Gli attentatori sono pakistani

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La polizia inglese ancora non spiega perchè considera attentatori i quattro in questione, potrebbero essere benissimo delle vittime.

Uno,Mohammed Sadique Khan, 30 anni era sposato e padre di un bambino di otto mesi.Mah, boh forse non hanno trovato un pakistano più giovane.

Trovo strano che un uomo di 30 anni con un figlio neonato decida di fare il kamikaze.

Shehzad Tanweer, 22 anni, di Beeston, laureato in scienze, figlio del proprietario di un negozio di fish and chip. Si è fatto saltare in aria sul treno della Circle Line ad Aldgate.Viveva con la famiglia a Beeston.

L'unico indizio è che è stato in Pakistan ma il ministro dell'interno pakistano ha detto"che i servizi di sicurezza di Islamabad non hanno mai sentito parlare dei quattro giovani di origine pachistana ma con passaporto britannico cui gli inquirenti nel Regno Unito attribuiscono la responsabilità degli attentati del 7 luglio.


Se in Pakistan avesse frequentato ambienti terroristici sarebbe come minimo stato segnalato dai servizi al ministero degli interni pakistano.

Kamikaze o vittime, per me il dubbio rimane.
 
il quarto pakistano,con un curriculum da kamikaze,non è stato trovato tra le vittime in compenso c'era un giamaicano.

Uno è stato anche ripreso da una telecamera che non funzionava tanto bene è sfuocata.



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ma i nostri servizi di sicurezza non potrebbero oltre che cercare l'islamico controllare cosa stanno facendo i servizi alleati e gli amici degli alleati chissà forse conoscono già dove si nascondono i terroristi ma non lo dicono agli italiani perchè vogliono conoscere tutta la rete.Non vorrei che nel frattempo gli scappassero o a qualche agente gli scappasse per sbaglio qualche bombetta.
 
Ieri gli esperti artificeri che studiano 4 anni per diventarlo avevano detto che l'esplosivo era di tipo militare il TNT oggi contrordine è diventato artigianale.


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Kamikase con il timer.

Da:
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Editoriali/2005/07_Luglio/15/olimpio.shtml

Erano kamikaze o reclute inconsapevoli?

Barbe non rasate, timer negli zaini, nessun biglietto: forse non pensavano di morire

di Guido Olimpio


«Presumibilmente hanno voluto compiere un attacco suicida, però occorre considerare che il modus operandi non è quello classico del kamikaze in Kashmir o in Palestina». Per l’alto ufficiale «per colpire una città aperta in una democrazia aperta non è necessario ricorrere» a una missione suicida.

Le parole di Ian Blair, capo della polizia di Londra, sembrano nascondere qualche dubbio sulla dinamica dell’attacco. Partiamo dalla bomba. Nei primi tre giorni gli investigatori hanno parlato della presenza di timer facendo delle analogie con la strage di Madrid: tre delle quattro esplosioni sono state quasi simultanee.

Sarebbe però la prima volta che un kamikaze utilizza questo metodo di innesco, a meno che non si sia trattato di un sistema di riserva. Nel caso che il terrorista avesse avuto dei problemi poteva abbandonare lo zaino e andarsene.

Dunque hanno agito come uomini- bomba ad orologeria. Ma c’è chi avanza l’ipotesi che il team non sapesse di andare incontro alla morte e che siano rimasti vittime del loro mandante. Guardiamo ad altri teatri operativi.
Negli anni ’80 una fazione mediorientale, specializzata nelle valige- bomba, usava l’attentatore inconsapevole manomettendo il timer.

Nell’attacco dell’11 settembre non tutti i dirottatori conoscevano l’obiettivo finale. Nel massacro di Casablanca (maggio 2003) due kamikaze erano legati insieme da un paio di manette. A Bagdad i seguaci di Al Zarkawi hanno fatto detonare con il telefonino il veicolo condotto da un loro complice. Nella foto che lo ritrae il giovane Hasib Mir Hussain appare con un filo di barba mentre di solito i kamikaze si radono completamente.

Nelle case perquisite non è stato poi rinvenuto — fino ad oggi— un video o un testamento, né la classica lettera alla famiglia. Davvero strano per il primo attacco suicida compiuto da cittadini occidentali in Europa. Nei comunicati di rivendicazione —anche se vi sono dubbi sull’autenticità —non compaiono riferimenti specifici a un’azione kamikaze. Immaginate l’impatto propagandistico del filmato con un giovane inglese che spiega il suo «martirio » nel Tube. Altra stranezza: i documenti. La polizia sostiene di aver rinvenuto sui resti carte che hanno permesso l’identificazione. Da qui gli investigatori sono risaliti agli appartamenti di Leeds e alla vettura parcheggiata alla stazione di Luton. All’interno c’era una scorta di esplosivo e il telefonino del chimico egiziano, sospettato di aver avuto un ruolo nella preparazione degli ordigni. Tracce che dovevano essere cancellate. Ad alimentare le domande c’è poi il comportamento di Hussain. E’ al punto di incontro con i compagni e poi parte come un automa per la missione. Dalle 8.30 alle 9.47—ora in cui salta per aria sul bus 30 — è come in caccia dell’obiettivo. La polizia ritiene che volesse raggiungere il metrò ma che la chiusura di tutte le stazioni dopo le prime deflagrazioni glielo abbia impedito. Gli scampati del bus hanno raccontato di quel giovane agitato con le mani dentro uno zainetto. E’ stato lui ad attivare la bomba? Il suo timer era programmato su un’ora diversa? E’ interessante sottolineare che la polizia ha lanciato un appello ai cittadini per scoprire se Hussain sia stato visto insieme a qualcuno. Chi stanno cercando gli investigatori? Forse «l’accompagnatore », il complice che porta il kamikaze vicino all’obiettivo assicurandosi che non vi siano intoppi. Figura che compare spesso nelle missioni degli uomini-bomba palestinesi in Israele. Considerano gli attentatori dei «robot» e uno di loro, incontrato a Nablus, ci ha spiegato la filosofia: «E’ lo shahid che ci chiede di mandarlo incontro alla morte, non siamo noi».

Riesaminando il dossier dell’inchiesta un punto importante è quello dell’esplosivo. I presunti kamikaze ne hanno usato davvero poco: 4-5 chilogrammi per ogni ordigno.

La polizia ne ha invece trovato grandi quantità all’interno di una casa di Leeds e sull’auto a Luton. In pratica un deposito. A cosa serviva quella scorta se i quattro dovevano saltare per aria nell’azione del 7 luglio? La risposta è che l’esplosivo doveva servire all’ondata successiva di attacchi e dunque — come hanno avvertito le autorità—ci sono in giro altri militanti.
Una ragione in più, allora, per proteggere l’identità del primo team e le basi di partenza.

Quindi abbiamo una organizzazione capace di ottenere esplosivo potente, di ideare un piano letale, di individuare dei ragazzi in grado di attuarlo e di gettarli come «vuoti a perdere». Più reclute che soldati. Ma la stessa organizzazione qaedista, all’opposto di Madrid, non sembra preoccuparsi di proteggere il network, di usare i kamikaze come missili intelligenti. Eppure aveva alternative. Solo la cattura della mente sgombrerà il campo dagli interrogativi.
15 luglio 2005
 

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