbe essere, allo stesso scopo, privatizzato anche ogni ufficio pubblico?». Questo sistema, continua Rossi, ha creato due conseguenze parallele: «Le ineguaglianze, delle quali ha dato un’impareggiabile recente documentazione il tanto discusso libro di Thomas Piketty “Le capital au XXI siècle”», e naturalmente «la corruzione, sia nel settore pubblico sia in quello privato». Secondo la “London Review of Books”, che parla di “Disastro italiano”, l’Italia in Europa non è un caso anomalo, ma piuttosto una sorta di concentrato, visto che «la manipolazione da parte dei poteri esecutivi nei confronti dei legislativi e la generale involuzione e crisi delle classi politiche causano un silenzioso deficit di democrazia, alimentato da una quasi assoluta scarsità di mezzi di informazione indipendenti e con un aumento della corruzione».Un panorama impressionante in tutti i paesi: dalla Germania di Helmut Kohl, indiscusso cancelliere per 16 anni, che ricevette due milioni di marchi tedeschi in fondi neri, «rifiutandosi di rivelare il nome dei donatori per timore che emergessero i favori che avevano ricevuto in cambio», alla Francia di un altro super-potente, il presidente Jacques Chirac, in sella per 12 anni, che a fine mandato (cessata l’immunità) fu accusato di abuso d’ufficio, peculato e conflitto di interessi. Clamoroso, ancora in Germania, il governo del socialdemocratico Gerhard Schröder, che garantì un prestito da un milione di euro a Gazprom per creare una pipeline nel Baltico, «poche settimane prima che lo stesso cancelliere, terminato il mandato, diventasse consulente di Gazprom a un compenso molto maggiore di quello fino a quel momento ricevuto per governare il paese». Dalla Grecia alla Spagna non si salva nessuno. Spiccano, in Gran Bretagna, i favori elargiti alla Faith Foundation di Tony Blair, il rottamatore della sinistra inglese.«Le diseguaglianze dovute all’abnorme concentrazione in poche mani della ricchezza e le varie forme di corruzione sono indissolubilmente legate», sottolinea Guido Rossi, e costituiscono «la conseguenza principale e più grave dell’intreccio ormai inevitabile fra politica ed economia». Non è un caso che questo intreccio, nelle ideologie contemporanee, diventi inestricabile, al punto che le stesse istituzioni politiche ancora formalmente democratiche «diventino a loro volta causa ed effetto delle diseguaglianze e della corruzione». Non ne sono immuni neppure gli Usa, dove si sta erodendo una Costituzione nata per «assicurare l’indipendenza del governo federale da chiunque non fosse il solo popolo», secondo le famose parole di James Madison. Nel suo libro-denuncia del 2011 sulla “Repubblica perduta” (“Republic, Lost: How Money Corrupts Congress – And a Plan to Stop It”), Lawrence Lessig spiega che la “gift economy” americana prevede uno scambio corruttivo fatto di «favori e rapporti», innescando un conflitto istituzionale che minaccia la democrazia americana, secondo il grande filosofo Ronald Dworkin. Nel 2010 e poi il 2 aprile 2014, infatti, la Corte Suprema ha riconosciuto il diritto costituzionale di «finanziare candidati e campagne elettorali senza limiti alle somme di denaro profuse».Di conseguenza, secondo Lessig, il denaro «è diventato il problema della politica americana e la radice di ogni altro male, che avvelena la fiducia del cittadino nel governo e nella democrazia, divenuta una sorta di sciarada». Così, osserva Rossi, emerge «un virus distruttivo delle democrazie, che induce i tre poteri dello Stato a confrontarsi fra loro nel tentativo di combattere senza successo la corruzione pubblica, che anche quando viene individuata rimane senza sanzione», confermando l’intreccio tra politica e affari. «Né i grandi banchieri né i politici corrotti sono di norma puniti con la reclusione, perché entrambi sono, secondo l’espressione americana, “too big to jail” (troppo importanti per la galera)». E’ così che, lentamente, soccombe il potere che più di ogni altro dovrebbe combattere le disuguaglianze: la giustizia. La mondializzazione tende a privatizzare anche quella: «Le sanzioni contro la corruzione internazionale delle grandi multinazionali globalizzate sono comminate con il versamento di cospicue somme di danaro, attraverso accordi con organismi del potere esecutivo e delle agenzie indipendenti (Doj, Sec), con una giustizia negoziata e privatizzata, secondo la perversa ideologia in voga».In questo modo, «la repressione della corruzione delle grandi società viene definita al di fuori delle autorità giurisdizionali, attraverso una collaborazione interna e un’autodichiarazione di colpevolezza da parte delle società che, pur di evitare la giustizia penale, pericolosa sotto ogni aspetto, anche quello reputazionale, preferiscono dichiararsi colpevoli e collaborare utilizzando complessi sistemi di indagini interne». Si chiamano “accordi di giustizia”, e sono semplici trattative. Senza più una vera giustizia, la corruzione pubblica e privata incoraggiata dalla deregulation continua a dilagare, senza freni, assumendo forme «di apparente legalità, difficilmente sanzionabili». Così, per Rossi, «la lotta contro le disuguaglianze e le corruzioni, pubbliche e private, illegali o elusive, deve essere ormai considerata il principale obiettivo per far sopravvivere le società che le corrette idee del passato, prima della loro disgregazione, ci avevano consegnato attraverso la tutela dei diritti dei cittadini».
Plutocrazia, tutto il potere all’élite dei più ricchi. Se ormai conta solo il denaro – ed è quello a decidere chi sale e chi scende, chi vince e chi perde – possiamo dire addio alla politica, alla giustizia e alla stessa democrazia dei diritti. La corruzione dilagante? E’ solo una naturale conseguenza, in un mondo degradato dallo strapotere del denaro, immense ricchezze nelle mani di pochi oligarchi. Ne è convinto Guido Rossi, economista italiano e storico “controllore” della Consob, l’agenzia di vigilanza borsistica. La corruzione dilagante, che ha ormai «permeato tutta la vita politica, economica e sociale del nostro paese», segnando l’evidente «declino dell’ordine e delle istituzioni politiche», è un vero e proprio «sintomo del regime economico, non solo italiano ma europeo, che ci condiziona dagli anni ‘80», da quando cioè i mercati sono diventati «il valore di riferimento», e il denaro «la misura di tutte le cose». Tutto è denaro, quindi ogni bene pubblico è privatizzabile. Con tanti saluti allo Stato di diritto.

C’è un sistema ideologico alla base delle politiche economiche, accusa Rossi in un editoriale sul “Sole 24 Ore” ripreso da “Micromega”: «Un erroneo concetto di libertà ha fatto sì che le scuole, gli ospedali e persino le prigioni possano essere privatizzate a scopo di lucro. E se così è, perché non dovrebbe essere, allo stesso scopo, privatizzato anche ogni ufficio pubblico?». Questo sistema, continua Rossi, ha creato due conseguenze parallele: «Le ineguaglianze, delle quali ha dato un’impareggiabile recente documentazione il tanto discusso libro di Thomas Piketty “Le capital au XXI siècle”», e naturalmente «la corruzione, sia nel settore pubblico sia in quello privato». Secondo la “London Review of Books”, che parla di “Disastro italiano”, l’Italia in Europa non è un caso anomalo, ma piuttosto una sorta di concentrato, visto che «la manipolazione da parte dei poteri esecutivi nei confronti dei legislativi e la generale involuzione e crisi delle classi politiche causano un silenzioso deficit di democrazia, alimentato da una quasi assoluta scarsità di mezzi di informazione indipendenti e con un aumento della corruzione».

Un panorama impressionante in tutti i paesi: dalla Germania di Helmut Kohl, indiscusso cancelliere per 16 anni, che ricevette due milioni di marchi tedeschi in fondi neri, «rifiutandosi di rivelare il nome dei donatori per timore che emergessero i favori che avevano ricevuto in cambio», alla Francia di un altro super-potente, il presidente Jacques Chirac, in sella per 12 anni, che a fine mandato (cessata l’immunità) fu accusato di abuso d’ufficio, peculato e conflitto di interessi. Clamoroso, ancora in Germania, il governo del socialdemocratico Gerhard Schröder, che garantì un prestito da un milione di euro a Gazprom per creare una pipeline nel Baltico, «poche settimane prima che lo stesso cancelliere, terminato il mandato, diventasse consulente di Gazprom a un compenso molto maggiore di quello fino a quel momento ricevuto per governare il paese». Dalla Grecia alla Spagna non si salva nessuno. Spiccano, in Gran Bretagna, i favori elargiti alla Faith Foundation di Tony Blair, il rottamatore della sinistra inglese.

«Le diseguaglianze dovute all’abnorme concentrazione in poche mani della ricchezza e le varie forme di corruzione sono indissolubilmente legate», sottolinea Guido Rossi, e costituiscono «la conseguenza principale e più grave dell’intreccio ormai inevitabile fra politica ed economia». Non è un caso che questo intreccio, nelle ideologie contemporanee, diventi inestricabile, al punto che le stesse istituzioni politiche ancora formalmente democratiche «diventino a loro volta causa ed effetto delle diseguaglianze e della corruzione». Non ne sono immuni neppure gli Usa, dove si sta erodendo una Costituzione nata per «assicurare l’indipendenza del governo federale da chiunque non fosse il solo popolo», secondo le famose parole di James Madison. Nel suo libro-denuncia del 2011 sulla “Repubblica perduta” (“Republic, Lost: How Money Corrupts Congress – And a Plan to Stop It”), Lawrence Lessig spiega che la “gift economy” americana prevede uno scambio corruttivo fatto di «favori e rapporti», innescando un conflitto istituzionale che minaccia la democrazia americana, secondo il grande filosofo Ronald Dworkin. Nel 2010 e poi il 2 aprile 2014, infatti, la Corte Suprema ha riconosciuto il diritto costituzionale di «finanziare candidati e campagne elettorali senza limiti alle somme di denaro profuse».

Di conseguenza, secondo Lessig, il denaro «è diventato il problema della politica americana e la radice di ogni altro male, che avvelena la fiducia del cittadino nel governo e nella democrazia, divenuta una sorta di sciarada». Così, osserva Rossi, emerge «un virus distruttivo delle democrazie, che induce i tre poteri dello Stato a confrontarsi fra loro nel tentativo di combattere senza successo la corruzione pubblica, che anche quando viene individuata rimane senza sanzione», confermando l’intreccio tra politica e affari. «Né i grandi banchieri né i politici corrotti sono di norma puniti con la reclusione, perché entrambi sono, secondo l’espressione americana, “too big to jail” (troppo importanti per la galera)». E’ così che, lentamente, soccombe il potere che più di ogni altro dovrebbe combattere le disuguaglianze: la giustizia. La mondializzazione tende a privatizzare anche quella: «Le sanzioni contro la corruzione internazionale delle grandi multinazionali globalizzate sono comminate con il versamento di cospicue somme di danaro, attraverso accordi con organismi del potere esecutivo e delle agenzie indipendenti (Doj, Sec), con una giustizia negoziata e privatizzata, secondo la perversa ideologia in voga».

In questo modo, «la repressione della corruzione delle grandi società viene definita al di fuori delle autorità giurisdizionali, attraverso una collaborazione interna e un’autodichiarazione di colpevolezza da parte delle società che, pur di evitare la giustizia penale, pericolosa sotto ogni aspetto, anche quello reputazionale, preferiscono dichiararsi colpevoli e collaborare utilizzando complessi sistemi di indagini interne». Si chiamano “accordi di giustizia”, e sono semplici trattative. Senza più una vera giustizia, la corruzione pubblica e privata incoraggiata dalla deregulation continua a dilagare, senza freni, assumendo forme «di apparente legalità, difficilmente sanzionabili». Così, per Rossi, «la lotta contro le disuguaglianze e le corruzioni, pubbliche e private, illegali o elusive, deve essere ormai considerata il principale obiettivo per far sopravvivere le società che le corrette idee del passato, prima della loro disgregazione, ci avevano consegnato attraverso la tutela dei diritti dei cittadini».

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Bell'articolo pure questo.
Anzi, stupendo.





Datevi da fare che la rabbia monta e quando queste idee, fatti e concetti entreranno nelle menti di milioni di persone saran azzi da gestire.




Emmò beccatevi sta metafora.

Una giostra, anche delle più moderne e adrenaliniche, per quante evoluzioni faccia non può schiantare a terra i clienti più volte altrimenti la voce si diffonde con la paura e nessuna giostra del mondo farà più grandi affari sulle spalle dei gonzi. (Noi!) E il giostraio presto o tardi verrà visto come un assassino e preso calci nel (.).









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Quindi rimango positivo sulla borsa e sul fatto che le cose possono solo migliorare. :up:

a te chi lo dice che non hanno ancora finito di spremere? pensi veramente che i limoni siano finiti o invece c'è in giro ancora tanta gente da invogliare a farsi un giro sulla giostra?
io penso che ancora ci siano tante formichine da in(.)are
ciao
 
a te chi lo dice che non hanno ancora finito di spremere? pensi veramente che i limoni siano finiti o invece c'è in giro ancora tanta gente da invogliare a farsi un giro sulla giostra?
io penso che ancora ci siano tante formichine da in(.)are
ciao

Se diversifichi altro non puoi fare.
Se le cose vanno "normali" ora guadagnerai da una cosa ora dall'altra.
Se tutto va a putt.ane avrai fatto il possibile...

Di certo non mi spavento. Non mi metto in condizioni di aver paura per quattro rekkionazzi. :)

Per diversificare intendo conti deposito, titoli di stato, mattoni e 10/12% azionario.

Io non mi lamento c'è chi sta peggio.


Sempre Long con il giusto.

Se tutto va male vedremo fighetti mangiar pane e cipolla magari val la pena. :)
 
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...di chi dovrei mettermi in condizione di aver paura :mmmm: di questi? :D

E a quali prezzi dovrei credere? :wall: :wall: :wall:


A quali scambi? :wall: :wall: :wall:


Ciao va... :)
 

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